Il Saggio contiene ed amplia la relazione introduttiva tenuta dall’Autrice al Convegno ‘Città e criminalità’ svoltosi a Pesaro nel maggio2004, con lo scopo di attuare un incontro fra giuristi e criminologi, rappresentanti della Pubblica Amministrazione , urbanisti , ingegneri ed architetti, affinché dal confronto fra diversi ‘saperi’, potesse scaturire una completa valutazione sul ruolo dei così detti programmi CPTED (Crime Prevention trhough environmental design) all’interno delle strategie di contenimento della criminalità urbana. I principali contributi offerti dai partecipanti sono poi stati raccolti, a cura dell’Autrice, nel volume ‘Città e criminalità’, all’interno del quale è collocato anche il Saggio stesso. Il lavoro si apre con una riflessione sull’allarmante incremento – rilevato dall’indagine empirica- di forme di devianza e di criminalità nei centri urbani. Viene messo in luce, accanto all’oggettiva lesività degli street crimes, anche il loro impatto negativo sullo stato d’animo dei cittadini, i quali vivono ormai in uno stato di insicurezza tale da portarli a sovrastimare il rischio di vittimizzazione, nonchè a scegliere stili di vita ‘ blindati’, con conseguente rarefazione dei rapporti sociali. Si osserva che lo stesso scadimento irrazionale del concern about crime in fear of crime può a sua volta presentare valenze criminogene, sia perché può sfociare in episodi di intolleranza e di violenza nei confronti di coloro che, a torto o a ragione, sono individuati come potenziali criminali, sia perché, causando di fatto una notevole diminuzione di percorrenza nei centri urbani, determina l’ abbassamento del controllo informale ed incrociato e la perdita di quel ‘ senso della presenza del guardiano’ che già le teorie routinarie hanno indicato come efficace mezzo di dissuasione nei confronti di potenziali criminali pronti a compiere atti delinquenziali . Si osserva che il fenomeno non può essere affrontato ricorrendo esclusivamente a mezzi di prevenzione penale o sociale : i primi rischiano di non cogliere le componenti più sottilmente psicologiche della questione ; i secondi , pur indubbiamente necessari ai fini di una soluzione radicale del problema, si dimostrano inadeguati a rispondere all’urgente domanda di sicurezza della popolazione, a causa di una loro fisiologica lentezza. Un’utile strategia sembra essere quella di un’approccio globale ed integrato al problema, che affianchi agli ineludibili programmi di prevenzione penale e sociale anche metodologie di prevenzione situazionale, dirette a costituire uno sbarramento immediatamente operativo nei confronti del delinquente già motivato a commettere il crimine. Fra tali metodologie, il saggio individua come particolarmente idonee proprio quelle destinate ad agire sul contesto fisico delle aree cittadine attraverso la pianificazione urbanistica e la progettazione architettonica, ormai universalmente designati con l’acronimo CPTED ( Crime prevention through environmental design). Si tratta di metodologie applicate in America e poi nel regno unito ormai da decenni e che, sottoposte a verifica empirica, hanno dimostrato di produrre un decremento di criminalità Numerosi paragrafi approfondiscono le caratteristiche, l’evoluzione e le linee operative di tali programmi, partendo dalla loro enucleazione in seno alla teoria dello ‘spazio difendibile ‘ di Oscar Newman ed alla speculazione di criminologi del calibro di Jeffery, fino al loro recepimento da parte del movimento statunitense del ‘New Urbanism’, degli Urban Codes americani e dei programmi di prevenzione della criminalità nel Regno Unito. Vengono descritte le applicazioni concrete di tali programmi, realizzate su larga scala in numerose principali città degli Stati Uniti, con riferimento sia alla rimozione di quegli aspetti di edifici o degli spazi urbani suscettibili di offrire ‘ opportunità criminali’o di incrementare l’ansia e la paura di vittimizzazione dei cittadini , sia alla riqualificazione del territorio secondo i criteri- basilari della frammentazione, mescolanza e trasparenza, diretti a favorire la sorveglianza spontanea da parte degli abitanti, ad incrementare la percorrenza nei quartieri, ed, infine, a dissuadere dal compimento del crimine i potenziali delinquenti, rimandando ai loro occhi , per dirla con Newman, ‘ l’immagine di una collettività organizzata che bada a sé stessa’. Il saggio tiene conto anche delle risultanze delle verifiche concrete in ordine alla utilità di tali programmi, effettuate mediante controlli statistici che