La monografia prende le mosse dalla constatazione che, sempre più di frequente, il primo contatto dei giovani con il mondo del lavoro avviene tramite uno stage: un’esperienza formativa e/o di orientamento presso datori di lavoro privati e pubblici che ha lo scopo di verificare “sul campo” conoscenze e competenze e di arricchirle tramite un percorso progettato o da istituzioni formative (scuole, università, centri di formazione professionale) o da soggetti pubblici e privati operanti nel mercato del lavoro (centri per l’impiego ecc.) per favorire l’inserimento lavorativo di giovani e meno giovani e di coloro che risultano svantaggiati nell’accesso al lavoro. Si tratta quindi di una esperienza formativa “in situazione” che si realizza mediante una particolare “applicazione sul lavoro”, finalizzata, in varia misura, al sostegno dell’occupabilità delle persone. Dopo una lunga evoluzione protrattasi per più di vent’anni, la disciplina italiana dello stage si è assestata sulle previsioni dell’art. 18 della l. n. 196/1997 e del suo regolamento di attuazione (d.m. n. 142/1998) dalle quali è definitivamente emersa nell’ordinamento la fattispecie dei “tirocini formativi e di orientamento”. La decennale applicazione di tale disciplina ha evidenziato una serie di problemi interpretativi la cui soluzione si rende sempre più necessaria per la crescente diffusione degli stages ed il rischio di una loro indebita utilizzazione come lavoro irregolare sostanzialmente “a costo zero”. Peraltro, dopo la riforma costituzionale del 2001 del Titolo V, un’eventuale riforma della disciplina dello stage si deve misurare con il riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni delineato nell’art. 117 Cost., su cui permangono ancora non poche incertezze nonostante una importante pronuncia della Corte costituzionale del 2005. Il volume ricostruisce, anche in chiave storica, la disciplina dello stage, soffermandosi sia sulle questioni teoriche, connesse principalmente alla distinzione tra lo stage ed il rapporto di lavoro, sia sui numerosi problemi pratici che assillano i tanti operatori chiamati quotidianamente ad applicarla, per la soluzione dei quali si propongono alcune ipotesi interpretative nell’attesa di una rivisitazione legislativa che chiama in causa sia il legislatore statale sia i legislatori regionali (come da ultimo prevede lo stesso disegno di legge di riforma del mercato del lavoro presentato in Parlamento dal Governo Monti). Nel primo capitolo vengono affrontate alcune questioni definitorie, a partire dallo stesso significato della parola stage, per poi segnalare i motivi di interesse dello stage per il diritto del lavoro. Da un lato, il diritto del lavoro non può disinteressarsi dello stage in ragione della propria vocazione di contrasto dei fenomeni elusivi e frodatori, che sovente si celano anche dietro lo stage: non deve infatti trascurarsi che lo stage non solo è ormai divenuto il principale strumento di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, ma spesso è purtroppo utilizzato o in modo simulato come vero e proprio rapporto di lavoro, privo delle finalità formative ed orientative che connotano lo stage, o pur sempre impropriamente come una sorta di “patto di prova”, privo anche delle pur minimali tutele previste per tale patto). Da un altro lato, il diritto del lavoro guarda allo stage come importante per l’occupabilità, come emerge nel Libro bianco di Jacques Delors e da altri documenti ufficiali europei. Il secondo capitolo, suddiviso in due sezioni, è dedicato alla ricostruzione delle vicende dei c.d. vecchi modelli di stage che hanno preceduto l’avvento della l. n. 196/1997, rilevandosi in particolare come possa individuarsi un patrimonio genetico (di regole) che caratterizza lo stage al di là dei suoi diversi modelli (il fatto che non costituisca rapporto di lavoro; la necessità che sia attivato sulla base di una convenzione tra promotore ed ospitante e di un progetto formativo; la necessità della sua promozione da parte di un soggetto istituzionalmente preposto ad attività formative o comunque operante nel campo del sostegno alla ricerca di occupazione; la necessità che sia realizzato con il supporto di un tutorato, ecc.). Nella prima sezione si passano in rassegna le varie previsioni legislative che, dalla l. n. 285/1977 fino alla l. n. 56/1987, passando per la l. n. 845/1978 e la l. n. 863/1984, hanno prefigurato modelli di formazione “in situazione” assimilabili all’attuale modello; nella seconda sezione si analizzano le vicende normative tramite cui è emerso il modello dei tirocini formativi e di orientamento, poi consolidatosi con l’art. 18 della l. n. 196/1997. Il terzo capitolo, articolato in quattro sezioni, riguarda l’esame della disciplina attualmente vigente. La prima sezione si occupa delle