Esiste un paradosso nelle Scienze della Terra che possiamo tranquillamente mutuare nella psicopatologia delle emozioni. La pioggia, essenziale per la vita così come l’affettività, può accelerare i processi di desertificazione: i nubifragi lavano terreno fertile, scavando la terra fino a trovare roccia inerte. Così cresce il deserto. E le sostanze organiche rimosse, necessarie alla vita, trovano posto solo a livelli stratigrafici inferiori dell’individuo nell’attesa di essere riattivate in superficie. Questa desertificazione traumatica tende a collocarsi nell’area della mente dove la conversazione tra linguaggi è sospesa e la condivisione delle esperienze diventa difettosa (Correale A., 2010), un reale che non può essere pensato e rimane esterno nella sua rigidità (Benvenuto S., 1998). Il trauma è definito in psicoanalisi come l’intensità di un evento al quale il soggetto non è in grado di rispondere in modo adeguato (Freud S., 1915-17), una ferita che ha prodotto uno strappo nella continuità e nella coerenza del Sé (Bromberg P.M., 1998) accompagnato da ansia di annichilimento (Coates, Moore, 1997) insieme ad altre emozioni negative. Esso viene delimitato narrativamente da un prima ed un dopo come lembi della lacerazione nelle difese, normalmente attive nel respingere efficacemente gli stimoli dannosi, che permettono di circoscrivere l’evento anche se in modo approssimativo ed unicamente nei termini della temporalità. La disorganizzazione indotta dall’evento traumatico porta con sè una cristallizzazione dell’esperienza in un tempo di nessuno, dove la discordanza tra vissuto e percezione traumatica origina dalla mancata rispondenza delle attivazioni emotopercettive a logiche consapevoli acquisite.

La desertificazione emotiva del trauma

ACQUARINI, ELENA
2010

Abstract

Esiste un paradosso nelle Scienze della Terra che possiamo tranquillamente mutuare nella psicopatologia delle emozioni. La pioggia, essenziale per la vita così come l’affettività, può accelerare i processi di desertificazione: i nubifragi lavano terreno fertile, scavando la terra fino a trovare roccia inerte. Così cresce il deserto. E le sostanze organiche rimosse, necessarie alla vita, trovano posto solo a livelli stratigrafici inferiori dell’individuo nell’attesa di essere riattivate in superficie. Questa desertificazione traumatica tende a collocarsi nell’area della mente dove la conversazione tra linguaggi è sospesa e la condivisione delle esperienze diventa difettosa (Correale A., 2010), un reale che non può essere pensato e rimane esterno nella sua rigidità (Benvenuto S., 1998). Il trauma è definito in psicoanalisi come l’intensità di un evento al quale il soggetto non è in grado di rispondere in modo adeguato (Freud S., 1915-17), una ferita che ha prodotto uno strappo nella continuità e nella coerenza del Sé (Bromberg P.M., 1998) accompagnato da ansia di annichilimento (Coates, Moore, 1997) insieme ad altre emozioni negative. Esso viene delimitato narrativamente da un prima ed un dopo come lembi della lacerazione nelle difese, normalmente attive nel respingere efficacemente gli stimoli dannosi, che permettono di circoscrivere l’evento anche se in modo approssimativo ed unicamente nei termini della temporalità. La disorganizzazione indotta dall’evento traumatico porta con sè una cristallizzazione dell’esperienza in un tempo di nessuno, dove la discordanza tra vissuto e percezione traumatica origina dalla mancata rispondenza delle attivazioni emotopercettive a logiche consapevoli acquisite.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11576/2512758
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