Lo scritto costituisce un commento ad una interessante pronuncia del Tribunale penale di Trento il quale ha escluso che uno sciopero attuato in un servizio pubblico essenziale (trasporto pubblico) in violazione delle regole previste dalla legge n. 146 del 1990 possa integrare gli estremi del reato di interruzione di pubblico servizio ai sensi dell’art. 340 c.p. in quanto il fatto non è contemplato dalla legge come reato, ma è assoggettato alle specifiche sanzioni previste dalla citata legge del 1990. Al di là del caso di specie, lo scritto affronta le problematiche connesse alla possibile residua rilevanza penale dello sciopero illegittimo nei servizi pubblici essenziali dopo che l’art. 11 della citata legge n. 146 del 1990 ha abrogato espressamente le due norme incriminatrici relative alle astensioni collettive ed individuali dal lavoro nell’ambito di detti servizi (gli artt. 330 e 333 c.p.). Nello scritto non si mette in dubbio che l’astensione collettiva in cui si estrinseca lo sciopero nei servizi pubblici essenziali cagioni, salve rare eccezioni, una interruzione o turbi la regolarità di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità. Si rileva invece che l’interruzione ed il turbamento del servizio evocati dall’art. 340 c.p. non possono coincidere con quelli causati da un’astensione collettiva dal lavoro per il fatto che la norma penale punisce tali fatti quando essi non siano “preveduti da particolari disposizioni di legge”. Dopo il 1990, relativamente all’interruzione di un servizio pubblico connessa all’esercizio di uno sciopero, le “particolari disposizioni di legge” menzionate dall’art. 340, comma 1, c.p. sono proprio le norme contenute nella legge n. 146 del 1990 (ivi compresa la depenalizzazione di cui all’art. 11), così recuperandosi oggi, tra la norma penale e la legge del 1990, quel rapporto di sussidiarietà che prima esisteva tra l’art. 340 c.p. e gli artt. 330 e 333 c.p. D’altro canto, nel caso di sciopero esercitato legittimamente, la rilevanza penale dell’interruzione del servizio pubblico semplicemente non può sussistere in ragione del “rapporto di necessarietà” tra l’astensione e la condotta prevista dalla norma incriminatrice. Dopo l’avvento della legge n. 146 del 1990, il quantum e il quomodo di interruzione del servizio o di turbamento della sua regolarità che prescinde dalla garanzia delle prestazioni indispensabili sono il prezzo che il legislatore ha accettato di pagare per garantire il contemperamento fra i diritti costituzionali in gioco (da un lato quello di sciopero, dall’altro quelli degli utenti). Di qui l’assoluta irrilevanza, sotto qualsiasi profilo (civile, penale o amministrativo), di quell’interruzione o di quel turbamento (fatti salvi, ovviamente, gli effetti sospensivi dell’astensione sul piano obbligatorio del rapporto individuale di lavoro). L’interruzione o l’alterazione del servizio conseguenti a uno sciopero legittimo risultano totalmente sussunti nella fattispecie dell’astensione collettiva legittima (di cui rappresentano un pressoché inevitabile effetto, normale e necessario) perdendo qualsiasi autonoma rilevanza. Senonché questa compenetrazione tra la causa (l’astensione collettiva) e il suo effetto (la conseguente interruzione del servizio) si coglie anche quando lo sciopero sia illegittimamente esercitato. In tali casi, infatti, non è punita tanto l’interruzione del servizio o il turbamento della sua regolarità, bensì l’astensione collettiva illegittima di cui tale interruzione (o turbamento) costituisce l’inevitabile effetto. Se prima del 1990 la punizione poteva rintracciarsi almeno teoricamente nell’art. 330 c.p. (ovviamente nella sua parte sopravvissuta alla parziale declaratoria di incostituzionalità operata da Corte cost. n. 31 del 1969), con l’entrata in vigore della legge n. 146 del 1990, ove venga meno il contemperamento fra i diritti costituzionali in gioco è stato predisposto un apposito apparato repressivo depurato da sanzioni penali (artt. 4 e 9) finalizzato a sanzionare le autonome fattispecie di illegittima astensione collettiva dal lavoro comunque riconducibili alla conflittualità sindacale, nelle quali fattispecie sono interamente “assorbiti” gli inevitabili effetti di interruzione o turbamento del servizio pubblico. Per altro verso, nello scritto si riconosce l’astratta possibilità di applicazione dell’art.340 c.p. in caso di sciopero quando all’astensione dal lavoro si affianchino “attività ulteriori o condotte aggiuntive, non giustificate dalla necessità di esercizio dello sciopero e consistenti sostanzialmente in fatti di violenze” (come nel caso di manifestanti che invadono un ufficio per impedire agli addetti di continuare a lavorare anziché scioperare; di scioperanti che tolgono la corrente elettrica; di azioni intimidatorie e dimostrative che impediscono ad alcuni lavoratori di svolgere il proprio servizio). L’interruzione o il turbamento del servizio causati dalla