Hermann Bausinger, Tipico tedesco. Quanto tedeschi sono i tedeschi? A c. di Luca Renzi. Pisa, ETS 2007. Si tratta in questo volume della raccolta di saggi più recenti di Bausinger (la pubblicazione in Germania risale al 2000) che va sotto il titolo inequivocabile di Tipico tedesco. Qui, attingendo a campi disparati quali l’antropologia, la storia, la filosofia e la letteratura, Bausinger, pur partendo da una dimensione specifica della realtà tedesca, abbandona la dimensione europea del precedente volume e torna a volgere lo sguardo al suo paese natale. L’impostazione è solida sul piano dei contenuti, scientemente documentata, fluida e discorsiva a livello di esposizione, con un tono piacevolmente colloquiale, di taglio informativo e immediatamente accessibile, dunque di divulgazione colta, caratterizzata da quadri culturologici di notevole complessità. Il discorso media indagine empirica e presa speculativa, lavoro sul campo e teoria. La domanda su cosa sia ‘tipico tedesco’ può apparire a primo acchito banale, poiché facile preda di piatti stereotipi e luoghi comuni, ma essa ha in realtà molto più in serbo di una risposta assertiva e va a fondo nel cogliere l’importanza per l’osservazione culturologica della manifestazione esteriore, dell’apparenza tipica, che definisce in concreto il carattere di individui, comunità o popoli. Certo l’apparenza non è tutto, essa va letta in profondità: è anzi proprio la lettura della superficie manifesta dei fenomeni culturali che ne rivela la valenza soggettiva e il valore oggettivo. Bausinger mette subito in evidenza l’inoppugnabile forza (dimostrativa e deittica, conoscitiva e fattuale, di inerzia e di convincimento) degli stereotipi, ovvero delle tipizzazioni preconfezionate di gruppi di persone sulla base di caratteristiche comuni. Che queste siano effettive o semplicemente attribuite non fa la differenza, poiché in principio – cioè prima della ricognizione critica del sé e della conoscenza endogena dell’altro – non vi è reale differenza. Il tipico altrui infatti è semplicemente ciò che devia dalla propria norna(lità): esso è un costrutto in relazione e nasce per giustapposizione irriflessa dell’altro in quanto differente dal sé. Il tipo caratteristico diventa stereotipo solo quando, anziché rimanere aperto al cambiamento e all’interazione viva delle parti, si fossilizza in formule ‘preparate’ non più accessibili al giudizio. E’ questa la ragione della sua forza, funzionale all’orientamento nel mondo, così come, così come della sua debolezza e insostenibilità, o persino assurdità, quando pretende di assurgere a posizioni assolute. Si veda a tal proposito l’intero I capitolo “Senso e assurdità della tipizzazione”. In virtù dell’aspetto costruttivo del processo di (stereo)tipizzazione, la via contrastiva, ovvero comparativa sembra essere l’unica percorribile verso la conoscenza antropologica, la quale altrimenti evaporerebbe in una vuota indefinitezza astratta. Succede, come rileva Bausinger, che le osservazioni tipologiche e le osservazioni stereotipizzanti, in virtù della loro intrinseca relatività intersoggettiva, dicano di più sulle particolarità del soggetto osservante che non su quelle dell’oggetto osservato, in una beffarda inversione di ruoli tipica delle interazioni dialettiche e dei rapporti interpretativi. L’apparente banalità della domanda su cosa sia tipicamente tedesco si rivela in realtà ricca di spunti di riflessione sulla tendenza spontanea alla stereotipizzazione che caratterizza l’intercorso social-culturale. Se da un lato vi è una autopercezione problematica da parte dei tedeschi stessi, dall’altro questa è rafforzata dalla percezione delle Germania dal di fuori, che spesso non va oltre il vuoto stereotipo appiattente e che nasconde a tutt’oggi una generale non conoscenza del paese e della sua cultura. Se è vero che i pregiudizi sono sempre il frutto di una autoriduzione del reale, nel caso dei tedeschi la forza della semplificazione triviale si mostra in maniera ancora più evidente ed