PREMESSA. Da alcuni anni il tema dell’innovazione è tornato al centro dell’attenzione scientifica. Le ricerche, tuttavia, si sono focalizzate prevalentemente sulle dimensioni legate alla valorizzazione economica; solo marginalmente invece sui meccanismi generativi e sui suoi protagonisti. Poca attenzione, ad esempio, è stata tributata agli INVENTORI, specialmente nell’ambito della sociologia economica. Il libro affronta questo tema a partire da un’ampia ricerca condotta sugli inventori italiani, assumendo una prospettiva di tipo sociologico, ovvero considerando le loro invenzioni come l’esito di un processo di costruzione sociale. I percorsi che conducono alla scoperta di cose nuove, infatti, sono altamente socializzati. Sono frutto di uno sforzo collettivo, che varia però secondo i settori tecnologici, i territori e le diverse modalità di social embeddedness. La ricerca presentata nel volume si collega strettamente ad uno studio precedente riguardante le Imprese e territori dell’alta tecnologia in Italia (a cura di F. Ramella e C. Trigilia, Il Mulino). In entrambi i casi sono stati utilizzati come dati di riferimento i brevetti italiani depositati presso l’ente europeo di protezione dei diritti di proprietà intellettuale (EPO) nello scorso decennio. Per quanto riguarda lo studio sugli inventori, il fine era di ricostruire il profilo sociale e il percorso professionale di queste figure, le modalità attraverso le quali prende corpo l’invenzione che viene brevettata, le caratteristiche principali sotto il profilo tecnico-scientifico e quello commerciale dei brevetti realizzati. IL DISEGNO DELLA RICERCA. La ricerca su cui si basa il volume propone un approccio multidimensionale che tiene insieme le dimensioni individuali (gli attributi degli inventori), relazionali (le reti sociali) e contestuali (l’aspetto territoriale, settoriale e organizzativo) che strutturano i processi inventivi. Nell’indagine precedente, per ricostruire la geografia dell’innovazione in Italia, erano state utilizzate le domande di brevetto depositate presso l’European Patent Office tra il 1995 e il 2004. Utilizzando la stessa base dati, nella ricerca successiva sono stati usati i brevetti concessi, ovvero le invenzioni italiane a cui sono stati riconosciuti i caratteri di novità, non ovvietà (inventive step) e applicabilità industriale richiesti per la brevettazione. In breve, questi brevetti sono serviti per studiare gli inventori e le invenzioni italiane tutelate su scala europea. Venendo alle finalità specifiche dello studio, gli obiettivi erano di individuare: i percorsi biografici e professionali degli inventori italiani; la genesi e i contenuti delle loro invenzioni; la componente relazionale delle attività di ricerca e delle scoperte più importanti; il valore dei brevetti. Per raggiungere questi obiettivi sono state utilizzate diverse tecniche di indagine, sulla base del criterio metodologico della triangolazione che suggerisce l’utilizzo di fonti e strumenti diversi per la rilevazione di uno stesso fenomeno. Innanzitutto è stata svolta un’analisi quantitativa, mediante un questionario somministrato per via elettronica a circa 750 inventori dei settori della meccanica, della farmaceutica e degli apparecchi medicali. Il questionario è stato strutturato in modo da approfondire, oltre agli aspetti biografici e professionali dei singoli inventori, anche la dimensione organizzativa delle loro attività e i “gruppi di ricerca” a cui appartengono. Per approfondire questi aspetti è stato fatto ricorso anche all’analisi qualitativa – mediante oltre 50 interviste semistrutturate con un campione di inventori del Centro-Nord e del Sud - e all’analisi di rete. Quest’ultima è stata utilizzata sia su un campione limitato di inventori, per ricostruire le logiche processuali e relazionali della loro scoperta più importante, sia sull’intero data-base dei brevetti europei, per ricostruire le reti professionali e territoriali degli inventori italiani. Infine, l’analisi del contenuto dei brevetti è stata utile per ricostruire cosa si inventa in Italia e per valutarne il valore economico e tecnico-scientifico. Per fare questo sono stati usati, da un lato, i dati raccolti tramite i questionari (le descrizioni dei brevetti fornite dagli stessi inventori) e, dall’altro, le analisi condotte da due giurie di esperti su un campione di circa 550 brevetti della farmaceutica e della meccanica. Quest’ultimo metodo – che non mi risulta essere mai stato impiegato in precedenza su una scala così ampia – oltre a permettere una classificazione