Hermann Bausinger, Cultura popolare e mondo tecnologico. A c. di Luca Renzi. Con una postfazione di Pietro Clemente. Napoli, Guida, 2005 Il libro di Bausinger si presenta ad un primo sguardo come uno studio approfondito nell’ambito della Volkskunde; tuttavia, già dalle prime pagine si capisce che essa è qualcosa di più di uno studio specialistico di una disciplina di nicchia. L’intento dell’autore è infatti quello di indagare il complesso rapporto che lega modernità e mondo popolare, e di questo in particolare il punto cruciale dell’interazione fra tecnologia e cultura popolare. Lo studio si presenta come un esempio di ‘scienza empirica del quotidiano’ – ciò che secondo Bausinger, dovrebbe costituire l’esito attuale della Volkskunde tradizionale –, e si serve degli apporti di discipline disparate quali la demologia, la sociologia, l’antropologia, le scienze del testo e dei media, i quali vengono subordinati ad una visione unitaria attraverso una riflessione che coniuga abilmente teoria e prassi. L’autore incentra il suo studio sul patrimonio della cultura popolare tedesca, in particolare della Germania sud-occidentale, ma non disdegna di allargare sovente la prospettiva ad un ambito ben più ampio, europeo e mondiale. I risultati ottenuti sono interessanti non solo per lo studioso della cultura (popolare e non) tedesca, ma per chiunque voglia confrontarsi sul piano demologico, socio-linguistico, antropologico e filosofico con una problematica di fondamentale importanza com’è quella dell’impatto del progresso tecnico globale sulla tradizione e sul mondo locali. Il contesto e gli esempi cui Bausinger fa riferimento sono infatti facilmente trasponibili a qualsiasi altra realtà locale, e tanto più facilmente a quella italiana, che con la Germania condivide tra l’altro la forte impronta regionalistica e la preminenza della dimensione ‘locale’. L’indagine sociologia della vita quotidiana, l’orientamento sul presente e i suoi segnali emergenti, una diversificazione del concetto del Volk nelle singolarità e negli strati che lo compongono, nonché la disposizione alla cosiddetta “descrizione densa” (thick description) di microfenomeni culturali (per certi versi simile a quella praticata dalla recente etnografia statunitense, v. Clifford Geertz) dell’opera di Bausinger sono tutti aspetti che non mancano certo di accattivare il lettore curioso. Lo studioso tedesco non si limita all’analisi dei fenomeni della società industriale di massa del dopoguerra, ma si rifà a fonti e a considerazione riguardanti epoche precedenti, specie l’Ottocento – quando grandi innovazioni come la ferrovia iniziavano a segnare uno stacco decisivo col passato –, ma anche il Sei/Settecento e il Medioevo. L’ampiezza della prospettiva storica costituisce invero un elemento di pregio della ricerca di Bausinger: ciò sia detto per lodare un approccio che, avvalendosi della lunga tradizione degli studi culturali tedeschi, rappresenta un modello in parte alternativo ai cultural studies di matrice anglosassone, il cui fortunato sviluppo lo studio di Bausinger per certi versi prefigura in maniera assolutamente originale e autonoma. Non è un caso che Culture and Society, l’opera di Rayomnd Williams, il padre fondatore dei Cultural Studies britannici, sia uscita nel 1961, lo stesso anno della pubblicazione del libro di Bausinger. Il fatto che il libro di Williams sia apparso però presso Einaudi già nel 1968 (e ampiamente recepito da storici, politologi, critici letterari e studiosi di cultura) e il presente libro di Bausinger invece solo nel 2005 è indicativo dell’orientamento e della mappa della cultura italiana del dopoguerra; una mappa in cui, se prendiamo come coordinate la politica culturale impegnata di Gramsci da un lato e dall’altro l’appassionata etnografia di Ernesto De Martino, questo testo di Bausinger potrebbe costituire un utile per quanto