Com’è noto, il tema del silenzio quale componente del diritto non è nuovo per le scienze giuridiche. Tuttavia lo diventa, nell’accezione in cui si va ormai diffondendo sulla scena internazionale grazie agli studi di Law and the Humanities, laddove il silenzio viene messo in rapporto al diritto nelle sue implicazioni filosofiche, psicologiche e relazionali. Una riflessione, questa, mossa da obiezioni che sono classiche per chi si occupa di sociologia del diritto e antropologia giuridica (dalla critica del positivismo giuridico all’osservazione del diritto come fatto umano, reale e complesso), e che si presta dunque a essere declinata anche su questi ulteriori versanti, per comprendere se possa risultare fruttuosa e in che termini. “Ogni norma ha una sua componente muta” dice Rodolfo Sacco (1993; 2007: 205), precisando che si tratta di una componente inscritta della dimensione biologica, psicologica e culturale dell’uomo. Ed è come se lo studioso ci invitasse a entrare, attraverso il diritto informale, in una dimensione del giuridico in certo senso originaria, avvolta per l’appunto nel silenzio, che vive nel fondamento del legame sociale. Sulla scorta di un’idea di sistema giuridico che procede per meccanismi di selezione basati su procedure di inclusione ed esclusione, e constatando gli esiti paradossali del processo di razionalizzazione come tecnicizzazione progressiva del diritto (Pannarale 2008), il presente lavoro intende sviluppare un percorso che procede da alcune categorie che descrivono le normatività escluse dalla legge per riflettere, innanzi tutto, sulle voci che il diritto positivo tace e che emergono da altri spazi di regolazione e aspettative. L’ulteriore obiettivo è di addentrarsi attraverso il silenzio nei presupposti impliciti che sono alle radici di qualunque normazione relazionale, sia essa formale o informale, al fine di assegnare una valenza alle componenti sentimentali ed emotive che entrano in gioco nel campo giuridico come in qualunque contesto dell’azione umana, affinché il ragionamento sulla realtà del diritto possa farsi più complesso. Tra i modelli esplicativi offerti dalla sociologia del diritto e dall’antropologia giuridica saranno riconsiderati, in particolare, la consuetudine e l’internormatività, in quanto descrivono comportamenti normativi di carattere informale non soltanto esclusi di fatto dalla legge (in parte se non in tutto), ma in cui si contempla anche una giuridicità silente che detta i presupposti dell’emergere del diritto, alimentandosi di un sentire e di intelligenze che la razionalità giuridica moderna ha escluso dal proprio pensiero. Proseguendo in questa direzione ripercorreremo, quindi, alcuni momenti dell’esperienza del legal storytelling come metodo per introdurre e formalizzare nel discorso pubblico e giuridico i diritti e le aspettative normative delle voci escluse. Dopo alcune considerazioni sullo storylistening e sui limiti del ricorso all’empatia, che tanto spazio sta prendendo anche nell’attuale dibattito sul rapporto tra neuroscienze e diritto, si tenterà infine di ridefinire lo spazio delle diverse intelligenze che compongono la giuridicità e le relative potenzialità, per concludere sull’importanza delle humanities e della formazione giuridica. This article discusses the issue of silence as a component of law, against the backdrop of the critiques put forward by Critical Legal Studies, from the eighties to the most recent contributions of Law and the Humanities, in which a relationship is drawn between silence and the philosophical, psychological and relational implications of law. The analysis starts out from the perspectives of sociology of law and anthropology of law, which lend themselves to observing the forms of regulation that are excluded by law and for considering the issues that have arisen in other spaces of regulation and expectations and about which positive law has nothing to say. The article’s additional purpose is to use silence to investigate the implicit precepts at the root of every form of relational regulation, whether formal or informal, so as to attribute values to the sentimental and emotional components that come into play in legal affairs, as in any other context of human action, so that thinking about the reality of law has a chance to become more complex.