tipologica delle invenzioni, ha consentito di valutarne anche la portata innovativa. Per analizzare la rilevanza dei brevetti, infine, è stata fatta anche un’analisi delle citazioni ricevute (forward citations) da un campione di oltre 2.800 brevetti e delle auto-valutazioni fornite dagli stessi inventori nelle risposte al nostro questionario I RISULTATI DELLO STUDIO. L’insieme degli strumenti di indagine che sono stati utilizzati fornisce un’immagine complessiva dei soggetti e dei processi legati alle invenzioni che si brevettano in Italia. Ne emergono tre mondi sociali distinti, ciascuno dei quali con protagonisti, settori di specializzazione, modalità organizzative, basi territoriali e rapporti con lo sviluppo locale differenti. Il primo di tali mondi è quello dell’alta tecnologia in senso stretto, in cui il processo inventivo è fortemente istituzionalizzato. Ci sono protagonisti specializzati – i ricercatori – dediti specificamente allo sviluppo di nuove invenzioni, in strutture apposite, con l’obiettivo esplicito di formalizzarle in brevetti. Queste attività riguardano circa un quarto dei brevetti italiani e sono particolarmente presenti nella farmaceutica e negli apparecchi medicali. Nell’indagine sugli inventori e le invenzioni sono state messe a fuoco le caratteristiche di questi due settori come particolarmente rappresentativi del mondo dell’alta tecnologia in senso stretto. Ciò che però distingue maggiormente la realtà italiana rispetto a quella di altri paesi avanzati è il forte peso nelle attività innovative dell’ampio e variegato mondo della meccanica. Da questo settore viene il contributo nettamente prevalente ai brevetti nella medio-alta tecnologia, che costituiscono oltre la metà dei nostri brevetti complessivi. All’interno della meccanica l’indagine lascia chiaramente intravedere due mondi sociali distinti. Uno è quello della meccanica a elevata istituzionalizzazione della ricerca; l’altro riguarda invece la meccanica a bassa istituzionalizzazione. Nel primo caso, il processo inventivo ha soggetti e strutture specializzati, sebbene in genere a un livello di formalizzazione inferiore a quello della farmaceutica. Nel secondo, l’istituzionalizzazione delle attività inventive è ancora più bassa; sono maggiormente presenti inventori isolati o indipendenti e invenzioni che nascono non come conseguenza di specifiche attività organizzate, ma come risultato – talvolta inaspettato - di altre attività miranti a risolvere particolari problemi o ad accrescere la competitività aziendale. Il libro approfondisce i tratti distintivi di ognuno di questi tre mondi, in termini di soggetti, territori, strutture organizzative, reti e processi inventivi. La ricerca offre vari spunti di rilevanza teorica. Innanzitutto mette chiaramente in luce l’importanza della costruzione sociale delle invenzioni. L’attività inventiva, infatti, risulta fortemente socializzata. Sotto diversi profili. In primo luogo perché la gran parte dei brevetti sono frutto dello sforzo collettivo di team di ricerca. In secondo luogo, perché le relazioni sociali, le discussioni tra ricercatori, i continui scambi di idee, fuori e dentro il lavoro, permeano profondamente la “dialettica della scoperta” e ne influenzano i risultati. Dunque, la golden age degli inventori “eroici e solitari” - se mai è esistita - appare oggi tramontata. Questo non implica però la scomparsa degli inventori isolati. A questo proposito la ricerca offre un risultato non scontato: la persistenza di questo filone individuale di creatività, che alimenta scoperte anche di una certa rilevanza. Il ruolo degli inventori isolati, tuttavia, va correttamente inquadrato in una prospettiva di political economy. Ovvero va messo in relazione al peso del settore meccanico in Italia e alla sua particolare configurazione organizzativa e territoriale. Ciò consente di evitare ogni “riduzionismo psicologico” e di sottolineare il rilievo che – anche in questo caso – giocano le relazioni sociali. Perché essere inventori isolati non significa essere ricercatori solitari, che non hanno rapporti di collaborazione con altri. Al contrario, i brevetti di questi inventori risultano tanto più rilevanti quanto più si avvalgono di fonti di conoscenza esterne: scambi informali di idee con colleghi della propria o di altre organizzazioni, rapporti con università e con la letteratura scientifica ecc. Un secondo aspetto da sottolineare è la rilevanza delle dimensioni socio-organizzative. Una organizzazione che supporta con mezzi adeguati i propri team, lasciandogli però piena