tardivo luogo di mediazione. Bausinger imposta la sua trattazione su una posizione polemica nei confronti dell’ideologia intellettuale borghese, che per lungo tempo ha voluto il popolo alieno dall’evoluzione tecnica, passivo recipiente di una tecnologia sentita come evento estraneo, radicalmente ‘altro’ rispetto alla sua dimensione astorica e autosufficiente. Egli mostra come invece questo ‘popolo’ spesso idealizzato si sia rivelato pronto in ogni fase della sua storia ad elaborare l’innovazione tecnica in una maniera attiva e culturalmente produttiva, attraversando i vari stadi di un percorso per il quale da una prima fase, in cui la tecnologia viene percepita nella sua alterità magica e insondabile, si passa attraverso una successiva appropriazione e lenta naturalizzazione di essa, per giungere infine a un distanziamento ironico e autocosciente, fatto testimoniato da diffusi usi linguistici, come le barzellette che coinvolgono le macchine e gli apparati tecnici, o le frequenti metafore tecnologiche entrate nella lingua comune (“sparato a razzo”, “più veloce della luce” ecc.). Il mondo dell’artificio in continua proliferazione viene in tal modo ad essere inglobato nelle strutture di pensiero e negli habitus linguistici ad esso precedenti, attraverso un processo di osmosi che ben descrive il fertile rapporto di interazione fra modernità e tradizione, ‘tecnico’ e ‘popolare’. Altro punto della ricerca del Bausinger è l’analisi dell’eclatante coefficiente di irrazionalità che accompagna lo sviluppo tecnologico. La tecnica, costruzione altamente razionale nei suoi presupposti, si risolve nella sua attualizzazione storica in evento dall’aspetto – e talvolta dall’esito – fortemente (e funestamente) irrazionale. Tale irrazionalità si riscontra sia dalla parte di chi fa un uso attivo della tecnologia, il quale tende ad assumere nei suo confronti un’attitudine puramente ‘intenzionale’ e funzionale, i.e. esclusivamente rivolta al fine, dimentica del mezzo poiché profondamente invischiato in esso (v. p. 41); sia dalla parte di chi la esperisce da principio come una misteriosa apparizione o imposizione dall’esterno (come i contadini con la comparsa della ferrovia), come una magia che fa emergere nel reale gli oggetti dell’immaginario e dell’utopia (v. p. 45), e che in quanto tale è causa di diffidenza, paura, avversione, ma anche di attrazione e fascino irresistibili. Dallo studio di Bausinger si evince come la ‘magicità’ sia più in generale un tratto essenziale della disposizione dell’uomo nei confronti della tecnica, elemento mai del tutto compreso né controllabile, pervasivo eppure intimamente ‘nascosto’, superfluo e tuttavia necessario. A questo proposito l’autore passa in rassegna delle interessanti testimonianze di come nell’immaginario popolare (ma anche letterario) la tecnica sia caratterizzata in maniera eminentemente ambigua, attraverso tratti tanto mitici, motivo di entusiasmo pro-tecnologico, quanto demonici, cagione di ricorrenti rigurgiti e ‘ribellioni’ antitecnologiche. La tecnica, attualizzazione del magico, si presenta al contempo come strumento di salvazione e perdizione, progresso e annientamento. Non è un caso che accanto alla sua progressiva naturalizzazione e psicologizzazione, nella società moderna si assista a ricorrenti fenomeni di regressione, attraverso i quali il processo di tecnicizzazione del mondo e della psiche esperisce delle pause e involuzioni, e torna nuovamente a mischiarsi a varie forme di superstizione, credenze apotropaiche, rituali propiziatori che sembravano oramai superati (v. l’utilizzo di oggetti portafortuna nelle automobili, le benedizioni degli strumenti da lavoro agricolo o le scaramanzie dei piloti d’aereo, descritte dal personaggio Naphta nella Montagna Incantata di Thomas Mann, v. p. 69). L’accelerazione dei processi innovativi, con il conseguente rapido avvicendarsi