esclusiva: la Germania è ancora per molti birra, crauti e Lederhosen, o tutt’al più sinonimo di efficienza e affidabilità, ordine maniacale e pulizia. La Germania è stata nel secolo scorso e in quello precedente in verità fucina degli ideali della modernità, ed è stata però anche il principale laboratorio critico degli stessi, il luogo dove si sono costruiti, decostruiti e riprogettati sistemi di pensiero, scuole e ideologie con una intensità ineguagliata. In questo quadro va fatta rientrare la considerazione sulle tendenze antimoderne sorte in ambito tedesco fin dal primo Ottocento, che si incarnano esemplarmente nell’elaborazione, in chiave idealistica prima, romantica poi, dei concetti di storia e natura, e nel mutuo investimento degli stessi nella storia della cultura tedesca. Bausinger compie una disamina attenta di questi concetti nel secondo e terzo capitolo, considerando la questione da una prospettiva attuale, attenta ai fenomeni della Germania di oggi, ma sempre sostanziata da una approfondita ricognizione storico-culturale (cfr. in part. i capp.’Natura e storia’, ‘Ricordare la storia’, ‘Paesaggi tedeschi’). Sulla scorta dello storicismo imperante si rafforza nella Germania post-unitaria l’attenzione per la storia locale, la cura per la ‘piccola patria’ paesana, cittadina o regionale (Heimat), con l’intento di preservarla in quanto entità contaminata, ricettacolo di tradizioni dai mutamenti del presente, dagli stravolgimenti socio-economici, antropologici e paesaggistici causati dall’incipiente industrializzazione del paese. La ‘storia’ antiquariamente diventa così a-storica. Bausiger, fra le tante cose, illustra come nasca un movimento tutto tedesco di cura assidua e meticolosa delle tradizioni patrie e locali, che durerà fino al giorno d’oggi, seppure adattato ai meccanismi e alle esigenze odierne. La patria assurta in tal modo a simbolo di una storia da conservare immutata nel corso del tempo “si lega in prima linea alla natura intatta, pacifica e armonica” (p. 83). A questa dal canto suo viene dedicata in Germania in epoca moderna un’attenzione difficilmente riscontrabile altrove, che testimonia dell’amore dei tedeschi per la natura, o meglio per la loro (idea di) natura. Una natura che si vorrebbe - anch’essa come la storia patria – incontaminata, pura e assoluta,e che invece è profondamente acculturata, controllata e predisposta per il piacere e la fruizione naturalistica: una natura dunque affatto tedesca e ‘tedeschizzata’, assiduamente preservata e amministrata con precisione. Per Bausinger è proprio nel concettosi Heimat, “tradizionale e decisamente rivolto al passato”, che “natura e storia si incontrano” (p. 91), in una ricerca di assoluto e di integrità a-storica le cui origini risalgono chiaramente al Romanticismo. Dal lascito culturale dell’Idealismo prima, e il Romanticismo poi e successivamente le filosofie della storia e della cultura (Hegel, Herder) fino alle propaggini del 20 secolo (si pensi a Cassirer) deriva una peculiare tradizione tedesca di Kulturkritik, espressasi in varie forme e a vari livelli, dalla vulgata popolare alla filosofia accademica, con risvolti produttivi in pressoché tutti gli ambiti disciplinari: dall’estetica alla pedagogia (Schiller, Steiner), dalla pratica artistica alla sociologia (Espressionismo, Scuola di Francoforte), passando per il design, l’architettura e l’urbanistica (il Bauhaus e la sua enfasi dell’idea di uomo come ‘animale’ culturale). Una Kulturkritik da intendersi in senso più specifico come fondazione critica degli studi culturologici, e che in questa veste costituisce il fondamentale contributo tedesco ai moderni Cultural studies. Cos’è tipicamente tedesco? Quali sono le caratteristiche specifiche dalle quali ciò si determina? E, soprattutto, esiste la figura del tedesco ideale, ricostruibile attraverso tali informazioni, a cui tutti i tedeschi indistintamente si conformano? La domanda può apparire banale, ironica, addirittura insinuante se con ciò si intende alludere a stereotipi