finalità dei tirocini, segnalandosi come, accanto agli scopi formativi ed orientativi, si riscontrino anche finalità occupazionali (venendo qui in gioco lo stage come strumento di politica attiva del lavoro): dopo aver esaminato, tra l’altro, le questioni relative alla possibilità di assumere i tirocinanti con contratto a termine, con patto di prova e con contratti formativi, ci si occupa in estremo dettaglio dei tirocini finalizzati all’occupazione dei disabili (l. n. 69 del 1999), di quelli scolastici ed universitari, dedicandosi attenzione altresì alla discutibilissima innovazione dei tirocini estivi di orientamento previsti da una norma del d.lgs. n. 276/2003 (art. 60) ben presto dichiarata incostituzionale (Corte cost. n. 50/2005). Nella seconda sezione, dedicata ai profili soggettivi, si esaminano innanzitutto i soggetti promotori considerati la vera chiave di volta dell’istituto per la responsabilità connessa al loro ruolo. A tale proposito si analizza anche la possibilità di ricomprendere nel novero dei promotori soggetti come le “agenzie del lavoro”, non menzionati nella disciplina del 1997/1998, ma che, alla luce della successiva riforma del mercato del lavoro (d.lgs. n. 276/2003) sono stati abilitati a svolgere attività di intermediazione (la quale riguarda anche attività formative). Si passa poi all’analisi dei soggetti ospitanti (datori di lavoro privati e pubblici), esaminando i loro requisiti ed i limiti posti dalla normativa in ordine alla loro capacità di ospitare tirocinanti (principio di contingentamento). Infine si esaminano i tirocinanti, analizzandosi dettagliatamente i vari requisiti soggettivi (con particolare attenzione al requisito dell’età minima) ed i limiti temporali dell’esperienza (durata e prorogabilità dell’esperienza in particolare presso con lo stesso soggetto ospitante). La terza sezione concerne le modalità di attivazione e di realizzazione dei tirocini. Si propone innanzitutto un esame minuzioso delle convenzioni presupposte ai tirocini, sia dal punto di vista della loro natura giuridica (anche alla luce della possibilità di ricondurle o meno nello schema civilistico di cui all’art. 1411 c.c. del contratto a favore di terzi), sia da quello dell’interesse a cui esse sono finalizzate (rilevandosi come si tratti di un interesse pubblico), sia da quello della loro struttura (esaminandosi i vari possibili livelli di convenzioni). Si analizzano poi il fondamentale strumento del progetto formativo e di orientamento (troppo spesso ridotto ad un mero simulacro), l’altrettanto fondamentale ruolo dei due tutori coinvolti nell’esperienza (quello del promotore e quello dell’ospitante), affrontandosi inoltre questioni più minute (ma non per questo meno rilevanti) come quelle connesse al valore dello stage (crediti formativi), al suo rilievo dal punto di vista previdenziale e tributario (relativamente ai rimborsi). Infine si dedica attenzione anche alle problematiche connesse ai tirocini che si svolgono all’estero. Nella quarta sezione ci si occupa del rapporto tra tirocinante e soggetto ospitante, evidenziando i diritti ed i doveri della parti (fra cui in particolare l’obbligo di sicurezza e la sospensione dello stage), e dedicando una particolare attenzione alla natura giuridica di tale rapporto, non a caso definito dal legislatore estraneo al rapporto di lavoro: si segnalano così gli elementi che distinguono lo stage dal rapporto di lavoro (nel cui ambito lo stage può peraltro ben rientrare in caso di simulazione), sottolineandosi come la ancorché minima “dose” di lavoro che vi è insita per finalità formative non possa essere di alcuna proficuità economica per il datore di lavoro ospitante. Infine, si esaminano gli aspetti connessi alle competenze legislative in materia alla luce della riforma del Titolo V Cost. e in particolare della sentenza della Corte costituzionale n. 50/2005, la cui stringata motivazione in ordine all’art. 60 del d.lgs. n. 276/2003 (con cui si afferma la competenza delle Regioni in materia di tirocini estivi di orientamento) viene sottoposta ad attenta analisi al fine di verificare se il principio affermato nel caso di specie possieda o meno una portata di ordine generale. In esito a tale analisi si addiviene alla conclusione che, nonostante le evidenti competenze regionali in materia di formazione, la disciplina dello stage non possa non richiedere anche un intervento del legislatore statale – qui competente per lo meno in ordine alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni civili e sociali (art. 117 Cost.) – al fine di fornire adeguate ed omogenee tutele ai tirocinanti. Peraltro, dato l’intreccio di competenze, si auspica l’adozione del metodo della “leale collaborazione” tra Stato e Regioni, da sempre caldeggiato dalla Corte costituzionale per ipotesi consimili.