delle abitudini percettive e rappresentative, dunque di pensiero, non impedisce la conservazione dell’antico, di ciò che viene geneticamente prima e ha una preminenza strutturale. Nel passare in rassegna i suoi esempi, l’autore dimostra chiaramente come non sia possibile fermarsi alla sola enumerazione degli effetti del fenomeno tecnico, ma sia invece necessaria l’inclusione dello stesso all’interno di una prospettiva culturale, cioè di un orizzonte di senso, che esso inevitabilmente acquista in quanto fenomeno storico e sociale. Bausinger si sofferma quindi su aspetti quali la nascita di forme associative attorno a cose tecnologiche (basti pensare ai club motociclistici), l’irruzione della tecnologia nell’ambito della tradizione contadina (la tecnologia agricola, ad es. le trebbiatrici, inserita nell’ambito di rituali e feste agricole millenarie) e del sacro (l’uso di candele elettriche in chiesa, o addirittura di maxischermi, per citare un’esperienza personale), nonché la costruzione di superstizioni e di leggende basate sulle prospettive aperte dall’innovazione tecnica (basti pensare alle diffuse credenze sugli ufo e i marziani). L’autore indica anche come lo stesso mondo dei media, e quello dei consumi che lo supporta, contribuisce, attraverso la sovraesposizione a immagini e fantasmagorie di prodotti tecnologici, alla costruzione di un mondo di leggenda che rimpiazza, almeno in parte, le vecchie forme locali di credenza e di riferimento nell’immaginario collettivo (fiabe, leggende, miti fondativi). L’esperienza di continua ‘pubblicità’ costituisce in questo senso una vera nuova dimensione ‘pubblica’, dove il materiale immaginifico viene costantemente condiviso. Tutti questi fenomeni derivano da quella che Bausinger definisce l’espansione ‘spaziale’ e ‘temporale’ della dimensione esistenziale e dell’orizzonte del popolo, oramai confrontato con un mondo dinamicamente aperto e foriero di molteplici influssi, che se da un lato permettono l’accesso a una illimitata ‘disponibilità di beni’ (materiali e immaginari, nello spazio e nel tempo: v. il gusto per la storicizzazione cosciente e la moda dell’esotico, p. 107), dall’altro collaborano alla ‘dissoluzione dell’orizzonte’ (v. p. 93) entro il quale il villaggio o la contrada si muovevano e si percepivano in passato (anche se certo non in maniera restrittiva: la mobilità delle masse non era affatto assente una volta, così come il contatto con lo straniero, solo avevano tempi e modalità assai diverse). La naturalizzazione e l’impatto apparentemente schiacciante della tecnica sul mondo popolare trovano però una efficace controparte negli esempi di auto-affermazione e auto-preservazione che la cultura popolare ha saputo elaborare nei confronti della tecnologia nei secoli, mettendola in relazione e adattandola con gusto e arguzia alle proprie usanze e tradizioni. Bausinger mostra ad esempio come la coscienza linguistica del popolo si è sempre appropriata ironicamente delle dinamiche del progresso e dell’innovazione attraverso le forme del Witz, gli adattamenti e le distorsioni lessicali (ad esempio dei forestierismi e dei termini tecnici; e qui di nuovo si manifesta la tendenza a ‘riportare’ nel proprio orizzonte l’estraneo). Nella lingua si residuano i mutamenti della cultura materiale e dell’immaginario collettivo, e ciò è più che evidente nella dinamica che sussiste fra tecnologia e lingua popolare, la quale si arricchisce degli apporti dovuti alla tecnica, ai media, al mercato e al mondo globale (ciò che viene percepito in un primo stadio come l’’esotico’ di moda), acquisendo nuovi termini, espressioni, figure che si innestano su un precedente tessuto in un processo di stratificazione, incrocio e ibridazione. Le stesse gaffes, le storpiature, le ricuciture delle nuove entries linguistiche sono però il segno, per Bausinger, di una mai perfezionata assimilazione