Obiettivo del lavoro è stato quello di analizzare il ruolo che il commercio al dettaglio indipendente e di piccole dimensioni può svolgere in funzione del mantenimento dell’identità sociale, economica e culturale dei diversi contesti territoriali presenti in Italia. L’analisi si estende quindi oltre il tradizionale campo di approfondimento delle tematiche legate al marketing territoriale, ossia i centri urbani e in particolar modo i centri storici, e cerca di individuare, a seconda delle diverse configurazioni degli insediamenti sociali ed economici, quali sono le condizioni per contrastare il pericolo di impoverimento a livello locale e in alcuni casi di inaridimento dello stesso tessuto sociale, soprattutto nel caso delle aree rurali e montuose. La ricerca ha preso spunto dalla letteratura finora prodotta sia a livello nazionale che internazionale, che su tali aspetti si è sviluppata lungo due principali direttrici: a) le caratteristiche e il ruolo delle imprese commerciali minori di fronte ai processi di modernizzazione della distribuzione (Davies, Harris, 1990; Spranzi, 1992; Howe, 1992; Lugli, 1998; Baccarani, Brunetti, Giaretta, Ugolini, 2001; Mele, Sicca, 1998; Musso, 2005; 2006), e in particolare i riflessi sociali ed economici che a livello locale si determinano in seguito alla presenza del piccolo dettaglio indipendente (Smith, Sparks, 2000); b) la tematica del Town Centre Management (TCM), con le problematiche di pianificazione urbanistica ed economica e di attrazione/animazione rispetto a una pluralità di soggetti fruitori, le cui caratteristiche ed esigenze sono fortemente disomogenee e non di rado in contrasto fra loro (Aguiari, 1997; Alzubaidi, Vignali, Davies, Schmidt, 1997; Ave, Corsico, 1994; Barile, 1991; Barile, Golinelli, 2002; Bromley, Thomas, 1995; Cloar, Stabler, De Vito, 1990; Evans, 1997; Kemp, 2000; Filosa Martone, 1998; Moulaert, Sekia, 2003; Napolitano, Rescinditi, De Nisco, 2003; Pilotti, 2001; Tomalin, Pal, 1994; Valdani, Ancarani; 2000; Zanderighi, 2001; Warnaby, Alexander, Medway, 1998; Whysall, 1995). Nell’ambito di questo tema sono stati in particolare approfonditi, nel caso dell’Italia, gli elementi di confronto con i centri commerciali artificiali, che attualmente rappresentano il principale fattore di sottrazione di domanda per i centri storici (Zaninotto, 1990; Pozzana, 1997; Zanderighi, 2001; Horvath, 2000; Pilotti, Zanderighi, 2003). Tale aspetto è stato ulteriormente approfondito tenendo conto della prospettiva della domanda finale (Fabris, 1999; Pellegrini, 2001; Indicod, 2003, Shillaci, Romano, 2006). Alla luce della letteratura sopra indicata, si è cercato di verificare quali possono essere, nel caso dell’Italia, i possibili ruoli ricoperti dalle imprese commerciali minori in un quadro di rapida evoluzione del sistema distributivo, che a sua volta accompagna modelli di sviluppo urbanistico e insediativo in cambiamento. Ciò di cui si è dovuto tenere conto, anche rispetto alla letteratura internazionale, è la specificità italiana per quanto riguarda la distribuzione della popolazione e delle attività economiche, molto disperse nel territorio. Alla casistica dei grandi e medi centri urbani presa spesso come riferimento per le analisi sul TCM, è stato quindi ritenuto necessario aggiungere una focalizzazione sulle realtà territoriali caratterizzate da piccoli centri e da una popolazione diffusa nel territorio. L’analisi ha permesso di evidenziare come il tema della valorizzazione territoriale, e in relazione ad esso il ruolo delle imprese commerciali minori, non possa restare circoscritto alla casistica dei centri urbani, intesi in modo indistinto, ma richieda delle distinzioni. La prima riguarda la dimensione delle città di cui i centri storici devono essere oggetto di politiche di rilancio: la soglia dimensionale per riuscire efficacemente a realizzare dei programmi di sostegno e rilancio in modo coordinato è spesso superiore a quella della maggior parte delle città italiane. Vanno quindi valutate con prudenza tutte quelle ipotesi che richiedono investimenti particolarmente consistenti o per le quali servono strutture organizzative il cui costo si ripercuoterebbe in modo troppo pesante sugli equilibri economici dei soggetti coinvolti. In questo caso la metodologia di intervento è quella ispirata al Town Center