INTRODUZIONE Benchè l’introduzione del verbo “alienare” nell’ambito della clinica possa essere fatta risalire al 1949, quando W. Reich utilizzò tale vocabolo per riferirsi specificatamente all’azione diffamatoria che portava un genitore ad allontanare il proprio figlio dall’altro genitore, una prima definizione del disturbo relazionale a cui tale situazione poteva condurre, può essere attribuita a R.A. Gardner. Egli descrisse, individuandone otto sintomi caratteristici, una disfunzione nella relazione genitore-bambino tale da sfociare in una campagna denigratoria e, in ultimo, nell’interruzione della relazione stessa. L’esito può essere quindi ricondotto in sintesi all’opera congiunta del genitore-alleato, con cui spesso il minore intrattiene un rapporto simbiotico e fortemente vincolante da un insaziabile senso di lealtà, e dai contributi propri del bambino che arrivano a superare le aspettative dell’adulto di riferimento. OBBIETTIVO E METODI Nonostante non esista ancora un accordo unanime sulla terminologia da adottare, gli esperti si interrogano sulla prassi metodologica più efficace per diagnosticare situazioni al limite tra un’elevata conflittualità post-separazione e disturbi d’alienazione parentale propriamente detti. Diversi autori suggeriscono di adottare un approccio psicolinguistico finalizzato all’individuazione, nelle verbalizzazioni del minore e delle diadi minore-alienante e minore-alienato rilasciate in sede di CTU, tutti quei dettagli linguistici rivelatori di meccanismi mistificatori da una parte e di sintomatologia specifica riconducibile al quadro PAS dall’altra. L’analisi viene quindi effettuata con il software Atlas.ti. RISULTATI E CONCLUSIONI Da uno studio in corso emerge infatti che la significatività in termini qualitativi di tali elementi potrebbe essere tale da essere utilizzati come criteri specifici di inclusione/esclusione in categorie preordinate (PAS1, PAS2, PAS3 e non-PAS).

La diagnosi PAS: dalla letteratura alla pratica peritale

PAJARDI, DANIELA MARIA
2012

Abstract

INTRODUZIONE Benchè l’introduzione del verbo “alienare” nell’ambito della clinica possa essere fatta risalire al 1949, quando W. Reich utilizzò tale vocabolo per riferirsi specificatamente all’azione diffamatoria che portava un genitore ad allontanare il proprio figlio dall’altro genitore, una prima definizione del disturbo relazionale a cui tale situazione poteva condurre, può essere attribuita a R.A. Gardner. Egli descrisse, individuandone otto sintomi caratteristici, una disfunzione nella relazione genitore-bambino tale da sfociare in una campagna denigratoria e, in ultimo, nell’interruzione della relazione stessa. L’esito può essere quindi ricondotto in sintesi all’opera congiunta del genitore-alleato, con cui spesso il minore intrattiene un rapporto simbiotico e fortemente vincolante da un insaziabile senso di lealtà, e dai contributi propri del bambino che arrivano a superare le aspettative dell’adulto di riferimento. OBBIETTIVO E METODI Nonostante non esista ancora un accordo unanime sulla terminologia da adottare, gli esperti si interrogano sulla prassi metodologica più efficace per diagnosticare situazioni al limite tra un’elevata conflittualità post-separazione e disturbi d’alienazione parentale propriamente detti. Diversi autori suggeriscono di adottare un approccio psicolinguistico finalizzato all’individuazione, nelle verbalizzazioni del minore e delle diadi minore-alienante e minore-alienato rilasciate in sede di CTU, tutti quei dettagli linguistici rivelatori di meccanismi mistificatori da una parte e di sintomatologia specifica riconducibile al quadro PAS dall’altra. L’analisi viene quindi effettuata con il software Atlas.ti. RISULTATI E CONCLUSIONI Da uno studio in corso emerge infatti che la significatività in termini qualitativi di tali elementi potrebbe essere tale da essere utilizzati come criteri specifici di inclusione/esclusione in categorie preordinate (PAS1, PAS2, PAS3 e non-PAS).
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11576/2525580
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