del nuovo, di una dinamica che certamente contribuisce, assieme alla forte permeabilità sociale, a rendere la lingua sempre più fluida e mutevole, e per questo meno controllabile, con buona coscienza di tutti i puristi, tanto i difensori della lingua alta, quanto i nostalgici dei dialetti e della lingua popolare. D’altra parte l’odierno orizzonte della cultura di massa, così come già per Bausinger negli anni ’60, pone dei problemi di metodo all’analisi demologica: come definire la cultura popolare, se tutte le ‘culture’, alte o basse, autoctone o esotiche, sembrano oramai ricadere in quella grande zona mediana e mediatica che comprende ogni cosa? Si profila dunque il problema del ‘medio’ come categoria centrale del discorso sulla modernità nei suoi esiti massificanti, sia in quanto espressione psico-sociologica – la ‘medietà’ richiesta, o estorta, al cittadino democratico –, sia in quanto apparato tecnico o ‘mezzo’ di comunicazione di massa, il cui registro linguistico è per Bausinger, tipicamente, medio o ‘colloquiale’. La questione è dunque come sia possibile una definizione, e in base a questa una possibile rivalutazione e preservazione della cultura popolare che non la degradi a nostalgica riappropriazione emulativa di motivi folklorici e clichées storicizzanti, né la confonda e dissolva completamente nell’orizzonte unificante della cultura massificata, globale e tecnologica. Una questione, come si vede, che non investe solo la cultura popolare, bensì la cultura tout court. Lavoro di abilitazione del 1959, Volkskultur in der technischen Welt (Cultura popolare e mondo tecnologico), pubblicato nel 1961, riedito nel 1986 e nel 2005, tradotto in inglese ed oggi anche in lingua italiana, è stato lo scritto che ha reso Bausinger un punto di riferimento per gli studiosi europei della cultura popolare. Per aver influito in modo duraturo sull’evoluzione della Volkskunde e dell’etnografia regionale soprattutto nei paesi di lingua tedesca, da più parti tale libro è stato giustamente definito un classico. In questo scritto Bausinger distrugge il cliché della fine della cultura popolare determinata dalla diffusione del processo d’industrializzazione, e si propone di liberare la cultura popolare da una comprensione tradizionale – prevalsa per ben precise ragioni troppo a lungo – che la considerava estranea alle molteplici forme del quotidiano rapporto con la tecnica. Nel 1961, in Germania, lo studio della cultura popolare era inteso fondamentalmente come studio di relitti e di antichità, di ciò che era sopravvissuto lungo i secoli. Bausinger dimostra che tale concezione non era altro che un ripiegamento atrofico sul passato e si contrapponeva alla dinamica della modernizzazione. Con lo scritto Volkskultur in der technischen Welt dava dunque il via ad una discussione, più libera da pregiudizi, sulla natura e sulla struttura della odierna cultura popolare. Il problema dell’indissociabile rapporto tra cultura popolare e mondo tecnicizzato viene da lui definito come “questione cruciale”. La cultura popolare intesa come continuo e proficuo confronto con i sempre nuovi influssi della crescente tecnicizzazione e non come mondo tradizionale in sé chiuso, la dissoluzione delle vecchie “ovvietà culturali” e la formazione di nuove categorie, la dialettica tra le tendenze verso un’uniformità culturale a livello mondiale ed il tenace persistere delle culture regionali sono i fenomeni su cui Bausinger anticipa la riflessione e che ancora oggi sono di grande attualità nel dibattito culturale. Il primo capitolo di questo suo importante scritto porta il titolo Die technische Welt als “natürliche” Lebenswelt (Il mondo della tecnica come ambiente “naturale”), un titolo che circa 45 anni fa suonava provocatorio, ma che oggi definisce bene la nostra esperienza di ogni giorno.
Cultura popolare e mondo tecnologico
RENZI, LUCA
2005