hanno segnalato un effettivo decremento del tasso di criminalità nelle aree oggetto di intervento. Dei programmi illustrati viene segnalata anche la forte valenza sociale e, per così dire, ‘educativa’. Essi mirano infatti, attraverso nuove forme del costruito, a restituire ai cittadini una città più vivibile e sicura, invogliandoli a ripopolare gli spazi urbani , a tessere rapporti di vicinato ed a occuparsi in maniera responsabile del proprio territorio e dei propri beni Si segnala tuttavia, con rammarico, il notevole ritardo con il quale in Europa – con l’unica eccezione del Regno Unito- tali programmi sono stati presi in considerazione e, comunque, la tiepida attenzione che essi hanno suscitato. Infatti, essi sono state recepite – all’interno di un pur dettagliato rapporto tecnico articolato in Prenome - esclusivamente dal Comité Européen de normalisation, cioè da un Ente avente poteri consultivi e di mera certificazione del livello di qualità di beni o di prodotti. Per quello che riguarda la situazione interna in Italia, benché le Prenorme siano state recepite dall’UNI, manca una pianificazione coordinata ed organica circa la loro applicazione da parte delle Pubbliche Amministrazioni. Il Saggio dà conto, all’interno del nostro Paese, di una realtà discontinua e frammentata, nella quale il ricorso alle tecniche CPTED è lasciata all’autonoma iniziativa di qualche Ente locale particolarmente aggiornato, così che aree trattate con tali metodi di prevenzione appaiono isolate all’interno di un territorio segnata dalla criminalità urbana e sicuramente bisognoso di interventi. Il Saggio si conclude con la considerazione che una maggiore consapevolezza circa l’innegabile utilità di tali programmi potrà essere raggiunta soltanto attraverso un’adeguata campagna informativa rivolta a tutti coloro che le stesse Prenorme indicano come stake holders, portatori degli interessi in gioco : vale a dire cittadini, Pubbliche Amministrazioni, progettisti, urbanisti e criminologi. Proprio con tale intento è stato indetto il Convegno sopra indicato ed è stato redatto il volume del quale il Saggio è parte.

Il ruolo dell'architettura e dell'urbanistica nella prevenzione situazionale, all'interno delle strategie di contenimento della criminalità urbana

BARBONI, RITA MARIA
2005

Abstract

Il Saggio contiene ed amplia la relazione introduttiva tenuta dall’Autrice al Convegno ‘Città e criminalità’ svoltosi a Pesaro nel maggio2004, con lo scopo di attuare un incontro fra giuristi e criminologi, rappresentanti della Pubblica Amministrazione , urbanisti , ingegneri ed architetti, affinché dal confronto fra diversi ‘saperi’, potesse scaturire una completa valutazione sul ruolo dei così detti programmi CPTED (Crime Prevention trhough environmental design) all’interno delle strategie di contenimento della criminalità urbana. I principali contributi offerti dai partecipanti sono poi stati raccolti, a cura dell’Autrice, nel volume ‘Città e criminalità’, all’interno del quale è collocato anche il Saggio stesso. Il lavoro si apre con una riflessione sull’allarmante incremento – rilevato dall’indagine empirica- di forme di devianza e di criminalità nei centri urbani. Viene messo in luce, accanto all’oggettiva lesività degli street crimes, anche il loro impatto negativo sullo stato d’animo dei cittadini, i quali vivono ormai in uno stato di insicurezza tale da portarli a sovrastimare il rischio di vittimizzazione, nonchè a scegliere stili di vita ‘ blindati’, con conseguente rarefazione dei rapporti sociali. Si osserva che lo stesso scadimento irrazionale del concern about crime in fear of crime può a sua volta presentare valenze criminogene, sia perché può sfociare in episodi di intolleranza e di violenza nei confronti di coloro che, a torto o a ragione, sono individuati come potenziali criminali, sia perché, causando di fatto una notevole diminuzione di percorrenza nei centri urbani, determina l’ abbassamento del controllo informale ed incrociato e la perdita di quel ‘ senso della presenza del guardiano’ che già le teorie routinarie hanno indicato come efficace mezzo di dissuasione nei confronti di potenziali criminali pronti a compiere atti delinquenziali . Si osserva che il fenomeno non può essere affrontato ricorrendo esclusivamente a mezzi di prevenzione penale o sociale : i primi rischiano di non cogliere le componenti più sottilmente psicologiche della questione ; i secondi , pur indubbiamente necessari ai fini di una soluzione radicale del problema, si dimostrano inadeguati a rispondere