realizzazione di tali condotte aggiuntive costituiscono la conseguenza di comportamenti essenzialmente di carattere violento di per sé illegittimi che, a differenza di quanto accade nel caso dell’illegittima astensione collettiva dal lavoro, non sono assoggettati dal legislatore ad una specifica disciplina in grado di sottrarli al regime dell’art. 340 c.p. Peraltro, tali condotte aggiuntive prescindono dalla legittimità o meno dell’astensione collettiva e, quindi, dell’esercizio dello sciopero. In simili ipotesi, lo sciopero costituisce al più una mera occasione per la realizzazione di tali condotte e solo queste ultime sono incriminabili ex art. 340 c.p. e non già lo sciopero in quanto tale: è quindi improprio, quando non ambiguo, continuare a parlare, anche a fronte di dette condotte, dell’applicabilità dell’art. 340 c.p. in caso di sciopero, giacché, con tale espressione, ciò che rappresenta una mera occasione rischia di essere indebitamente interpretato come elemento materiale del reato. Tutto ciò consente anche di chiarire la questione, posta incidentalmente dal tribunale, circa la cumulabilità tra la sanzione dell’art. 340 c.p. e le sanzioni disciplinari ed amministrative di cui alla legge n. 146 del 1990: cumulabilità esclusa dal giudice in base ad alcune argomentazioni, ma che a ben guardare costituisce un falso problema. Infatti, poiché l’art. 340 riguarda solo le “condotte aggiuntive” rispetto allo sciopero, legittimo o meno che sia quest’ultimo, tali condotte non rientrano affatto nell’ambito di operatività della legge n. 146 del 1990 (né sotto il profilo sanzionatorio disciplinare, né sotto quello amministrativo), postulando dunque un autonomo trattamento rispetto allo sciopero, eventualmente ricavabile, ricorrendone gli estremi, dall’art. 340 c.p. Non si pone, pertanto, alcuna esigenza di individuare un meccanismo di raccordo tra le diverse sanzioni, le quali conservano la propria autonoma applicabilità, senza entrare tra loro in rotta di collisione: per la violazione delle regole della legge n. 146 del 1990, gli scioperanti subiranno esclusivamente le sanzioni (disciplinari o amministrative) da questa previste; ove poi abbiano realizzato anche “condotte aggiuntive” si porrà il problema della loro eventuale incriminazione ex art. 340 c.p., ma appunto solo per la realizzazione di tali condotte.

Le violazioni della L. n. 146/1990 e il delitto di interruzione di servizio pubblico ex art. 340 cod. pen., nota a Trib. Trento 28 dicembre 2006, n. 1055/06

PASCUCCI, PAOLO
2007

Abstract

Lo scritto costituisce un commento ad una interessante pronuncia del Tribunale penale di Trento il quale ha escluso che uno sciopero attuato in un servizio pubblico essenziale (trasporto pubblico) in violazione delle regole previste dalla legge n. 146 del 1990 possa integrare gli estremi del reato di interruzione di pubblico servizio ai sensi dell’art. 340 c.p. in quanto il fatto non è contemplato dalla legge come reato, ma è assoggettato alle specifiche sanzioni previste dalla citata legge del 1990. Al di là del caso di specie, lo scritto affronta le problematiche connesse alla possibile residua rilevanza penale dello sciopero illegittimo nei servizi pubblici essenziali dopo che l’art. 11 della citata legge n. 146 del 1990 ha abrogato espressamente le due norme incriminatrici relative alle astensioni collettive ed individuali dal lavoro nell’ambito di detti servizi (gli artt. 330 e 333 c.p.). Nello scritto non si mette in dubbio che l’astensione collettiva in cui si estrinseca lo sciopero nei servizi pubblici essenziali cagioni, salve rare eccezioni, una interruzione o turbi la regolarità di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità. Si rileva invece che l’interruzione ed il turbamento del servizio evocati dall’art. 340 c.p. non possono coincidere con quelli causati da un’astensione collettiva dal lavoro per il fatto che la norma penale punisce tali fatti quando essi non siano “preveduti da particolari disposizioni di legge”. Dopo il 1990, relativamente all’interruzione di un servizio pubblico connessa all’esercizio di uno sciopero, le “particolari disposizioni di legge” menzionate dall’art. 340, comma 1, c.p. sono proprio le norme contenute nella legge n. 146 del 1990 (ivi compresa la depenalizzazione di cui all’art. 11), così recuperandosi oggi, tra la norma penale e la legge del 1990, quel rapporto di sussidiarietà che prima esisteva tra l’art. 340 c.p. e gli artt. 330 e 333 c.p. D’altro canto, nel caso di sciopero esercitato legittimamente, la rilevanza penale dell’interruzione del servizio pubblico semplicemente non può sussistere in ragione del “rapporto di necessarietà” tra l’astensione e la condotta prevista dalla norma incriminatrice. Dopo l’avvento della legge n. 146 del 1990, il quantum e il quomodo di interruzione del servizio o di turbamento della sua regolarità che prescinde dalla garanzia delle prestazioni indispensabili sono il