Stage e lavoro. La disciplina dei tirocini formativi e di orientamento

PASCUCCI, PAOLO
2008

Abstract

La monografia prende le mosse dalla constatazione che, sempre più di frequente, il primo contatto dei giovani con il mondo del lavoro avviene tramite uno stage: un’esperienza formativa e/o di orientamento presso datori di lavoro privati e pubblici che ha lo scopo di verificare “sul campo” conoscenze e competenze e di arricchirle tramite un percorso progettato o da istituzioni formative (scuole, università, centri di formazione professionale) o da soggetti pubblici e privati operanti nel mercato del lavoro (centri per l’impiego ecc.) per favorire l’inserimento lavorativo di giovani e meno giovani e di coloro che risultano svantaggiati nell’accesso al lavoro. Si tratta quindi di una esperienza formativa “in situazione” che si realizza mediante una particolare “applicazione sul lavoro”, finalizzata, in varia misura, al sostegno dell’occupabilità delle persone. Dopo una lunga evoluzione protrattasi per più di vent’anni, la disciplina italiana dello stage si è assestata sulle previsioni dell’art. 18 della l. n. 196/1997 e del suo regolamento di attuazione (d.m. n. 142/1998) dalle quali è definitivamente emersa nell’ordinamento la fattispecie dei “tirocini formativi e di orientamento”. La decennale applicazione di tale disciplina ha evidenziato una serie di problemi interpretativi la cui soluzione si rende sempre più necessaria per la crescente diffusione degli stages ed il rischio di una loro indebita utilizzazione come lavoro irregolare sostanzialmente “a costo zero”. Peraltro, dopo la riforma costituzionale del 2001 del Titolo V, un’eventuale riforma della disciplina dello stage si deve misurare con il riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni delineato nell’art. 117 Cost., su cui permangono ancora non poche incertezze nonostante una importante pronuncia della Corte costituzionale del 2005. Il volume ricostruisce, anche in chiave storica, la disciplina dello stage, soffermandosi sia sulle questioni teoriche, connesse principalmente alla distinzione tra lo stage ed il rapporto di lavoro, sia sui numerosi problemi pratici che assillano i tanti operatori chiamati quotidianamente ad applicarla, per la soluzione dei quali si propongono alcune ipotesi interpretative nell’attesa di una rivisitazione legislativa che chiama in causa sia il legislatore statale sia i legislatori regionali (come da ultimo prevede lo stesso disegno di legge di riforma del mercato del lavoro presentato in Parlamento dal Governo Monti). Nel primo capitolo vengono affrontate alcune questioni definitorie, a partire dallo stesso significato della parola stage, per poi segnalare i motivi di interesse dello stage per il diritto del lavoro. Da un lato, il diritto del lavoro non può disinteressarsi dello stage in ragione della propria vocazione di contrasto dei fenomeni elusivi e frodatori, che sovente si celano anche dietro lo stage: non deve infatti trascurarsi che lo stage non solo è ormai divenuto il principale strumento di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, ma spesso è purtroppo utilizzato o in modo simulato come vero e proprio rapporto di lavoro, privo delle finalità formative ed orientative che connotano lo stage, o pur sempre impropriamente come una sorta di “patto di prova”, privo anche delle pur minimali tutele previste per tale patto). Da un altro lato, il diritto del lavoro guarda allo stage come importante per l’occupabilità, come emerge nel Libro bianco di Jacques Delors e da altri documenti ufficiali europei. Il secondo capitolo, suddiviso in due sezioni, è dedicato alla ricostruzione delle vicende dei c.d. vecchi modelli di stage che hanno preceduto l’avvento della l. n. 196/1997, rilevandosi in particolare come possa individuarsi un patrimonio genetico (di regole) che caratterizza lo stage al di là dei suoi diversi modelli (il fatto che non costituisca rapporto di lavoro; la necessità che sia attivato sulla base di una convenzione tra promotore ed ospitante e di un progetto formativo; la necessità della sua promozione da parte di un soggetto istituzionalmente preposto ad attività formative o comunque operante nel campo del sostegno alla ricerca di occupazione; la necessità che sia realizzato con il supporto di un tutorato, ecc.). Nella prima sezione si passano in rassegna le varie previsioni legislative che, dalla l. n. 285/1977 fino alla l. n. 56/1987, passando per la l. n. 845/1978 e la l. n. 863/1984, hanno prefigurato modelli di formazione “in situazione” assimilabili all’attuale modello; nella seconda sezione si analizzano le vicende normative tramite cui è emerso il modello dei tirocini formativi e di orientamento, poi consolidatosi con l’art. 18 della l. n. 196/1997. Il terzo capitolo, articolato in quattro sezioni, riguarda l’esame della disciplina attualmente vigente. La prima sezione si occupa delle finalità dei