Abstract
Hermann Bausinger, Cultura popolare e mondo tecnologico. A c. di Luca Renzi. Con una postfazione di Pietro Clemente. Napoli, Guida, 2005 Il libro di Bausinger si presenta ad un primo sguardo come uno studio approfondito nell’ambito della Volkskunde; tuttavia, già dalle prime pagine si capisce che essa è qualcosa di più di uno studio specialistico di una disciplina di nicchia. L’intento dell’autore è infatti quello di indagare il complesso rapporto che lega modernità e mondo popolare, e di questo in particolare il punto cruciale dell’interazione fra tecnologia e cultura popolare. Lo studio si presenta come un esempio di ‘scienza empirica del quotidiano’ – ciò che secondo Bausinger, dovrebbe costituire l’esito attuale della Volkskunde tradizionale –, e si serve degli apporti di discipline disparate quali la demologia, la sociologia, l’antropologia, le scienze del testo e dei media, i quali vengono subordinati ad una visione unitaria attraverso una riflessione che coniuga abilmente teoria e prassi. L’autore incentra il suo studio sul patrimonio della cultura popolare tedesca, in particolare della Germania sud-occidentale, ma non disdegna di allargare sovente la prospettiva ad un ambito ben più ampio, europeo e mondiale. I risultati ottenuti sono interessanti non solo per lo studioso della cultura (popolare e non) tedesca, ma per chiunque voglia confrontarsi sul piano demologico, socio-linguistico, antropologico e filosofico con una problematica di fondamentale importanza com’è quella dell’impatto del progresso tecnico globale sulla tradizione e sul mondo locali. Il contesto e gli esempi cui Bausinger fa riferimento sono infatti facilmente trasponibili a qualsiasi altra realtà locale, e tanto più facilmente a quella italiana, che con la Germania condivide tra l’altro la forte impronta regionalistica e la preminenza della dimensione ‘locale’. L’indagine sociologia della vita quotidiana, l’orientamento sul presente e i suoi segnali emergenti, una diversificazione del concetto del Volk nelle singolarità e negli strati che lo compongono, nonché la disposizione alla cosiddetta “descrizione densa” (thick description) di microfenomeni culturali (per certi versi simile a quella praticata dalla recente etnografia statunitense, v. Clifford Geertz) dell’opera di Bausinger sono tutti aspetti che non mancano certo di accattivare il lettore curioso. Lo studioso tedesco non si limita all’analisi dei fenomeni della società industriale di massa del dopoguerra, ma si rifà a fonti e a considerazione riguardanti epoche precedenti, specie l’Ottocento – quando grandi innovazioni come la ferrovia iniziavano a segnare uno stacco decisivo col passato –, ma anche il Sei/Settecento e il Medioevo. L’ampiezza della prospettiva storica costituisce invero un elemento di pregio della ricerca di Bausinger: ciò sia detto per lodare un approccio che, avvalendosi della lunga tradizione degli studi culturali tedeschi, rappresenta un modello in parte alternativo ai cultural studies di matrice anglosassone, il cui fortunato sviluppo lo studio di Bausinger per certi versi prefigura in maniera assolutamente originale e autonoma. Non è un caso che Culture and Society, l’opera di Rayomnd Williams, il padre fondatore dei Cultural Studies britannici, sia uscita nel 1961, lo stesso anno della pubblicazione del libro di Bausinger. Il fatto che il libro di Williams sia apparso però presso Einaudi già nel 1968 (e ampiamente recepito da storici, politologi, critici letterari e studiosi di cultura) e il presente libro di Bausinger invece solo nel 2005 è indicativo dell’orientamento e della mappa della cultura italiana del dopoguerra; una mappa in cui, se prendiamo come coordinate la politica culturale impegnata di Gramsci da un lato e dall’altro l’appassionata etnografia di Ernesto De Martino, questo testo di Bausinger potrebbe costituire un utile per