E' possibile ricostruire una teoria filosofica e politica progressista ed emancipativa ispirandosi a Nietzsche? Da più di trent'anni, la parte che si vuole più "raffinata" di questo fronte culturale annuncia il superamento della metafisica, la fine delle grandi narrazioni, la morte della filosofia della storia. L'utopia illuministica si è rovesciata nell'incubo della ragione totalitaria e la dialettica hegelo-marxiana, con la sua pretesa di trovare un senso del reale e di mettere le braghe al mondo determinandone addirittura il corso teleologico, è stata denunciata come l'origine di quella violenza terroristica che ha messo capo alla soppressione della libertà individuale in gran parte del mondo ed ha condotto al gulag. Non soltanto il liberalismo ma anche gran parte di quel mondo intellettuale che si era in precedenza riconosciuto in Marx si colloca dunque oggi un orizzonte definitivamente postmarxista e persino postmoderno. E' l'idea stessa di un progetto consapevole di trasformazione della realtà e di emancipazione collettiva del genere umano, da sempre al cuore della modernità, che entra in crisi con la messa in discussione della ragione e con la dissoluzione della nozione di soggetto. Alle spalle della scoperta del concetto di "differenza" e dell'intrinseco pluralismo che esso implicherebbe, presupposti del postmodernismo come dell'ermeneutica e della sua retorica del dialogo, sta proprio la rilettura del pensiero di Nietzsche. Al filosofo tedesco e alla sua lettura della crisi della modernità si richiamano Gilles Deleuze, Michel Foucault e molti altri autori. In questo libro, muovendo dalla lezione dei francofortesi (ma non risparmiando critiche neppure a loro), di Gramsci e di Bloch, Jan Rehmann discute l'ambiguità di queste nozioni e mostra tutta l'arbitrarietà della lettura postmodernista di Nietzsche. Ecco che nelle mani dei «nietzscheani di sinistra» il pathos della distanza, che separa gli aristocratici ben riusciti dal gregge degli schiavi, si tramuta nel concetto di differenza in quanto tale, la volontà di potenza diventa metafora di una concezione cooperativa del potere e la religione di Zarathustra viene proposta come il retroterra di nuovi possibili percorsi individuali di liberazione per i «nomadi» dei nostri giorni. Rehmann mostra come questi discorsi siano ben poco fondati in una lettura rigorosa dei testi e soprattutto, lungi dal costituire il presupposto per un rinnovamento della critica del dominio, siano del tutto solidali con l'offensiva ideologica neoliberale e le sue concrete pratiche di sottomissione politica e sociale. Stefano G. Azzarà ha tradotto il testo e ha scritto un’introduzione dal titolo “L’immagine di Nietzsche in Italia: dopo il ’68”, pp. 5-17. Il libro di Rehmann si occupa della ricezione di Nietzsche da parte della filosofia postmodernista concentrandosi prevalentemente sull’ambiente francese e anglosassone. La prefazione inquadra questo stesso problema nell’ambito della filosofia italiana. Tra gli anni ’60 e ’70 avviene un significativo mutamento nella percezione dell’immagine di Nietzsche. La vicenda della mancata pubblicazione delle opere del filosofo tedesco da parte della casa editrice Einaudi costituisce a guardar bene un episodio di retroguardia. L’immagine di Nietzsche come autore reazionario e persino ispiratore del nazionalsocialismo, legata alla celebre interpretazione fornita da György Lukács nella Distruzione della ragione, è infatti in quegli anni in pieno mutamento. Sarà una nuova generazione di intellettuali, a partire da Gianni Vattimo e Massimo Cacciari, a rileggere massicciamente Nietzsche e a modificarne la collocazione politico-intellettuale, con un deciso spostamento “da destra a sinistra”. Questa reinterpretazione ha molto a che fare con la concomitante crisi del movimento comunista internazionale e con le vicende politiche italiane ed europee. In particolare, essa risulta strettamente legata ai movimenti di contestazione del ciclo 1968-’77. Nell’ambito di una richiesta generale di nuovi punti di riferimento intellettuali, Nietzsche diventa l’emblema di una sorta di rivolta libertaria e neoindividualista, tesa a contestare ogni forma di autorità a partire da quella dello Stato, e viene presentato come l’ispiratore di una sorta di rivoluzione totale. Questo spostamento semantico sembra però essere in sintonia, più che con l’esigenza di una sovversione dell’ordine costituito, con quella di una modernizzazione complessiva della mentalità e della morale pubblica, nel tentativo di operare una “messa in sincrono” con le trasformazioni economiche e sociali che erano nel frattempo intervenute e che avevano fatto dell’Italia e dei principali paesi occidentali delle società di massa affluenti. In questa prospettiva, viene evidenziata la sintonia tra la reinterpretazione postmodernista e iper-individualistica di Nietzsche e l’affermazione del ciclo politico-sociale neoliberale.