negativi o addirittura infamanti. Bausinger raccoglie la sfida e cerca di dare una risposta ragionata e motivata a un quesito apparentemente ordinario. Partendo dall’idea stessa di standardizzazione e dalle critiche al concetto e alla possibilità stessa di un ideale generalizzante passa poi, nella seconda parte, all’analisi di alcuni degli stereotipi più comuni riferiti ai tedeschi: dai piatti cosiddetti regionali all’amore dei tedeschi per la natura e le associazioni, alla spiccata tendenza regolamentatrice. Nella terza parte vengono invece considerate le immagini, i simboli rappresentativi della nazione e del suo popolo: i colori della bandiera nazionale piuttosto che la figura del deutscher Michel o quella del Faust, mentre nella quarta e ultima vengono messi in luce gli aspetti più recenti dello sviluppo del concetto di ‘popolo’, anche in relazione agli sviluppi sociali e tecnologici: la presenza degli stranieri, lo scambio di dati attraverso le nuove tecniche, fino alle ‘frontiere dell’arbitrarietà’, dovute ai cambiamenti sociologici che rendono difficili caratterizzazioni generali. Questo libro, a metà strada tra saggio di antropologia e letteratura dilettantesca, dal linguaggio scorrevole e dalle felici intuizioni supportate da sagge riflessioni, che spaziano dalla psicologia alla storia e alla sociologia, è una preziosa e affascinante guida nell’ampio universo tedesco. Senza cadere nel banale da un lato o usare una metodologia marcatamente specialistica dall’altro, Bausinger riflette e fornisce spiegazioni sulle varie immagini che spesso vengono attribuite al popolo tedesco, citando opere e pensieri di filosofi, antropologi e uomini politici, tedeschi e non. Non mancano gli scrittori quali Eichendorff, e addirittura strofe di canzoni popolari. Un ventaglio di strumenti, che permettono al lettore di capire un po’ più a fondo i nostri concittadini europei.

Tipico tedesco. Quanto tedeschi sono i tedeschi

RENZI, LUCA
2007

Abstract

Hermann Bausinger, Tipico tedesco. Quanto tedeschi sono i tedeschi? A c. di Luca Renzi. Pisa, ETS 2007. Si tratta in questo volume della raccolta di saggi più recenti di Bausinger (la pubblicazione in Germania risale al 2000) che va sotto il titolo inequivocabile di Tipico tedesco. Qui, attingendo a campi disparati quali l’antropologia, la storia, la filosofia e la letteratura, Bausinger, pur partendo da una dimensione specifica della realtà tedesca, abbandona la dimensione europea del precedente volume e torna a volgere lo sguardo al suo paese natale. L’impostazione è solida sul piano dei contenuti, scientemente documentata, fluida e discorsiva a livello di esposizione, con un tono piacevolmente colloquiale, di taglio informativo e immediatamente accessibile, dunque di divulgazione colta, caratterizzata da quadri culturologici di notevole complessità. Il discorso media indagine empirica e presa speculativa, lavoro sul campo e teoria. La domanda su cosa sia ‘tipico tedesco’ può apparire a primo acchito banale, poiché facile preda di piatti stereotipi e luoghi comuni, ma essa ha in realtà molto più in serbo di una risposta assertiva e va a fondo nel cogliere l’importanza per l’osservazione culturologica della manifestazione esteriore, dell’apparenza tipica, che definisce in concreto il carattere di individui, comunità o popoli. Certo l’apparenza non è tutto, essa va letta in profondità: è anzi proprio la lettura della superficie manifesta dei fenomeni culturali che ne rivela la valenza soggettiva e il valore oggettivo. Bausinger mette subito in evidenza l’inoppugnabile forza (dimostrativa e deittica, conoscitiva e fattuale, di inerzia e di convincimento) degli stereotipi, ovvero delle tipizzazioni preconfezionate di gruppi di persone sulla base di caratteristiche comuni. Che queste siano effettive o semplicemente attribuite non fa la differenza, poiché in principio – cioè prima della ricognizione critica del sé e della conoscenza endogena dell’altro – non vi è reale differenza. Il tipico altrui infatti è