quanto tardivo luogo di mediazione. Bausinger imposta la sua trattazione su una posizione polemica nei confronti dell’ideologia intellettuale borghese, che per lungo tempo ha voluto il popolo alieno dall’evoluzione tecnica, passivo recipiente di una tecnologia sentita come evento estraneo, radicalmente ‘altro’ rispetto alla sua dimensione astorica e autosufficiente. Egli mostra come invece questo ‘popolo’ spesso idealizzato si sia rivelato pronto in ogni fase della sua storia ad elaborare l’innovazione tecnica in una maniera attiva e culturalmente produttiva, attraversando i vari stadi di un percorso per il quale da una prima fase, in cui la tecnologia viene percepita nella sua alterità magica e insondabile, si passa attraverso una successiva appropriazione e lenta naturalizzazione di essa, per giungere infine a un distanziamento ironico e autocosciente, fatto testimoniato da diffusi usi linguistici, come le barzellette che coinvolgono le macchine e gli apparati tecnici, o le frequenti metafore tecnologiche entrate nella lingua comune (“sparato a razzo”, “più veloce della luce” ecc.). Il mondo dell’artificio in continua proliferazione viene in tal modo ad essere inglobato nelle strutture di pensiero e negli habitus linguistici ad esso precedenti, attraverso un processo di osmosi che ben descrive il fertile rapporto di interazione fra modernità e tradizione, ‘tecnico’ e ‘popolare’. Altro punto della ricerca del Bausinger è l’analisi dell’eclatante coefficiente di irrazionalità che accompagna lo sviluppo tecnologico. La tecnica, costruzione altamente razionale nei suoi presupposti, si risolve nella sua attualizzazione storica in evento dall’aspetto – e talvolta dall’esito – fortemente (e funestamente) irrazionale. Tale irrazionalità si riscontra sia dalla parte di chi fa un uso attivo della tecnologia, il quale tende ad assumere nei suo confronti un’attitudine puramente ‘intenzionale’ e funzionale, i.e. esclusivamente rivolta al fine, dimentica del mezzo poiché profondamente invischiato in esso (v. p. 41); sia dalla parte di chi la esperisce da principio come una misteriosa apparizione o imposizione dall’esterno (come i contadini con la comparsa della ferrovia), come una magia che fa emergere nel reale gli oggetti dell’immaginario e dell’utopia (v. p. 45), e che in quanto tale è causa di diffidenza, paura, avversione, ma anche di attrazione e fascino irresistibili. Dallo studio di Bausinger si evince come la ‘magicità’ sia più in generale un tratto essenziale della disposizione dell’uomo nei confronti della tecnica, elemento mai del tutto compreso né controllabile, pervasivo eppure intimamente ‘nascosto’, superfluo e tuttavia necessario. A questo proposito l’autore passa in rassegna delle interessanti testimonianze di come nell’immaginario popolare (ma anche letterario) la tecnica sia caratterizzata in maniera eminentemente ambigua, attraverso tratti tanto mitici, motivo di entusiasmo pro-tecnologico, quanto demonici, cagione di ricorrenti rigurgiti e ‘ribellioni’ antitecnologiche. La tecnica, attualizzazione del magico, si presenta al contempo come strumento di salvazione e perdizione, progresso e annientamento. Non è un caso che accanto alla sua progressiva naturalizzazione e psicologizzazione, nella società moderna si assista a ricorrenti fenomeni di regressione, attraverso i quali il processo di tecnicizzazione del mondo e della psiche esperisce delle pause e involuzioni, e torna nuovamente a mischiarsi a varie forme di superstizione, credenze apotropaiche, rituali propiziatori che sembravano oramai superati (v. l’utilizzo di oggetti portafortuna nelle automobili, le benedizioni degli strumenti da lavoro agricolo o le scaramanzie dei piloti d’aereo, descritte dal personaggio Naphta nella Montagna Incantata di Thomas Mann, v. p. 69). L’accelerazione dei processi innovativi, con il conseguente rapido avvicendarsi