all’urgente domanda di sicurezza della popolazione, a causa di una loro fisiologica lentezza. Un’utile strategia sembra essere quella di un’approccio globale ed integrato al problema, che affianchi agli ineludibili programmi di prevenzione penale e sociale anche metodologie di prevenzione situazionale, dirette a costituire uno sbarramento immediatamente operativo nei confronti del delinquente già motivato a commettere il crimine. Fra tali metodologie, il saggio individua come particolarmente idonee proprio quelle destinate ad agire sul contesto fisico delle aree cittadine attraverso la pianificazione urbanistica e la progettazione architettonica, ormai universalmente designati con l’acronimo CPTED ( Crime prevention through environmental design). Si tratta di metodologie applicate in America e poi nel regno unito ormai da decenni e che, sottoposte a verifica empirica, hanno dimostrato di produrre un decremento di criminalità Numerosi paragrafi approfondiscono le caratteristiche, l’evoluzione e le linee operative di tali programmi, partendo dalla loro enucleazione in seno alla teoria dello ‘spazio difendibile ‘ di Oscar Newman ed alla speculazione di criminologi del calibro di Jeffery, fino al loro recepimento da parte del movimento statunitense del ‘New Urbanism’, degli Urban Codes americani e dei programmi di prevenzione della criminalità nel Regno Unito. Vengono descritte le applicazioni concrete di tali programmi, realizzate su larga scala in numerose principali città degli Stati Uniti, con riferimento sia alla rimozione di quegli aspetti di edifici o degli spazi urbani suscettibili di offrire ‘ opportunità criminali’o di incrementare l’ansia e la paura di vittimizzazione dei cittadini , sia alla riqualificazione del territorio secondo i criteri- basilari della frammentazione, mescolanza e trasparenza, diretti a favorire la sorveglianza spontanea da parte degli abitanti, ad incrementare la percorrenza nei quartieri, ed, infine, a dissuadere dal compimento del crimine i potenziali delinquenti, rimandando ai loro occhi , per dirla con Newman, ‘ l’immagine di una collettività organizzata che bada a sé stessa’. Il saggio tiene conto anche delle risultanze delle verifiche concrete in ordine alla utilità di tali programmi, effettuate mediante controlli statistici che hanno segnalato un effettivo decremento del tasso di criminalità nelle aree oggetto di intervento. Dei programmi illustrati viene segnalata anche la forte valenza sociale e, per così dire, ‘educativa’. Essi mirano infatti, attraverso nuove forme del costruito, a restituire ai cittadini una città più vivibile e sicura, invogliandoli a ripopolare gli spazi urbani , a tessere rapporti di vicinato ed a occuparsi in maniera responsabile del proprio territorio e dei propri beni Si segnala tuttavia, con rammarico, il notevole ritardo con il quale in Europa – con l’unica eccezione del Regno Unito- tali programmi sono stati presi in considerazione e, comunque, la tiepida attenzione che essi hanno suscitato. Infatti, essi sono state recepite – all’interno di un pur dettagliato rapporto tecnico articolato in Prenome - esclusivamente dal Comité Européen de normalisation, cioè da un Ente avente poteri consultivi e di mera certificazione del livello di qualità di beni o di prodotti. Per quello che riguarda la situazione interna in Italia, benché le Prenorme siano state recepite dall’UNI, manca una pianificazione coordinata ed organica circa la loro applicazione da parte delle Pubbliche Amministrazioni. Il Saggio dà conto, all’interno del nostro Paese, di una realtà discontinua e frammentata, nella quale il ricorso alle tecniche CPTED è lasciata all’autonoma iniziativa di qualche Ente locale particolarmente aggiornato, così che aree trattate con tali metodi di prevenzione appaiono isolate all’interno di un territorio segnata dalla criminalità urbana e sicuramente bisognoso di interventi. Il Saggio si conclude con la considerazione che una maggiore consapevolezza circa l’innegabile utilità di tali programmi potrà essere raggiunta soltanto attraverso un’adeguata campagna informativa rivolta a tutti coloro che le stesse Prenorme indicano come stake holders, portatori degli interessi in gioco : vale a dire cittadini, Pubbliche Amministrazioni, progettisti, urbanisti e criminologi. Proprio con tale intento è stato indetto il Convegno sopra indicato ed è stato redatto il volume del quale il Saggio è parte.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11576/2511568
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