prezzo che il legislatore ha accettato di pagare per garantire il contemperamento fra i diritti costituzionali in gioco (da un lato quello di sciopero, dall’altro quelli degli utenti). Di qui l’assoluta irrilevanza, sotto qualsiasi profilo (civile, penale o amministrativo), di quell’interruzione o di quel turbamento (fatti salvi, ovviamente, gli effetti sospensivi dell’astensione sul piano obbligatorio del rapporto individuale di lavoro). L’interruzione o l’alterazione del servizio conseguenti a uno sciopero legittimo risultano totalmente sussunti nella fattispecie dell’astensione collettiva legittima (di cui rappresentano un pressoché inevitabile effetto, normale e necessario) perdendo qualsiasi autonoma rilevanza. Senonché questa compenetrazione tra la causa (l’astensione collettiva) e il suo effetto (la conseguente interruzione del servizio) si coglie anche quando lo sciopero sia illegittimamente esercitato. In tali casi, infatti, non è punita tanto l’interruzione del servizio o il turbamento della sua regolarità, bensì l’astensione collettiva illegittima di cui tale interruzione (o turbamento) costituisce l’inevitabile effetto. Se prima del 1990 la punizione poteva rintracciarsi almeno teoricamente nell’art. 330 c.p. (ovviamente nella sua parte sopravvissuta alla parziale declaratoria di incostituzionalità operata da Corte cost. n. 31 del 1969), con l’entrata in vigore della legge n. 146 del 1990, ove venga meno il contemperamento fra i diritti costituzionali in gioco è stato predisposto un apposito apparato repressivo depurato da sanzioni penali (artt. 4 e 9) finalizzato a sanzionare le autonome fattispecie di illegittima astensione collettiva dal lavoro comunque riconducibili alla conflittualità sindacale, nelle quali fattispecie sono interamente “assorbiti” gli inevitabili effetti di interruzione o turbamento del servizio pubblico. Per altro verso, nello scritto si riconosce l’astratta possibilità di applicazione dell’art.340 c.p. in caso di sciopero quando all’astensione dal lavoro si affianchino “attività ulteriori o condotte aggiuntive, non giustificate dalla necessità di esercizio dello sciopero e consistenti sostanzialmente in fatti di violenze” (come nel caso di manifestanti che invadono un ufficio per impedire agli addetti di continuare a lavorare anziché scioperare; di scioperanti che tolgono la corrente elettrica; di azioni intimidatorie e dimostrative che impediscono ad alcuni lavoratori di svolgere il proprio servizio). L’interruzione o il turbamento del servizio causati dalla realizzazione di tali condotte aggiuntive costituiscono la conseguenza di comportamenti essenzialmente di carattere violento di per sé illegittimi che, a differenza di quanto accade nel caso dell’illegittima astensione collettiva dal lavoro, non sono assoggettati dal legislatore ad una specifica disciplina in grado di sottrarli al regime dell’art. 340 c.p. Peraltro, tali condotte aggiuntive prescindono dalla legittimità o meno dell’astensione collettiva e, quindi, dell’esercizio dello sciopero. In simili ipotesi, lo sciopero costituisce al più una mera occasione per la realizzazione di tali condotte e solo queste ultime sono incriminabili ex art. 340 c.p. e non già lo sciopero in quanto tale: è quindi improprio, quando non ambiguo, continuare a parlare, anche a fronte di dette condotte, dell’applicabilità dell’art. 340 c.p. in caso di sciopero, giacché, con tale espressione, ciò che rappresenta una mera occasione rischia di essere indebitamente interpretato come elemento materiale del reato. Tutto ciò consente anche di chiarire la questione, posta incidentalmente dal tribunale, circa la cumulabilità tra la sanzione dell’art. 340 c.p. e le sanzioni disciplinari ed amministrative di cui alla legge n. 146 del 1990: cumulabilità esclusa dal giudice in base ad alcune argomentazioni, ma che a ben guardare costituisce un falso problema. Infatti, poiché l’art. 340 riguarda solo le “condotte aggiuntive” rispetto allo sciopero, legittimo o meno che sia quest’ultimo, tali condotte non rientrano affatto nell’ambito di operatività della legge n. 146 del 1990 (né sotto il profilo sanzionatorio disciplinare, né sotto quello amministrativo), postulando dunque un autonomo trattamento rispetto allo sciopero, eventualmente ricavabile, ricorrendone gli estremi, dall’art. 340 c.p. Non si pone, pertanto, alcuna esigenza di individuare un meccanismo di raccordo tra le diverse sanzioni, le quali conservano la propria autonoma applicabilità, senza entrare tra loro in rotta di collisione: per la violazione delle regole della legge n. 146 del 1990, gli scioperanti subiranno esclusivamente le sanzioni (disciplinari o amministrative) da questa previste; ove poi abbiano realizzato anche “condotte aggiuntive” si porrà il problema della loro eventuale incriminazione ex art. 340 c.p., ma appunto solo per la realizzazione di tali condotte.
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