indipendenza, così come un gruppo di lavoro coeso, basato su modi di coordinamento flessibili, capaci di coniugare direzione della ricerca e autonomia dei ricercatori, sono tutti fattori che migliorano significativamente la performance inventiva. Quest’ultima, perciò, non dipende esclusivamente dalle caratteristiche dei singoli inventori e neppure dalla semplice sommatoria di quelle del team di ricerca. Piuttosto si manifesta come proprietà emergente di interazioni di gruppo, spesso di tipo informale, favorite da un’appropriata forma organizzativa. Si tratta di osservazioni in linea con le riflessioni di Merton sulla sociologia della scienza, laddove rileva la necessità di superare una prospettiva esclusivamente psicologica per capire i fenomeni di serendipity, ovvero l’emerge di un risultato di ricerca “imprevisto, anomalo e strategico”. Merton rileva che questo tipo di scoperte - rilevanti e inaspettate - sono favorite da particolari contesti organizzativi. Microambienti socio-cognitivi dove si realizza una sorta di “serendipity istituzionalizzata”, grazie ad un’ampia libertà di indagine e frequenti occasioni di interazione informale tra ricercatori appartenenti a diversi ambiti disciplinari. Infine, lo studio mette bene in luce la logica di complementarietà che governa i processi di innovazione. Uno degli aspetti essenziali per il successo delle attività inventive è la capacità di usare competenze diverse, per tipo e provenienza, bilanciando risorse di coesione e di varietà. Dall’indagine emerge una positiva complementarietà tra le relazioni interne ed esterne all’organizzazione di appartenenza. Se da un lato le risorse esterne ne accrescono la requisite variety , dall’altro quelle interne ne potenziano la capacità di assorbimento. Lo stesso ragionamento vale per le reti corte e quelle lunghe. Non di rado infatti il successo degli inventori - così come quello delle imprese innovative - dipende dalla capacità di combinare creativamente le risorse “vicine” del territorio con quelle “lontane”, esterne ad esso. E ciò è tanto più necessario, quanto più il contesto in cui operano risulta carente di competenze e di beni collettivi appropriati.

Invenzioni, inventori e territori in Italia

RAMELLA, FRANCESCO;
2010

Abstract

PREMESSA. Da alcuni anni il tema dell’innovazione è tornato al centro dell’attenzione scientifica. Le ricerche, tuttavia, si sono focalizzate prevalentemente sulle dimensioni legate alla valorizzazione economica; solo marginalmente invece sui meccanismi generativi e sui suoi protagonisti. Poca attenzione, ad esempio, è stata tributata agli INVENTORI, specialmente nell’ambito della sociologia economica. Il libro affronta questo tema a partire da un’ampia ricerca condotta sugli inventori italiani, assumendo una prospettiva di tipo sociologico, ovvero considerando le loro invenzioni come l’esito di un processo di costruzione sociale. I percorsi che conducono alla scoperta di cose nuove, infatti, sono altamente socializzati. Sono frutto di uno sforzo collettivo, che varia però secondo i settori tecnologici, i territori e le diverse modalità di social embeddedness. La ricerca presentata nel volume si collega strettamente ad uno studio precedente riguardante le Imprese e territori dell’alta tecnologia in Italia (a cura di F. Ramella e C. Trigilia, Il Mulino). In entrambi i casi sono stati utilizzati come dati di riferimento i brevetti italiani depositati presso l’ente europeo di protezione dei diritti di proprietà intellettuale (EPO) nello scorso decennio. Per quanto riguarda lo studio sugli inventori, il fine era di ricostruire il profilo sociale e il percorso professionale di queste figure, le modalità attraverso le quali prende corpo l’invenzione che viene brevettata, le caratteristiche principali sotto il profilo tecnico-scientifico e quello commerciale dei brevetti realizzati. IL DISEGNO DELLA RICERCA. La ricerca su cui si basa il volume propone un approccio multidimensionale che tiene insieme le dimensioni individuali (gli attributi degli inventori), relazionali (le reti sociali) e contestuali (l’aspetto territoriale, settoriale e organizzativo) che strutturano i processi inventivi. Nell’indagine precedente, per ricostruire la geografia dell’innovazione in Italia, erano state utilizzate le domande di brevetto depositate presso l’European Patent Office tra il 1995 e il 2004. Utilizzando la stessa base dati, nella ricerca successiva sono stati usati i brevetti concessi, ovvero le invenzioni italiane a cui sono stati riconosciuti i caratteri di novità, non ovvietà (inventive