Attraversare il silenzio. I presupposti impliciti del diritto

MITTICA, MARIA PAOLA
2012

Abstract

Com’è noto, il tema del silenzio quale componente del diritto non è nuovo per le scienze giuridiche. Tuttavia lo diventa, nell’accezione in cui si va ormai diffondendo sulla scena internazionale grazie agli studi di Law and the Humanities, laddove il silenzio viene messo in rapporto al diritto nelle sue implicazioni filosofiche, psicologiche e relazionali. Una riflessione, questa, mossa da obiezioni che sono classiche per chi si occupa di sociologia del diritto e antropologia giuridica (dalla critica del positivismo giuridico all’osservazione del diritto come fatto umano, reale e complesso), e che si presta dunque a essere declinata anche su questi ulteriori versanti, per comprendere se possa risultare fruttuosa e in che termini. “Ogni norma ha una sua componente muta” dice Rodolfo Sacco (1993; 2007: 205), precisando che si tratta di una componente inscritta della dimensione biologica, psicologica e culturale dell’uomo. Ed è come se lo studioso ci invitasse a entrare, attraverso il diritto informale, in una dimensione del giuridico in certo senso originaria, avvolta per l’appunto nel silenzio, che vive nel fondamento del legame sociale. Sulla scorta di un’idea di sistema giuridico che procede per meccanismi di selezione basati su procedure di inclusione ed esclusione, e constatando gli esiti paradossali del processo di razionalizzazione come tecnicizzazione progressiva del diritto (Pannarale 2008), il presente lavoro intende sviluppare un percorso che procede da alcune categorie che descrivono le normatività escluse dalla legge per riflettere, innanzi tutto, sulle voci che il diritto positivo tace e che emergono da altri spazi di regolazione e aspettative. L’ulteriore obiettivo è di addentrarsi attraverso il silenzio nei presupposti impliciti che sono alle radici di qualunque normazione relazionale, sia essa formale o informale, al fine di assegnare una valenza alle componenti sentimentali ed emotive che entrano in gioco nel campo giuridico come in qualunque contesto dell’azione umana, affinché il ragionamento sulla realtà del diritto possa farsi più complesso. Tra i modelli esplicativi offerti dalla sociologia del diritto e dall’antropologia giuridica saranno riconsiderati, in particolare, la consuetudine e l’internormatività, in quanto descrivono comportamenti normativi di carattere informale non soltanto esclusi di fatto dalla legge (in parte se non in tutto), ma in cui si contempla anche una giuridicità silente che detta i presupposti dell’emergere del diritto, alimentandosi di un sentire e di intelligenze che la razionalità giuridica moderna ha escluso dal proprio pensiero. Proseguendo in questa direzione ripercorreremo, quindi, alcuni momenti dell’esperienza del legal storytelling come metodo per introdurre e formalizzare nel discorso pubblico e giuridico i diritti e le aspettative normative delle voci escluse. Dopo alcune considerazioni sullo storylistening e sui limiti del ricorso all’empatia, che tanto spazio sta prendendo anche nell’attuale dibattito sul rapporto tra neuroscienze e diritto, si tenterà infine di ridefinire lo spazio delle diverse intelligenze che compongono la giuridicità e le relative potenzialità, per concludere sull’importanza delle humanities e della formazione giuridica. This article discusses the issue of silence as a component of law, against the backdrop of the critiques put forward by Critical Legal Studies, from the eighties to the most recent contributions of Law and the Humanities, in which a relationship is drawn between silence and the philosophical, psychological and relational implications of law. The analysis starts out from the perspectives of sociology of law and anthropology of law, which lend themselves to observing the forms of regulation that are excluded by law and for considering the issues that have arisen in other spaces of regulation and expectations and about which positive law has nothing to say. The article’s additional purpose is to use silence to investigate the implicit precepts at the root of every form of relational regulation, whether formal or informal, so as to attribute values to the sentimental and emotional components that come into play in legal affairs, as in any other context of human action, so that thinking about the reality of law has a chance to become more complex.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11576/2513412
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