delle abitudini percettive e rappresentative, dunque di pensiero, non impedisce la conservazione dell’antico, di ciò che viene geneticamente prima e ha una preminenza strutturale. Nel passare in rassegna i suoi esempi, l’autore dimostra chiaramente come non sia possibile fermarsi alla sola enumerazione degli effetti del fenomeno tecnico, ma sia invece necessaria l’inclusione dello stesso all’interno di una prospettiva culturale, cioè di un orizzonte di senso, che esso inevitabilmente acquista in quanto fenomeno storico e sociale. Bausinger si sofferma quindi su aspetti quali la nascita di forme associative attorno a cose tecnologiche (basti pensare ai club motociclistici), l’irruzione della tecnologia nell’ambito della tradizione contadina (la tecnologia agricola, ad es. le trebbiatrici, inserita nell’ambito di rituali e feste agricole millenarie) e del sacro (l’uso di candele elettriche in chiesa, o addirittura di maxischermi, per citare un’esperienza personale), nonché la costruzione di superstizioni e di leggende basate sulle prospettive aperte dall’innovazione tecnica (basti pensare alle diffuse credenze sugli ufo e i marziani). L’autore indica anche come lo stesso mondo dei media, e quello dei consumi che lo supporta, contribuisce, attraverso la sovraesposizione a immagini e fantasmagorie di prodotti tecnologici, alla costruzione di un mondo di leggenda che rimpiazza, almeno in parte, le vecchie forme locali di credenza e di riferimento nell’immaginario collettivo (fiabe, leggende, miti fondativi). L’esperienza di continua ‘pubblicità’ costituisce in questo senso una vera nuova dimensione ‘pubblica’, dove il materiale immaginifico viene costantemente condiviso. Tutti questi fenomeni derivano da quella che Bausinger definisce l’espansione ‘spaziale’ e ‘temporale’ della dimensione esistenziale e dell’orizzonte del popolo, oramai confrontato con un mondo dinamicamente aperto e foriero di molteplici influssi, che se da un lato permettono l’accesso a una illimitata ‘disponibilità di beni’ (materiali e immaginari, nello spazio e nel tempo: v. il gusto per la storicizzazione cosciente e la moda dell’esotico, p. 107), dall’altro collaborano alla ‘dissoluzione dell’orizzonte’ (v. p. 93) entro il quale il villaggio o la contrada si muovevano e si percepivano in passato (anche se certo non in maniera restrittiva: la mobilità delle masse non era affatto assente una volta, così come il contatto con lo straniero, solo avevano tempi e modalità assai diverse). La naturalizzazione e l’impatto apparentemente schiacciante della tecnica sul mondo popolare trovano però una efficace controparte negli esempi di auto-affermazione e auto-preservazione che la cultura popolare ha saputo elaborare nei confronti della tecnologia nei secoli, mettendola in relazione e adattandola con gusto e arguzia alle proprie usanze e tradizioni. Bausinger mostra ad esempio come la coscienza linguistica del popolo si è sempre appropriata ironicamente delle dinamiche del progresso e dell’innovazione attraverso le forme del Witz, gli adattamenti e le distorsioni lessicali (ad esempio dei forestierismi e dei termini tecnici; e qui di nuovo si manifesta la tendenza a ‘riportare’ nel proprio orizzonte l’estraneo). Nella lingua si residuano i mutamenti della cultura materiale e dell’immaginario collettivo, e ciò è più che evidente nella dinamica che sussiste fra tecnologia e lingua popolare, la quale si arricchisce degli apporti dovuti alla tecnica, ai media, al mercato e al mondo globale (ciò che viene percepito in un primo stadio come l’’esotico’ di moda), acquisendo nuovi termini, espressioni, figure che si innestano su un precedente tessuto in un processo di stratificazione, incrocio e ibridazione. Le stesse gaffes, le storpiature, le ricuciture delle nuove entries linguistiche sono però il segno, per Bausinger, di una mai perfezionata