E’ communis opinio che la iurisdictio costituisca l’ambito concettuale dentro il quale è collocato l’esercizio del potere in età premoderna. E’, questa, una constatazione sulla quale non ci si dovrebbe soffermare se, al di sotto di essa sussistesse un’effettiva comprensione altrettanto diffusa della realtà giuridica che la categoria della iurisdictio implica da un punto di vista pratico. Dando, per il momento, per scontata questa comprensione, va qui ricordato che della iurisdictio costituisce elemento costitutivo l’imperium, vale a dire il potere di comando, che, perviene fino alla coercizione: è questa la dottrina dominante, se non unanime, dello ius commune, anche se probabilmente con qualche differenziazione di punto di vista tra i diversi autori. La collocazione dell’imperium, ossia del potere coercitivo e di comando, nell’ambito della iurisdictio costituisce uno dei segni più interessanti dell’incombere su tutta questa fenomenologia del problema della legalità: l’imperium è espressione legittima del potere, in quanto funzionalmente legato alla iurisdictio. Questo ordine di considerazioni ci obbliga a seguire l’insegnamento insostiuibile di Francesco: si riuscirà così a vedere che il problema della iurisdictio è il problema della tutela dei diritti. Questo problema non è circoscritto alla tutela giudiziaria dei diritti dei privati, ma è il problema della tutela dell’insieme dei diritti che costituiscono il tessuto di un ordinamento (sociale e dunque giuridico): è, insomma, il problema della tutela dei diritti correlati agli interessi ritenuti meritevoli di tutela. Iurisdictio, non significa astratta tutela dei diritti così come disegnati in norme generali, così come stilizzati in fattispecie astratte, iurisdictio non significa “giurisdizione” in senso moderno, postilluministico, ma significa potestà di valutare la legittimità degli interessi in conflitto – e di qui la fondatezza delle relative pretese -, entrando nella concretezza della struttura di essi interessi, valutarne la protezione giuridica che li riveste, valutarla alla luce dell’aequitas, la quale, non è oggetto di dichiarazione, ma di statuizione. In questo paesaggio non può trovar posto la considerazione di un interesse pubblico astrattamente considerato e imputato ad un’entità - lo Stato - dotato del potere di perseguirlo come proprio con schietti strumenti potestativi; in questo paesaggio trovano collocazione gli interessi in quanto tali, trovano posto le forme di tutela giuridica di questi interessi, il loro rivestimento formale, e trovano posto anche gli strumenti potestativi delle entità collettive, pubbliche, le quali, però, in tanto possono avvalersi di tali strumenti - dell’imperium - in quanto ciò sia conforme all’esito di quella valutazione che alla luce e dello ius e dell’aequitas viene data dall’ordinamento per mezzo dei propri organi a ciò preposti. Ora, se s’inquadra in questa cornice più ampia tutto il problema del potere pubblico e lo specifico problema dei suoi limiti, si vede quanto sia difficile uscire dalla strada tracciata dal Calasso: essere cioè la iurisdictio un concetto e una figura che ha come referente «il complesso dei poteri che l’ordinamento giuridico esercita nella pienezza della sua vita». Ricondurre la fenomenologia del potere nell’ambito formale della iurisdictio e, prima ancora, la stessa composizione di questa figura concettuale è uno dei grandi risultati ai quali è pervenuta la dottrina dello ius commune, a cominciare da quella dei glossatori bolognesi con mirabile lucidicità, fin dalle prime generazioni evidentemente ebbero consapevolezza intellettuale degli esatti termini del problema. Se si guarda storicamente alla funzione della iurisdictio, si vede con relativa trasparenza come dietro di essa e in suo aperto, schietto contrasto campeggi una concezione personale del potere, che è quella dominante in Europa fino all’instaurarsi di una nuova ed eversiva esperienza, l’esperienza cittadina, la quale al singolo contrappone i più, che ad una visione piramidale statica e staticamente gerarchica del potere contrappone un pluralismo istituzionale dinamico, il cui vertice - il princeps - è in perpetua interazione con gli ordinamenti sotto ordinati. La natura decisamente corporativa di questo pluralismo può e probabilmente deve essere considerata con contegno critico; ma questo connotato in nulla attenua il parallelo connotato del pluralismo dei gruppi di interesse che assumono forma ordinamentale, e dunque degli interessi stessi in continua interazione. Questo pluralismo è il frutto di un lungo processo, che ha come centro propulsore, come sappiamo, la città, che proprio per la varietà delle forme che in ciascuna di esse si viene affermando, si può definire come un laboratorio che è politico, ma anche amministrativo, organizzativo, economico con una fortissima vocazione istituzionale. Questa considerazione può essere assunta come la chiave per comprendere la profonda e quasi insanabile estraneità dell’esperienza del potere costituito, in tutte le forme e le strutture pluralistiche che troviamo nell’esperienza di antico regime, precedente alla formazione dello Stato in senso moderno, a quella propria di quest’ultimo, nel quale l’autonomia degli enti che hanno funzione di aggregazione sociale e amministrativa trova nello Stato il principio di legittimazione e dallo Stato riceve la disciplina di organizzazione, per lo più secondo una forma unitaria, ossia come attuazione di un modello dato, calato dall’altro, con compiti predefiniti, uguali per tutti, con poteri sostanzialmente e formalmente derivati anch’essi uguali per tutti.