semplicemente ciò che devia dalla propria norna(lità): esso è un costrutto in relazione e nasce per giustapposizione irriflessa dell’altro in quanto differente dal sé. Il tipo caratteristico diventa stereotipo solo quando, anziché rimanere aperto al cambiamento e all’interazione viva delle parti, si fossilizza in formule ‘preparate’ non più accessibili al giudizio. E’ questa la ragione della sua forza, funzionale all’orientamento nel mondo, così come, così come della sua debolezza e insostenibilità, o persino assurdità, quando pretende di assurgere a posizioni assolute. Si veda a tal proposito l’intero I capitolo “Senso e assurdità della tipizzazione”. In virtù dell’aspetto costruttivo del processo di (stereo)tipizzazione, la via contrastiva, ovvero comparativa sembra essere l’unica percorribile verso la conoscenza antropologica, la quale altrimenti evaporerebbe in una vuota indefinitezza astratta. Succede, come rileva Bausinger, che le osservazioni tipologiche e le osservazioni stereotipizzanti, in virtù della loro intrinseca relatività intersoggettiva, dicano di più sulle particolarità del soggetto osservante che non su quelle dell’oggetto osservato, in una beffarda inversione di ruoli tipica delle interazioni dialettiche e dei rapporti interpretativi. L’apparente banalità della domanda su cosa sia tipicamente tedesco si rivela in realtà ricca di spunti di riflessione sulla tendenza spontanea alla stereotipizzazione che caratterizza l’intercorso social-culturale. Se da un lato vi è una autopercezione problematica da parte dei tedeschi stessi, dall’altro questa è rafforzata dalla percezione delle Germania dal di fuori, che spesso non va oltre il vuoto stereotipo appiattente e che nasconde a tutt’oggi una generale non conoscenza del paese e della sua cultura. Se è vero che i pregiudizi sono sempre il frutto di una autoriduzione del reale, nel caso dei tedeschi la forza della semplificazione triviale si mostra in maniera ancora più evidente ed esclusiva: la Germania è ancora per molti birra, crauti e Lederhosen, o tutt’al più sinonimo di efficienza e affidabilità, ordine maniacale e pulizia. La Germania è stata nel secolo scorso e in quello precedente in verità fucina degli ideali della modernità, ed è stata però anche il principale laboratorio critico degli stessi, il luogo dove si sono costruiti, decostruiti e riprogettati sistemi di pensiero, scuole e ideologie con una intensità ineguagliata. In questo quadro va fatta rientrare la considerazione sulle tendenze antimoderne sorte in ambito tedesco fin dal primo Ottocento, che si incarnano esemplarmente nell’elaborazione, in chiave idealistica prima, romantica poi, dei concetti di storia e natura, e nel mutuo investimento degli stessi nella storia della cultura tedesca. Bausinger compie una disamina attenta di questi concetti nel secondo e terzo capitolo, considerando la questione da una prospettiva attuale, attenta ai fenomeni della Germania di oggi, ma sempre sostanziata da una approfondita ricognizione storico-culturale (cfr. in part. i capp.’Natura e storia’, ‘Ricordare la storia’, ‘Paesaggi tedeschi’). Sulla scorta dello storicismo imperante si rafforza nella Germania post-unitaria l’attenzione per la storia locale, la cura per la ‘piccola patria’ paesana, cittadina o regionale (Heimat), con l’intento di preservarla in quanto entità contaminata, ricettacolo di tradizioni dai mutamenti del presente, dagli stravolgimenti socio-economici, antropologici e paesaggistici causati dall’incipiente industrializzazione del paese. La ‘storia’ antiquariamente diventa così a-storica. Bausiger, fra le tante cose, illustra come nasca un movimento tutto tedesco di cura assidua e meticolosa delle tradizioni patrie e locali, che durerà fino al giorno d’oggi, seppure adattato ai meccanismi e alle esigenze odierne. La patria assurta in tal modo a simbolo di una storia da conservare immutata nel corso del tempo “si lega in prima linea alla natura intatta, pacifica e armonica” (p. 83). A questa dal canto suo viene