Nell’arte contemporanea l’autoritratto ha subito un cambiamento di segno. Non è più rappresentazione fisiognomica, ma rappresentanza simbolica: di uno stile, di un’idea, della teoria del suo firmatario. Fattezze di una poetica a scapito dell’autoanalisi dell’anima. Questo saggio, che riunisce e ordina per la prima volta gli autoritratti di Giulio Paolini, mostra il tentativo di commutare la “viseità” con la macchina della pittura. Paolini lo fa in due modi. Obiettiva l’autoritratto nell’immagine del proprio artificare; lo storna verso “etero-ritratti”. Il corpus costruito nell’articolo porta a distinguere tre tipologie: l’artefice “identificato”, sotto forma di sagome e stunt man riciclabili; l’artefice “oggettualizzato”, presente attraverso i ferri del mestiere (telai, cornici, cavalletti, barattoli, fogli, mani, matite, livelle, specchi); l’artefice “mascherato”, installato dentro identità altrui, ma tutte di pittori, distanti nel tempo e per cultura: Poussin, Henri Rousseau, un anonimo turco. Per questa via Paolini prende in carico il ruolo tematico dell’artista, risalendo dalla specie al genere. Il procedimento consente di tornare sulla nozione di “ritratto” e di sostituire, all’accezione obsoleta del “trar figura dal vero per rimembrarla” (Baldinucci), l’aporia dell’arte, che ri-trae la soggettività, occultando l’istanza autoriale, per pro-trarsi, prospettare se stessa e chi la fa. Nel tempo i motivi artistici, come i termini della lingua naturale, si trasformano.

Ritratti "portratti". Giulio Paolini e l’identikit dell’artista

MIGLIORE T
2014

Abstract

Nell’arte contemporanea l’autoritratto ha subito un cambiamento di segno. Non è più rappresentazione fisiognomica, ma rappresentanza simbolica: di uno stile, di un’idea, della teoria del suo firmatario. Fattezze di una poetica a scapito dell’autoanalisi dell’anima. Questo saggio, che riunisce e ordina per la prima volta gli autoritratti di Giulio Paolini, mostra il tentativo di commutare la “viseità” con la macchina della pittura. Paolini lo fa in due modi. Obiettiva l’autoritratto nell’immagine del proprio artificare; lo storna verso “etero-ritratti”. Il corpus costruito nell’articolo porta a distinguere tre tipologie: l’artefice “identificato”, sotto forma di sagome e stunt man riciclabili; l’artefice “oggettualizzato”, presente attraverso i ferri del mestiere (telai, cornici, cavalletti, barattoli, fogli, mani, matite, livelle, specchi); l’artefice “mascherato”, installato dentro identità altrui, ma tutte di pittori, distanti nel tempo e per cultura: Poussin, Henri Rousseau, un anonimo turco. Per questa via Paolini prende in carico il ruolo tematico dell’artista, risalendo dalla specie al genere. Il procedimento consente di tornare sulla nozione di “ritratto” e di sostituire, all’accezione obsoleta del “trar figura dal vero per rimembrarla” (Baldinucci), l’aporia dell’arte, che ri-trae la soggettività, occultando l’istanza autoriale, per pro-trarsi, prospettare se stessa e chi la fa. Nel tempo i motivi artistici, come i termini della lingua naturale, si trasformano.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11576/2681984
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