Il problema del potere pubblico e dei suoi limiti nell'insegnamento dei Commentatori

CRESCENZI, VICTOR
2008

Abstract

E’ communis opinio che la iurisdictio costituisca l’ambito concettuale dentro il quale è collocato l’esercizio del potere in età premoderna. E’, questa, una constatazione sulla quale non ci si dovrebbe soffermare se, al di sotto di essa sussistesse un’effettiva comprensione altrettanto diffusa della realtà giuridica che la categoria della iurisdictio implica da un punto di vista pratico. Dando, per il momento, per scontata questa comprensione, va qui ricordato che della iurisdictio costituisce elemento costitutivo l’imperium, vale a dire il potere di comando, che, perviene fino alla coercizione: è questa la dottrina dominante, se non unanime, dello ius commune, anche se probabilmente con qualche differenziazione di punto di vista tra i diversi autori. La collocazione dell’imperium, ossia del potere coercitivo e di comando, nell’ambito della iurisdictio costituisce uno dei segni più interessanti dell’incombere su tutta questa fenomenologia del problema della legalità: l’imperium è espressione legittima del potere, in quanto funzionalmente legato alla iurisdictio. Questo ordine di considerazioni ci obbliga a seguire l’insegnamento insostiuibile di Francesco: si riuscirà così a vedere che il problema della iurisdictio è il problema della tutela dei diritti. Questo problema non è circoscritto alla tutela giudiziaria dei diritti dei privati, ma è il problema della tutela dell’insieme dei diritti che costituiscono il tessuto di un ordinamento (sociale e dunque giuridico): è, insomma, il problema della tutela dei diritti correlati agli interessi ritenuti meritevoli di tutela. Iurisdictio, non significa astratta tutela dei diritti così come disegnati in norme generali, così come stilizzati in fattispecie astratte, iurisdictio non significa “giurisdizione” in senso moderno, postilluministico, ma significa potestà di valutare la legittimità degli interessi in conflitto – e di qui la fondatezza delle relative pretese -, entrando nella concretezza della struttura di essi interessi, valutarne la protezione giuridica che li riveste, valutarla alla luce dell’aequitas, la quale, non è oggetto di dichiarazione, ma di statuizione. In questo paesaggio non può trovar posto la considerazione di un interesse pubblico astrattamente considerato e imputato ad un’entità - lo Stato - dotato del potere di perseguirlo come proprio con schietti strumenti potestativi; in questo paesaggio trovano collocazione gli interessi in quanto tali, trovano posto le forme di tutela giuridica di questi interessi, il loro rivestimento formale, e trovano posto anche gli strumenti potestativi delle entità collettive, pubbliche, le quali, però, in tanto possono avvalersi di tali strumenti - dell’imperium - in quanto ciò sia conforme all’esito di quella valutazione che alla luce e dello ius e dell’aequitas viene data dall’ordinamento per mezzo dei propri organi a ciò preposti. Ora, se s’inquadra in questa cornice più ampia tutto il problema del potere pubblico e lo specifico problema dei suoi limiti, si vede quanto sia difficile uscire dalla strada tracciata dal Calasso: essere cioè la iurisdictio un concetto e una figura che ha come referente «il complesso dei poteri che l’ordinamento giuridico esercita nella pienezza della sua vita». Ricondurre la fenomenologia del potere nell’ambito formale della iurisdictio e, prima ancora, la stessa composizione di questa figura concettuale è uno dei grandi risultati ai quali è pervenuta la dottrina dello ius commune, a cominciare da quella dei glossatori bolognesi con mirabile lucidicità, fin dalle prime generazioni evidentemente ebbero consapevolezza intellettuale degli esatti termini del problema. Se si guarda storicamente alla funzione della iurisdictio, si vede con relativa trasparenza come dietro di essa e in suo aperto, schietto contrasto campeggi una concezione personale del potere, che è quella dominante in Europa fino all’instaurarsi di una nuova ed eversiva esperienza, l’esperienza cittadina, la quale al singolo contrappone i più, che ad una visione piramidale statica e staticamente gerarchica del potere contrappone un pluralismo istituzionale dinamico, il cui vertice - il princeps - è in perpetua interazione con gli ordinamenti sotto ordinati. La natura decisamente corporativa di questo pluralismo può e probabilmente deve essere considerata con contegno critico; ma questo connotato in nulla attenua il parallelo connotato del pluralismo dei gruppi di interesse che assumono forma ordinamentale, e dunque degli interessi stessi in continua interazione. Questo pluralismo è il frutto di un lungo processo, che ha come centro propulsore, come sappiamo, la città, che proprio per la varietà delle forme che in ciascuna di esse si viene affermando, si può definire come un laboratorio che è politico, ma anche amministrativo, organizzativo, economico con una fortissima vocazione istituzionale. Questa considerazione può essere assunta come la chiave per comprendere la profonda e quasi insanabile estraneità dell’esperienza del potere costituito, in tutte le forme e le strutture pluralistiche che troviamo nell’esperienza di antico regime, precedente alla formazione dello Stato in senso moderno, a quella propria di quest’ultimo, nel quale l’autonomia degli enti che hanno funzione di aggregazione sociale e amministrativa trova nello Stato il principio di legittimazione e dallo Stato riceve la disciplina di organizzazione, per lo più secondo una forma unitaria, ossia come attuazione di un modello dato, calato dall’altro, con compiti predefiniti, uguali per tutti, con poteri sostanzialmente e formalmente derivati anch’essi uguali per tutti.
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