dedicata in Germania in epoca moderna un’attenzione difficilmente riscontrabile altrove, che testimonia dell’amore dei tedeschi per la natura, o meglio per la loro (idea di) natura. Una natura che si vorrebbe - anch’essa come la storia patria – incontaminata, pura e assoluta,e che invece è profondamente acculturata, controllata e predisposta per il piacere e la fruizione naturalistica: una natura dunque affatto tedesca e ‘tedeschizzata’, assiduamente preservata e amministrata con precisione. Per Bausinger è proprio nel concettosi Heimat, “tradizionale e decisamente rivolto al passato”, che “natura e storia si incontrano” (p. 91), in una ricerca di assoluto e di integrità a-storica le cui origini risalgono chiaramente al Romanticismo. Dal lascito culturale dell’Idealismo prima, e il Romanticismo poi e successivamente le filosofie della storia e della cultura (Hegel, Herder) fino alle propaggini del 20 secolo (si pensi a Cassirer) deriva una peculiare tradizione tedesca di Kulturkritik, espressasi in varie forme e a vari livelli, dalla vulgata popolare alla filosofia accademica, con risvolti produttivi in pressoché tutti gli ambiti disciplinari: dall’estetica alla pedagogia (Schiller, Steiner), dalla pratica artistica alla sociologia (Espressionismo, Scuola di Francoforte), passando per il design, l’architettura e l’urbanistica (il Bauhaus e la sua enfasi dell’idea di uomo come ‘animale’ culturale). Una Kulturkritik da intendersi in senso più specifico come fondazione critica degli studi culturologici, e che in questa veste costituisce il fondamentale contributo tedesco ai moderni Cultural studies. Cos’è tipicamente tedesco? Quali sono le caratteristiche specifiche dalle quali ciò si determina? E, soprattutto, esiste la figura del tedesco ideale, ricostruibile attraverso tali informazioni, a cui tutti i tedeschi indistintamente si conformano? La domanda può apparire banale, ironica, addirittura insinuante se con ciò si intende alludere a stereotipi negativi o addirittura infamanti. Bausinger raccoglie la sfida e cerca di dare una risposta ragionata e motivata a un quesito apparentemente ordinario. Partendo dall’idea stessa di standardizzazione e dalle critiche al concetto e alla possibilità stessa di un ideale generalizzante passa poi, nella seconda parte, all’analisi di alcuni degli stereotipi più comuni riferiti ai tedeschi: dai piatti cosiddetti regionali all’amore dei tedeschi per la natura e le associazioni, alla spiccata tendenza regolamentatrice. Nella terza parte vengono invece considerate le immagini, i simboli rappresentativi della nazione e del suo popolo: i colori della bandiera nazionale piuttosto che la figura del deutscher Michel o quella del Faust, mentre nella quarta e ultima vengono messi in luce gli aspetti più recenti dello sviluppo del concetto di ‘popolo’, anche in relazione agli sviluppi sociali e tecnologici: la presenza degli stranieri, lo scambio di dati attraverso le nuove tecniche, fino alle ‘frontiere dell’arbitrarietà’, dovute ai cambiamenti sociologici che rendono difficili caratterizzazioni generali. Questo libro, a metà strada tra saggio di antropologia e letteratura dilettantesca, dal linguaggio scorrevole e dalle felici intuizioni supportate da sagge riflessioni, che spaziano dalla psicologia alla storia e alla sociologia, è una preziosa e affascinante guida nell’ampio universo tedesco. Senza cadere nel banale da un lato o usare una metodologia marcatamente specialistica dall’altro, Bausinger riflette e fornisce spiegazioni sulle varie immagini che spesso vengono attribuite al popolo tedesco, citando opere e pensieri di filosofi, antropologi e uomini politici, tedeschi e non. Non mancano gli scrittori quali Eichendorff, e addirittura strofe di canzoni popolari. Un ventaglio di strumenti, che permettono al lettore di capire un po’ più a fondo i nostri concittadini europei.
2007
9788846718877
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11576/1893922
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