Management, pur con tutti gli adeguamenti necessari che devono tenere conto delle specificità di ogni singola realtà, a partire dalle dimensioni urbane che non sempre sopportano interventi impegnativi. La seconda considerazione fa capo alle località rurali e montuose/collinari, rispetto alle quali vanno considerati i processi di modernizzazione della distribuzione. Gli strumenti per la valorizzazione del commercio al loro interno, e con esso delle stesse comunità locali, dovrebbero riguardare nello specifico le singole imprese, anche se non va trascurato il necessario legame con il territorio a favore di una coerenza fra l’offerta commerciale e le singole caratterizzazioni, soprattutto se ci sono potenzialità turistiche che possono essere sfruttate. Delle esperienze sviluppate in territori caratterizzati da forte isolamento, come le aree montane, viene riportata l’utilità di soluzioni che possano, da un parte, favorire almeno in parte il recupero di economie di scala (viene a questo proposito richiamato il ruolo delle cooperative commerciali), dall’altra viene sottolineata l’esigenza di ampliare e diversificare le opportunità di offerta per le imprese di distribuzione esistenti al fine di aumentare le potenzialità di affari e garantirne in questo modo la sopravvivenza (viene richiamata la soluzione dei centri “polifunzionali”, ossia empori commerciali/multiservizi). Tenuto conto di questo, possono essere individuate due direttrici di intervento per azioni di sostegno del commercio minore, quale fattore in grado di supportare la vitalità delle aree periferiche. La prima fa riferimento ai meccanismi associativi fra imprese, recuperando e valorizzando modelli già ampiamente collaudati, ossia quelli della distribuzione organizzata, in particolare dei gruppi di acquisto e delle unioni volontarie. Il vantaggio derivante dalla possibilità di sfruttare economie di scala negli approvvigionamenti e nelle attività promozionali andrebbe integrato con la definizione di assortimenti appositamente tarati sulle esigenze delle tipologie distributive decentrate. In tal senso sarebbero due le linee di azione, per le quali l’operatore pubblico potrebbe farsi promotore: da una parte, stimolare l’adesione ai circuiti associativi per le imprese che ancora sono indipendenti, dall’altra intervenire presso gli stessi gruppi della distribuzione organizzata per stimolare la ricerca e la messa a punto di formule assortimentali e gestionali appropriate, nelle quali possano entrare anche attività di servizio. La distribuzione organizzata potrebbe fungere, a tale scopo, da coordinatore di progetti pilota per la definizione di nuovi connotati della formula di vicinato. La seconda direttrice richiama direttamente le stesse formule commerciali, in linea con il concetto di polifunzionalità già richiamato dalle precedenti esperienze. L’ampliamento degli assortimenti, l’inserimento di attività di servizio e somministrazione, l’accentuazione della flessibilità (sia di giorni che di orari di apertura), lo sfruttamento di tecnologie innovative (in riferimento alla telematica ma anche alle forme di distribuzione automatica) possono essere elementi in grado di concorrere alla definizione di una formula già esistente nel settore distributivo, ossia il convenience store, se pure riproposto in relazione a contesti rurali/montani piuttosto che urbani. L’azione su questa direttrice richiede però una verifica delle possibilità sfruttabili dalla normativa vigente, che pone limiti sia in merito al mix di offerta proponibile sia in relazione agli orari, e di prendere in considerazione i possibili margini di azione in deroga ai vincoli esistenti. Un ruolo senza dubbio di primo piano, in tal senso, spetta agli organi di governo locale, a partire dalle Regioni, ma anche dai singoli Comuni, che possono svolgere un’azione di indirizzo e di regolamentazione, nell’ambito delle competenze ad esse attribuite, a favore delle direttrici indicate. Il piano di intervento riguarderebbe quindi un posizionamento di formula in chiave innovativa, derivante da quella combinazione di caratteristiche strutturali, assortimentali e di mix di servizi che concorrono a determinare l’identità della singola impresa in relazione al proprio mercato di riferimento e in modo complementare all’offerta del commercio moderno su grandi superfici.