step) e applicabilità industriale richiesti per la brevettazione. In breve, questi brevetti sono serviti per studiare gli inventori e le invenzioni italiane tutelate su scala europea. Venendo alle finalità specifiche dello studio, gli obiettivi erano di individuare: i percorsi biografici e professionali degli inventori italiani; la genesi e i contenuti delle loro invenzioni; la componente relazionale delle attività di ricerca e delle scoperte più importanti; il valore dei brevetti. Per raggiungere questi obiettivi sono state utilizzate diverse tecniche di indagine, sulla base del criterio metodologico della triangolazione che suggerisce l’utilizzo di fonti e strumenti diversi per la rilevazione di uno stesso fenomeno. Innanzitutto è stata svolta un’analisi quantitativa, mediante un questionario somministrato per via elettronica a circa 750 inventori dei settori della meccanica, della farmaceutica e degli apparecchi medicali. Il questionario è stato strutturato in modo da approfondire, oltre agli aspetti biografici e professionali dei singoli inventori, anche la dimensione organizzativa delle loro attività e i “gruppi di ricerca” a cui appartengono. Per approfondire questi aspetti è stato fatto ricorso anche all’analisi qualitativa – mediante oltre 50 interviste semistrutturate con un campione di inventori del Centro-Nord e del Sud - e all’analisi di rete. Quest’ultima è stata utilizzata sia su un campione limitato di inventori, per ricostruire le logiche processuali e relazionali della loro scoperta più importante, sia sull’intero data-base dei brevetti europei, per ricostruire le reti professionali e territoriali degli inventori italiani. Infine, l’analisi del contenuto dei brevetti è stata utile per ricostruire cosa si inventa in Italia e per valutarne il valore economico e tecnico-scientifico. Per fare questo sono stati usati, da un lato, i dati raccolti tramite i questionari (le descrizioni dei brevetti fornite dagli stessi inventori) e, dall’altro, le analisi condotte da due giurie di esperti su un campione di circa 550 brevetti della farmaceutica e della meccanica. Quest’ultimo metodo – che non mi risulta essere mai stato impiegato in precedenza su una scala così ampia – oltre a permettere una classificazione tipologica delle invenzioni, ha consentito di valutarne anche la portata innovativa. Per analizzare la rilevanza dei brevetti, infine, è stata fatta anche un’analisi delle citazioni ricevute (forward citations) da un campione di oltre 2.800 brevetti e delle auto-valutazioni fornite dagli stessi inventori nelle risposte al nostro questionario I RISULTATI DELLO STUDIO. L’insieme degli strumenti di indagine che sono stati utilizzati fornisce un’immagine complessiva dei soggetti e dei processi legati alle invenzioni che si brevettano in Italia. Ne emergono tre mondi sociali distinti, ciascuno dei quali con protagonisti, settori di specializzazione, modalità organizzative, basi territoriali e rapporti con lo sviluppo locale differenti. Il primo di tali mondi è quello dell’alta tecnologia in senso stretto, in cui il processo inventivo è fortemente istituzionalizzato. Ci sono protagonisti specializzati – i ricercatori – dediti specificamente allo sviluppo di nuove invenzioni, in strutture apposite, con l’obiettivo esplicito di formalizzarle in brevetti. Queste attività riguardano circa un quarto dei brevetti italiani e sono particolarmente presenti nella farmaceutica e negli apparecchi medicali. Nell’indagine sugli inventori e le invenzioni sono state messe a fuoco le caratteristiche di questi due settori come particolarmente rappresentativi del mondo dell’alta tecnologia in senso stretto. Ciò che però distingue maggiormente la realtà italiana rispetto a quella di altri paesi avanzati è il forte peso nelle attività innovative dell’ampio e variegato mondo della meccanica. Da questo settore viene il contributo nettamente prevalente ai brevetti nella medio-alta tecnologia, che costituiscono oltre la metà dei nostri brevetti complessivi. All’interno della meccanica l’indagine lascia chiaramente intravedere due mondi sociali distinti. Uno è quello della meccanica a elevata istituzionalizzazione della ricerca; l’altro riguarda invece la meccanica a bassa istituzionalizzazione. Nel primo caso, il processo inventivo ha soggetti e strutture specializzati, sebbene in genere a un livello di formalizzazione inferiore a quello della farmaceutica. Nel secondo, l’istituzionalizzazione delle attività inventive è ancora più bassa; sono maggiormente presenti inventori isolati o indipendenti e