Esiste una cittadina, una piccola comunità perduta tra i monti, sospesa tra luogo geografico e luogo dell’anima. Il segreto di Dogville è che essa non esiste. Non esiste un luogo con quel nome, non esistono case con quell’aspetto, non esistono strade per arrivarci. Eppure potremmo dire che non c’è angolo del mondo che non sia Dogville e che non c’è comunità umana in cui non possiamo riscontrare una dimensione Dogville. Noi tutti ne siamo in qualche modo cittadini. A Dogville non ci sono istituzioni socialmente condivise. Non esiste un Municipio, non esiste un Sindaco, non esiste nessuna forma di rappresentanza o alcun organo dirigente che prenda decisioni in nome della comunità. La bizzarria aumenta se si pensa che non esiste nemmeno un’autorità religiosa: esiste una vecchia missione, ma il pastore l’ha abbandonata da molto tempo e tutti sanno che nessuno verrà mai a sostituirlo. Non c’è Dio e non c’è Re. A Dogville la comunità è sola con se stessa, completamente autonoma, assolutamente autosufficiente.Non c’è nessuno a Dogville che indichi ai suoi abitanti quale sia la strada da seguire, non c’è nessuno che separi il bene dal male. Cosa accade a questa cittadina, che potremmo definire la forma nuda della comunità, nel momento in cui si trova a confrontarsi col tema dell’accoglienza e del rapporto con una alterità debole, bisognosa di protezione? Qui a Dogville non è un Dio a volere la passione di Grace, la giovane protagonista, e non è un Re ad ordinare che l’accoglienza di quest’ultima si trasformi in martirio. Che sia per questo che tutta questa storia ci risulta così odiosa? Che sia perché nulla ci permette di interpretare la violenza inflitta alla vittima al di fuori di un contesto meramente umano? Eppure non dovremmo stupirci troppo, noi spettatori. Quanti di noi sarebbero disposti ad ammettere che il nostro benessere si fonda sullo sfruttamento della debolezza altrui, dell’altrui impossibilità di scelta? L’immigrazione è ormai un asse portante delle economie mondiali, eppure lo straniero deve sempre dimostrare qualcosa in più degli altri: per quanto lavori, per quanto provi a farsi simile c’è sempre una narrazione che ci avvisa della sua pericolosità, della sua irriducibile indole bestiale. Quanti di noi sarebbero disposti a riconoscere che questa degradazione dell’altro non deriva altro che dalla sua intrinseca posizione di dipendenza? L’altro da noi cucina i nostri pasti, accudisce i nostri vecchi, cresce i nostri figli, lavora nelle nostre fabbriche, s’incurva sui nostri campi, dà sfogo alle nostre repressioni ed ai nostri desideri inconfessati, ma questo non basta, non ci basta mai. Forse dovremmo guardare meglio a Dogville e chiederci per cosa sia necessaria questa criminalizzazione contro ogni logica, questa differenziazione assoluta. No, non è una questione né di ordine pubblico né di moralità, e non è nemmeno una questione di scontro culturale, è semplicemente una squallida questione di potere: solo se Grace è una criminale Dogville può, senza alcuna remora, trasformarsi nella sua prigione, e, gli abusi di cui è vittima, diventare un diritto.

La Comunità Nuda. Desiderio, Colpa e Redenzione in Dogville di Lars Von Trier

BELLEI, CRISTIANO MARIA
2006

Abstract

Esiste una cittadina, una piccola comunità perduta tra i monti, sospesa tra luogo geografico e luogo dell’anima. Il segreto di Dogville è che essa non esiste. Non esiste un luogo con quel nome, non esistono case con quell’aspetto, non esistono strade per arrivarci. Eppure potremmo dire che non c’è angolo del mondo che non sia Dogville e che non c’è comunità umana in cui non possiamo riscontrare una dimensione Dogville. Noi tutti ne siamo in qualche modo cittadini. A Dogville non ci sono istituzioni socialmente condivise. Non esiste un Municipio, non esiste un Sindaco, non esiste nessuna forma di rappresentanza o alcun organo dirigente che prenda decisioni in nome della comunità. La bizzarria aumenta se si pensa che non esiste nemmeno un’autorità religiosa: esiste una vecchia missione, ma il pastore l’ha abbandonata da molto tempo e tutti sanno che nessuno verrà mai a sostituirlo. Non c’è Dio e non c’è Re. A Dogville la comunità è sola con se stessa, completamente autonoma, assolutamente autosufficiente.Non c’è nessuno a Dogville che indichi ai suoi abitanti quale sia la strada da seguire, non c’è nessuno che separi il bene dal male. Cosa accade a questa cittadina, che potremmo definire la forma nuda della comunità, nel momento in cui si trova a confrontarsi col tema dell’accoglienza e del rapporto con una alterità debole, bisognosa di protezione? Qui a Dogville non è un Dio a volere la passione di Grace, la giovane protagonista, e non è un Re ad ordinare che l’accoglienza di quest’ultima si trasformi in martirio. Che sia per questo che tutta questa storia ci risulta così odiosa? Che sia perché nulla ci permette di interpretare la violenza inflitta alla vittima al di fuori di un contesto meramente umano? Eppure non dovremmo stupirci troppo, noi spettatori. Quanti di noi sarebbero disposti ad ammettere che il nostro benessere si fonda sullo sfruttamento della debolezza altrui, dell’altrui impossibilità di scelta? L’immigrazione è ormai un asse portante delle economie mondiali, eppure lo straniero deve sempre dimostrare qualcosa in più degli altri: per quanto lavori, per quanto provi a farsi simile c’è sempre una narrazione che ci avvisa della sua pericolosità, della sua irriducibile indole bestiale. Quanti di noi sarebbero disposti a riconoscere che questa degradazione dell’altro non deriva altro che dalla sua intrinseca posizione di dipendenza? L’altro da noi cucina i nostri pasti, accudisce i nostri vecchi, cresce i nostri figli, lavora nelle nostre fabbriche, s’incurva sui nostri campi, dà sfogo alle nostre repressioni ed ai nostri desideri inconfessati, ma questo non basta, non ci basta mai. Forse dovremmo guardare meglio a Dogville e chiederci per cosa sia necessaria questa criminalizzazione contro ogni logica, questa differenziazione assoluta. No, non è una questione né di ordine pubblico né di moralità, e non è nemmeno una questione di scontro culturale, è semplicemente una squallida questione di potere: solo se Grace è una criminale Dogville può, senza alcuna remora, trasformarsi nella sua prigione, e, gli abusi di cui è vittima, diventare un diritto.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11576/1887802
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