Modelli di sviluppo degli insediamenti commerciali e implicazioni per le politiche regionali

MUSSO, FABIO
2012

Abstract

Obiettivo del lavoro è stato quello di analizzare il ruolo che il commercio al dettaglio indipendente e di piccole dimensioni può svolgere in funzione del mantenimento dell’identità sociale, economica e culturale dei diversi contesti territoriali presenti in Italia. L’analisi si estende quindi oltre il tradizionale campo di approfondimento delle tematiche legate al marketing territoriale, ossia i centri urbani e in particolar modo i centri storici, e cerca di individuare, a seconda delle diverse configurazioni degli insediamenti sociali ed economici, quali sono le condizioni per contrastare il pericolo di impoverimento a livello locale e in alcuni casi di inaridimento dello stesso tessuto sociale, soprattutto nel caso delle aree rurali e montuose. La ricerca ha preso spunto dalla letteratura finora prodotta sia a livello nazionale che internazionale, che su tali aspetti si è sviluppata lungo due principali direttrici: a) le caratteristiche e il ruolo delle imprese commerciali minori di fronte ai processi di modernizzazione della distribuzione (Davies, Harris, 1990; Spranzi, 1992; Howe, 1992; Lugli, 1998; Baccarani, Brunetti, Giaretta, Ugolini, 2001; Mele, Sicca, 1998; Musso, 2005; 2006), e in particolare i riflessi sociali ed economici che a livello locale si determinano in seguito alla presenza del piccolo dettaglio indipendente (Smith, Sparks, 2000); b) la tematica del Town Centre Management (TCM), con le problematiche di pianificazione urbanistica ed economica e di attrazione/animazione rispetto a una pluralità di soggetti fruitori, le cui caratteristiche ed esigenze sono fortemente disomogenee e non di rado in contrasto fra loro (Aguiari, 1997; Alzubaidi, Vignali, Davies, Schmidt, 1997; Ave, Corsico, 1994; Barile, 1991; Barile, Golinelli, 2002; Bromley, Thomas, 1995; Cloar, Stabler, De Vito, 1990; Evans, 1997; Kemp, 2000; Filosa Martone, 1998; Moulaert, Sekia, 2003; Napolitano, Rescinditi, De Nisco, 2003; Pilotti, 2001; Tomalin, Pal, 1994; Valdani, Ancarani; 2000; Zanderighi, 2001; Warnaby, Alexander, Medway, 1998; Whysall, 1995). Nell’ambito di questo tema sono stati in particolare approfonditi, nel caso dell’Italia, gli elementi di confronto con i centri commerciali artificiali, che attualmente rappresentano il principale fattore di sottrazione di domanda per i centri storici (Zaninotto, 1990; Pozzana, 1997; Zanderighi, 2001; Horvath, 2000; Pilotti, Zanderighi, 2003). Tale aspetto è stato ulteriormente approfondito tenendo conto della prospettiva della domanda finale (Fabris, 1999; Pellegrini, 2001; Indicod, 2003, Shillaci, Romano, 2006). Alla luce della letteratura sopra indicata, si è cercato di verificare quali possono essere, nel caso dell’Italia, i possibili ruoli ricoperti dalle imprese commerciali minori in un quadro di rapida evoluzione del sistema distributivo, che a sua volta accompagna modelli di sviluppo urbanistico e insediativo in cambiamento. Ciò di cui si è dovuto tenere conto, anche rispetto alla letteratura internazionale, è la specificità italiana per quanto riguarda la distribuzione della popolazione e delle attività economiche, molto disperse nel territorio. Alla casistica dei grandi e medi centri urbani presa spesso come riferimento per le analisi sul TCM, è stato quindi ritenuto necessario aggiungere una focalizzazione sulle realtà territoriali caratterizzate da piccoli centri e da una popolazione diffusa nel territorio. L’analisi ha permesso di evidenziare come il tema della valorizzazione territoriale, e in relazione ad esso il ruolo delle imprese commerciali minori, non possa restare circoscritto alla casistica dei centri urbani, intesi in modo indistinto, ma richieda delle distinzioni. La prima riguarda la dimensione delle città di cui i centri storici devono essere oggetto di politiche di rilancio: la soglia dimensionale per riuscire efficacemente a realizzare dei programmi di sostegno e rilancio in modo coordinato è spesso superiore a quella della maggior parte delle città italiane. Vanno quindi valutate con prudenza tutte quelle ipotesi che richiedono investimenti particolarmente consistenti o per le quali servono strutture organizzative il cui costo si ripercuoterebbe in modo troppo pesante sugli equilibri economici dei soggetti coinvolti. In questo caso la metodologia di intervento è