I nietzscheani di sinistra. Deleuze, Foucault e il postmodernismo: una decostruzione
AZZARA', GIUSEPPE STEFANO
2009
Abstract
E' possibile ricostruire una teoria filosofica e politica progressista ed emancipativa ispirandosi a Nietzsche? Da più di trent'anni, la parte che si vuole più "raffinata" di questo fronte culturale annuncia il superamento della metafisica, la fine delle grandi narrazioni, la morte della filosofia della storia. L'utopia illuministica si è rovesciata nell'incubo della ragione totalitaria e la dialettica hegelo-marxiana, con la sua pretesa di trovare un senso del reale e di mettere le braghe al mondo determinandone addirittura il corso teleologico, è stata denunciata come l'origine di quella violenza terroristica che ha messo capo alla soppressione della libertà individuale in gran parte del mondo ed ha condotto al gulag. Non soltanto il liberalismo ma anche gran parte di quel mondo intellettuale che si era in precedenza riconosciuto in Marx si colloca dunque oggi un orizzonte definitivamente postmarxista e persino postmoderno. E' l'idea stessa di un progetto consapevole di trasformazione della realtà e di emancipazione collettiva del genere umano, da sempre al cuore della modernità, che entra in crisi con la messa in discussione della ragione e con la dissoluzione della nozione di soggetto. Alle spalle della scoperta del concetto di "differenza" e dell'intrinseco pluralismo che esso implicherebbe, presupposti del postmodernismo come dell'ermeneutica e della sua retorica del dialogo, sta proprio la rilettura del pensiero di Nietzsche. Al filosofo tedesco e alla sua lettura della crisi della modernità si richiamano Gilles Deleuze, Michel Foucault e molti altri autori. In questo libro, muovendo dalla lezione dei francofortesi (ma non risparmiando critiche neppure a loro), di Gramsci e di Bloch, Jan Rehmann discute l'ambiguità di queste nozioni e mostra tutta l'arbitrarietà della lettura postmodernista di Nietzsche. Ecco che nelle mani dei «nietzscheani di sinistra» il pathos della distanza, che separa gli aristocratici ben riusciti dal gregge degli schiavi, si tramuta nel concetto di differenza in quanto tale, la volontà di potenza diventa metafora di una concezione cooperativa del potere e la religione di Zarathustra viene proposta come il retroterra di nuovi possibili percorsi individuali di liberazione per i «nomadi» dei nostri giorni. Rehmann mostra come questi discorsi siano ben poco fondati in una lettura rigorosa dei testi e soprattutto, lungi dal costituire il presupposto per un rinnovamento della critica del dominio, siano del tutto solidali con l'offensiva ideologica neoliberale e le sue concrete pratiche di sottomissione politica e sociale. Stefano G. Azzarà ha tradotto il testo e ha scritto un’introduzione dal titolo “L’immagine di Nietzsche in Italia: dopo il ’68”, pp. 5-17. Il libro di Rehmann si occupa della ricezione di Nietzsche da parte della filosofia postmodernista concentrandosi prevalentemente sull’ambiente francese e anglosassone. La prefazione inquadra questo stesso problema nell’ambito della filosofia italiana. Tra gli anni ’60 e ’70 avviene un significativo mutamento nella percezione dell’immagine di Nietzsche. La vicenda della mancata pubblicazione delle opere del filosofo tedesco da parte della casa editrice Einaudi costituisce a guardar bene un episodio di retroguardia. L’immagine di Nietzsche come autore reazionario e persino ispiratore del nazionalsocialismo, legata alla celebre interpretazione fornita da György Lukács nella Distruzione della ragione, è infatti in quegli anni in pieno mutamento. Sarà una nuova generazione di intellettuali, a partire da Gianni Vattimo e Massimo Cacciari, a rileggere massicciamente Nietzsche e a modificarne la collocazione politico-intellettuale, con un deciso spostamento “da destra a sinistra”. Questa reinterpretazione ha molto a che fare con la concomitante crisi del movimento comunista internazionale e con le vicende politiche italiane ed europee. In particolare, essa risulta strettamente legata ai movimenti di contestazione del ciclo 1968-’77. Nell’ambito di una richiesta generale di nuovi punti di riferimento intellettuali, Nietzsche diventa l’emblema di una sorta di rivolta libertaria e neoindividualista, tesa a contestare ogni forma di autorità a partire da quella dello Stato, e viene presentato come l’ispiratore di una sorta di rivoluzione totale. Questo spostamento semantico sembra però essere in sintonia, più che con l’esigenza di una sovversione dell’ordine costituito, con quella di una modernizzazione complessiva della mentalità e della morale pubblica, nel tentativo di operare una “messa in sincrono” con le trasformazioni economiche e sociali che erano nel frattempo intervenute e che avevano fatto dell’Italia e dei principali paesi occidentali delle società di massa affluenti. In questa prospettiva, viene evidenziata la sintonia tra la reinterpretazione postmodernista e iper-individualistica di Nietzsche e l’affermazione del ciclo politico-sociale neoliberale.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.