assimilazione del nuovo, di una dinamica che certamente contribuisce, assieme alla forte permeabilità sociale, a rendere la lingua sempre più fluida e mutevole, e per questo meno controllabile, con buona coscienza di tutti i puristi, tanto i difensori della lingua alta, quanto i nostalgici dei dialetti e della lingua popolare. D’altra parte l’odierno orizzonte della cultura di massa, così come già per Bausinger negli anni ’60, pone dei problemi di metodo all’analisi demologica: come definire la cultura popolare, se tutte le ‘culture’, alte o basse, autoctone o esotiche, sembrano oramai ricadere in quella grande zona mediana e mediatica che comprende ogni cosa? Si profila dunque il problema del ‘medio’ come categoria centrale del discorso sulla modernità nei suoi esiti massificanti, sia in quanto espressione psico-sociologica – la ‘medietà’ richiesta, o estorta, al cittadino democratico –, sia in quanto apparato tecnico o ‘mezzo’ di comunicazione di massa, il cui registro linguistico è per Bausinger, tipicamente, medio o ‘colloquiale’. La questione è dunque come sia possibile una definizione, e in base a questa una possibile rivalutazione e preservazione della cultura popolare che non la degradi a nostalgica riappropriazione emulativa di motivi folklorici e clichées storicizzanti, né la confonda e dissolva completamente nell’orizzonte unificante della cultura massificata, globale e tecnologica. Una questione, come si vede, che non investe solo la cultura popolare, bensì la cultura tout court. Lavoro di abilitazione del 1959, Volkskultur in der technischen Welt (Cultura popolare e mondo tecnologico), pubblicato nel 1961, riedito nel 1986 e nel 2005, tradotto in inglese ed oggi anche in lingua italiana, è stato lo scritto che ha reso Bausinger un punto di riferimento per gli studiosi europei della cultura popolare. Per aver influito in modo duraturo sull’evoluzione della Volkskunde e dell’etnografia regionale soprattutto nei paesi di lingua tedesca, da più parti tale libro è stato giustamente definito un classico. In questo scritto Bausinger distrugge il cliché della fine della cultura popolare determinata dalla diffusione del processo d’industrializzazione, e si propone di liberare la cultura popolare da una comprensione tradizionale – prevalsa per ben precise ragioni troppo a lungo – che la considerava estranea alle molteplici forme del quotidiano rapporto con la tecnica. Nel 1961, in Germania, lo studio della cultura popolare era inteso fondamentalmente come studio di relitti e di antichità, di ciò che era sopravvissuto lungo i secoli. Bausinger dimostra che tale concezione non era altro che un ripiegamento atrofico sul passato e si contrapponeva alla dinamica della modernizzazione. Con lo scritto Volkskultur in der technischen Welt dava dunque il via ad una discussione, più libera da pregiudizi, sulla natura e sulla struttura della odierna cultura popolare. Il problema dell’indissociabile rapporto tra cultura popolare e mondo tecnicizzato viene da lui definito come “questione cruciale”. La cultura popolare intesa come continuo e proficuo confronto con i sempre nuovi influssi della crescente tecnicizzazione e non come mondo tradizionale in sé chiuso, la dissoluzione delle vecchie “ovvietà culturali” e la formazione di nuove categorie, la dialettica tra le tendenze verso un’uniformità culturale a livello mondiale ed il tenace persistere delle culture regionali sono i fenomeni su cui Bausinger anticipa la riflessione e che ancora oggi sono di grande attualità nel dibattito culturale. Il primo capitolo di questo suo importante scritto porta il titolo Die technische Welt als “natürliche” Lebenswelt (Il mondo della tecnica come ambiente “naturale”), un titolo che circa 45 anni fa suonava provocatorio, ma che oggi definisce bene la nostra esperienza di ogni giorno.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.