A partire dal dicembre 2010 una parte dei paesi del Nord Africa, del Medio oriente e della Penisola arabica sono stati investiti, seppur con modalità profondamente diverse, da veri e propri moti rivoluzionari contro i regimi autocratici e dittatoriali al potere. In alcuni di questi paesi - Tunisia, Egitto, Marocco - si è aperta una vera e propria transizione politica e costituzionale. I popoli di questi paesi sono scesi nelle piazze con uno spirito nuovo. Con l’inedita volontà di scrollarsi di dosso il giogo della fatalità:ciò che noi europei chiamiamo, da oltre due secoli, “volontà costituente”. Al solito ritornello - “non ci sono alternative” - di despoti, dittatori e, talvolta, capi religiosi, i manifestanti hanno questa volta risposto che “a volte accade l’impossibile”. Ed effettivamente è accaduto l’impensabile. E’ andata in frantumi quella coreografia codificata per l’eternità per la quale gli arabi non fanno le rivoluzioni e quando si mobilitano politicamente lo fanno solo con riferimento ad una grande causa ‘sovranazionale’: panarabismo, panislamismo, socialismo, sostegno alla causa palestinese, anticolonialismo, antisionismo, antimperialismo. In questa occasione non è andata così. I movimenti che hanno dato vita alla primavera araba si sono sinora contraddistinti per essere movimenti democratici, non nazionalisti, eppure saldamente radicati in un contesto nazionale. Per la prima volta nella storia araba contemporanea le insurrezioni hanno avuto come loro immediato obiettivo la “cacciata” di un despota, un “occupante interno”, non una potenza coloniale straniera. Insorti che prendono di mira i leader al potere, ma senza accusarli di essere marionette al servizio di potenze straniere.

Potere costituente e poteri costituiti nelle rivoluzioni arabe

CANTARO, ANTONIO
2012

Abstract

A partire dal dicembre 2010 una parte dei paesi del Nord Africa, del Medio oriente e della Penisola arabica sono stati investiti, seppur con modalità profondamente diverse, da veri e propri moti rivoluzionari contro i regimi autocratici e dittatoriali al potere. In alcuni di questi paesi - Tunisia, Egitto, Marocco - si è aperta una vera e propria transizione politica e costituzionale. I popoli di questi paesi sono scesi nelle piazze con uno spirito nuovo. Con l’inedita volontà di scrollarsi di dosso il giogo della fatalità:ciò che noi europei chiamiamo, da oltre due secoli, “volontà costituente”. Al solito ritornello - “non ci sono alternative” - di despoti, dittatori e, talvolta, capi religiosi, i manifestanti hanno questa volta risposto che “a volte accade l’impossibile”. Ed effettivamente è accaduto l’impensabile. E’ andata in frantumi quella coreografia codificata per l’eternità per la quale gli arabi non fanno le rivoluzioni e quando si mobilitano politicamente lo fanno solo con riferimento ad una grande causa ‘sovranazionale’: panarabismo, panislamismo, socialismo, sostegno alla causa palestinese, anticolonialismo, antisionismo, antimperialismo. In questa occasione non è andata così. I movimenti che hanno dato vita alla primavera araba si sono sinora contraddistinti per essere movimenti democratici, non nazionalisti, eppure saldamente radicati in un contesto nazionale. Per la prima volta nella storia araba contemporanea le insurrezioni hanno avuto come loro immediato obiettivo la “cacciata” di un despota, un “occupante interno”, non una potenza coloniale straniera. Insorti che prendono di mira i leader al potere, ma senza accusarli di essere marionette al servizio di potenze straniere.
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