quella ispirata al Town Center Management, pur con tutti gli adeguamenti necessari che devono tenere conto delle specificità di ogni singola realtà, a partire dalle dimensioni urbane che non sempre sopportano interventi impegnativi. La seconda considerazione fa capo alle località rurali e montuose/collinari, rispetto alle quali vanno considerati i processi di modernizzazione della distribuzione. Gli strumenti per la valorizzazione del commercio al loro interno, e con esso delle stesse comunità locali, dovrebbero riguardare nello specifico le singole imprese, anche se non va trascurato il necessario legame con il territorio a favore di una coerenza fra l’offerta commerciale e le singole caratterizzazioni, soprattutto se ci sono potenzialità turistiche che possono essere sfruttate. Delle esperienze sviluppate in territori caratterizzati da forte isolamento, come le aree montane, viene riportata l’utilità di soluzioni che possano, da un parte, favorire almeno in parte il recupero di economie di scala (viene a questo proposito richiamato il ruolo delle cooperative commerciali), dall’altra viene sottolineata l’esigenza di ampliare e diversificare le opportunità di offerta per le imprese di distribuzione esistenti al fine di aumentare le potenzialità di affari e garantirne in questo modo la sopravvivenza (viene richiamata la soluzione dei centri “polifunzionali”, ossia empori commerciali/multiservizi). Tenuto conto di questo, possono essere individuate due direttrici di intervento per azioni di sostegno del commercio minore, quale fattore in grado di supportare la vitalità delle aree periferiche. La prima fa riferimento ai meccanismi associativi fra imprese, recuperando e valorizzando modelli già ampiamente collaudati, ossia quelli della distribuzione organizzata, in particolare dei gruppi di acquisto e delle unioni volontarie. Il vantaggio derivante dalla possibilità di sfruttare economie di scala negli approvvigionamenti e nelle attività promozionali andrebbe integrato con la definizione di assortimenti appositamente tarati sulle esigenze delle tipologie distributive decentrate. In tal senso sarebbero due le linee di azione, per le quali l’operatore pubblico potrebbe farsi promotore: da una parte, stimolare l’adesione ai circuiti associativi per le imprese che ancora sono indipendenti, dall’altra intervenire presso gli stessi gruppi della distribuzione organizzata per stimolare la ricerca e la messa a punto di formule assortimentali e gestionali appropriate, nelle quali possano entrare anche attività di servizio. La distribuzione organizzata potrebbe fungere, a tale scopo, da coordinatore di progetti pilota per la definizione di nuovi connotati della formula di vicinato. La seconda direttrice richiama direttamente le stesse formule commerciali, in linea con il concetto di polifunzionalità già richiamato dalle precedenti esperienze. L’ampliamento degli assortimenti, l’inserimento di attività di servizio e somministrazione, l’accentuazione della flessibilità (sia di giorni che di orari di apertura), lo sfruttamento di tecnologie innovative (in riferimento alla telematica ma anche alle forme di distribuzione automatica) possono essere elementi in grado di concorrere alla definizione di una formula già esistente nel settore distributivo, ossia il convenience store, se pure riproposto in relazione a contesti rurali/montani piuttosto che urbani. L’azione su questa direttrice richiede però una verifica delle possibilità sfruttabili dalla normativa vigente, che pone limiti sia in merito al mix di offerta proponibile sia in relazione agli orari, e di prendere in considerazione i possibili margini di azione in deroga ai vincoli esistenti. Un ruolo senza dubbio di primo piano, in tal senso, spetta agli organi di governo locale, a partire dalle Regioni, ma anche dai singoli Comuni, che possono svolgere un’azione di indirizzo e di regolamentazione, nell’ambito delle competenze ad esse attribuite, a favore delle direttrici indicate. Il piano di intervento riguarderebbe quindi un posizionamento di formula in chiave innovativa, derivante da quella combinazione di caratteristiche strutturali, assortimentali e di mix di servizi che concorrono a determinare l’identità della singola impresa in relazione al proprio mercato di riferimento e in modo complementare all’offerta del commercio moderno su grandi superfici.
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