invenzioni che nascono non come conseguenza di specifiche attività organizzate, ma come risultato – talvolta inaspettato - di altre attività miranti a risolvere particolari problemi o ad accrescere la competitività aziendale. Il libro approfondisce i tratti distintivi di ognuno di questi tre mondi, in termini di soggetti, territori, strutture organizzative, reti e processi inventivi. La ricerca offre vari spunti di rilevanza teorica. Innanzitutto mette chiaramente in luce l’importanza della costruzione sociale delle invenzioni. L’attività inventiva, infatti, risulta fortemente socializzata. Sotto diversi profili. In primo luogo perché la gran parte dei brevetti sono frutto dello sforzo collettivo di team di ricerca. In secondo luogo, perché le relazioni sociali, le discussioni tra ricercatori, i continui scambi di idee, fuori e dentro il lavoro, permeano profondamente la “dialettica della scoperta” e ne influenzano i risultati. Dunque, la golden age degli inventori “eroici e solitari” - se mai è esistita - appare oggi tramontata. Questo non implica però la scomparsa degli inventori isolati. A questo proposito la ricerca offre un risultato non scontato: la persistenza di questo filone individuale di creatività, che alimenta scoperte anche di una certa rilevanza. Il ruolo degli inventori isolati, tuttavia, va correttamente inquadrato in una prospettiva di political economy. Ovvero va messo in relazione al peso del settore meccanico in Italia e alla sua particolare configurazione organizzativa e territoriale. Ciò consente di evitare ogni “riduzionismo psicologico” e di sottolineare il rilievo che – anche in questo caso – giocano le relazioni sociali. Perché essere inventori isolati non significa essere ricercatori solitari, che non hanno rapporti di collaborazione con altri. Al contrario, i brevetti di questi inventori risultano tanto più rilevanti quanto più si avvalgono di fonti di conoscenza esterne: scambi informali di idee con colleghi della propria o di altre organizzazioni, rapporti con università e con la letteratura scientifica ecc. Un secondo aspetto da sottolineare è la rilevanza delle dimensioni socio-organizzative. Una organizzazione che supporta con mezzi adeguati i propri team, lasciandogli però piena indipendenza, così come un gruppo di lavoro coeso, basato su modi di coordinamento flessibili, capaci di coniugare direzione della ricerca e autonomia dei ricercatori, sono tutti fattori che migliorano significativamente la performance inventiva. Quest’ultima, perciò, non dipende esclusivamente dalle caratteristiche dei singoli inventori e neppure dalla semplice sommatoria di quelle del team di ricerca. Piuttosto si manifesta come proprietà emergente di interazioni di gruppo, spesso di tipo informale, favorite da un’appropriata forma organizzativa. Si tratta di osservazioni in linea con le riflessioni di Merton sulla sociologia della scienza, laddove rileva la necessità di superare una prospettiva esclusivamente psicologica per capire i fenomeni di serendipity, ovvero l’emerge di un risultato di ricerca “imprevisto, anomalo e strategico”. Merton rileva che questo tipo di scoperte - rilevanti e inaspettate - sono favorite da particolari contesti organizzativi. Microambienti socio-cognitivi dove si realizza una sorta di “serendipity istituzionalizzata”, grazie ad un’ampia libertà di indagine e frequenti occasioni di interazione informale tra ricercatori appartenenti a diversi ambiti disciplinari. Infine, lo studio mette bene in luce la logica di complementarietà che governa i processi di innovazione. Uno degli aspetti essenziali per il successo delle attività inventive è la capacità di usare competenze diverse, per tipo e provenienza, bilanciando risorse di coesione e di varietà. Dall’indagine emerge una positiva complementarietà tra le relazioni interne ed esterne all’organizzazione di appartenenza. Se da un lato le risorse esterne ne accrescono la requisite variety , dall’altro quelle interne ne potenziano la capacità di assorbimento. Lo stesso ragionamento vale per le reti corte e quelle lunghe. Non di rado infatti il successo degli inventori - così come quello delle imprese innovative - dipende dalla capacità di combinare creativamente le risorse “vicine” del territorio con quelle “lontane”, esterne ad esso. E ciò è tanto più necessario, quanto più il contesto in cui operano risulta carente di competenze e di beni collettivi appropriati.
2010
9788815139054
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11576/2503948
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