tirocini, segnalandosi come, accanto agli scopi formativi ed orientativi, si riscontrino anche finalità occupazionali (venendo qui in gioco lo stage come strumento di politica attiva del lavoro): dopo aver esaminato, tra l’altro, le questioni relative alla possibilità di assumere i tirocinanti con contratto a termine, con patto di prova e con contratti formativi, ci si occupa in estremo dettaglio dei tirocini finalizzati all’occupazione dei disabili (l. n. 69 del 1999), di quelli scolastici ed universitari, dedicandosi attenzione altresì alla discutibilissima innovazione dei tirocini estivi di orientamento previsti da una norma del d.lgs. n. 276/2003 (art. 60) ben presto dichiarata incostituzionale (Corte cost. n. 50/2005). Nella seconda sezione, dedicata ai profili soggettivi, si esaminano innanzitutto i soggetti promotori considerati la vera chiave di volta dell’istituto per la responsabilità connessa al loro ruolo. A tale proposito si analizza anche la possibilità di ricomprendere nel novero dei promotori soggetti come le “agenzie del lavoro”, non menzionati nella disciplina del 1997/1998, ma che, alla luce della successiva riforma del mercato del lavoro (d.lgs. n. 276/2003) sono stati abilitati a svolgere attività di intermediazione (la quale riguarda anche attività formative). Si passa poi all’analisi dei soggetti ospitanti (datori di lavoro privati e pubblici), esaminando i loro requisiti ed i limiti posti dalla normativa in ordine alla loro capacità di ospitare tirocinanti (principio di contingentamento). Infine si esaminano i tirocinanti, analizzandosi dettagliatamente i vari requisiti soggettivi (con particolare attenzione al requisito dell’età minima) ed i limiti temporali dell’esperienza (durata e prorogabilità dell’esperienza in particolare presso con lo stesso soggetto ospitante). La terza sezione concerne le modalità di attivazione e di realizzazione dei tirocini. Si propone innanzitutto un esame minuzioso delle convenzioni presupposte ai tirocini, sia dal punto di vista della loro natura giuridica (anche alla luce della possibilità di ricondurle o meno nello schema civilistico di cui all’art. 1411 c.c. del contratto a favore di terzi), sia da quello dell’interesse a cui esse sono finalizzate (rilevandosi come si tratti di un interesse pubblico), sia da quello della loro struttura (esaminandosi i vari possibili livelli di convenzioni). Si analizzano poi il fondamentale strumento del progetto formativo e di orientamento (troppo spesso ridotto ad un mero simulacro), l’altrettanto fondamentale ruolo dei due tutori coinvolti nell’esperienza (quello del promotore e quello dell’ospitante), affrontandosi inoltre questioni più minute (ma non per questo meno rilevanti) come quelle connesse al valore dello stage (crediti formativi), al suo rilievo dal punto di vista previdenziale e tributario (relativamente ai rimborsi). Infine si dedica attenzione anche alle problematiche connesse ai tirocini che si svolgono all’estero. Nella quarta sezione ci si occupa del rapporto tra tirocinante e soggetto ospitante, evidenziando i diritti ed i doveri della parti (fra cui in particolare l’obbligo di sicurezza e la sospensione dello stage), e dedicando una particolare attenzione alla natura giuridica di tale rapporto, non a caso definito dal legislatore estraneo al rapporto di lavoro: si segnalano così gli elementi che distinguono lo stage dal rapporto di lavoro (nel cui ambito lo stage può peraltro ben rientrare in caso di simulazione), sottolineandosi come la ancorché minima “dose” di lavoro che vi è insita per finalità formative non possa essere di alcuna proficuità economica per il datore di lavoro ospitante. Infine, si esaminano gli aspetti connessi alle competenze legislative in materia alla luce della riforma del Titolo V Cost. e in particolare della sentenza della Corte costituzionale n. 50/2005, la cui stringata motivazione in ordine all’art. 60 del d.lgs. n. 276/2003 (con cui si afferma la competenza delle Regioni in materia di tirocini estivi di orientamento) viene sottoposta ad attenta analisi al fine di verificare se il principio affermato nel caso di specie possieda o meno una portata di ordine generale. In esito a tale analisi si addiviene alla conclusione che, nonostante le evidenti competenze regionali in materia di formazione, la disciplina dello stage non possa non richiedere anche un intervento del legislatore statale – qui competente per lo meno in ordine alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni civili e sociali (art. 117 Cost.) – al fine di fornire adeguate ed omogenee tutele ai tirocinanti. Peraltro, dato l’intreccio di competenze, si auspica l’adozione del metodo della “leale collaborazione” tra Stato e Regioni, da sempre caldeggiato dalla Corte costituzionale per ipotesi consimili.
2008
9788834887073
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11576/1891333
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