Rispetto alle esigenze di tutela della salute e sicurezza, la legge n. 339/1958 ha prescritto per il datore di lavoro domestico l’obbligo di assicurare ai suoi dipendenti un “ambiente di lavoro che non sia nocivo” (art. 6). Negli anni, a tale obbligo è stata attribuita una portata molto più ridotta se confrontata a quella propria del lavoro svolto nell’ambito dell’impresa, al fine di non addossare al datore di lavoro domestico un’obbligazione considerata troppo gravosa, non compatibile con i tratti più peculiari di quel rapporto. Anche la stessa applicabilità dell’art. 2087 c.c., che si riferisce al lavoro svolto nell’impresa, è stata attentamente vagliata alla luce di un rigoroso criterio di compatibilità. Per dare un giudizio credibile in merito all’adeguatezza della tutela protettiva in materia di salute e sicurezza dei lavoratori imperniata sui dettati della legge n. 339/1958 non si può prescindere dalla valutazione della condizione di indubbia marginalità economica e sociale nella quale il lavoro domestico si è storicamente collocato. Più recentemente, tuttavia, almeno a partire dagli anni ottanta e novanta si è registrata una crescita costante e diffusa del fenomeno derivante da una serie di concause, tra cui meritano annotazione la crescita della partecipazione femminile al mercato del lavoro, l’invecchiamento della popolazione, l’inadeguatezza dei sistemi di welfare pubblici. L’approccio del giurista del lavoro ad una fattispecie giuridicamente “debole” e incompleta come quella del lavoro domestico viene peraltro caratterizzato anche dalla complessa questione dei divieti di discriminazioni che in esso possono realizzarsi: il lavoro domestico è infatti diventato un eccezionale crocevia di differenze di genere, di razza e nazionalità, che chiedono di essere correttamente governate. Gli strumenti non mancano, soprattutto dopo la stagione aperta dal nuovo diritto antidiscriminatorio comunitario: in particolare, è dalla nozione di discriminazione indiretta, ora proiettata ben oltre il genere, e dalle giustificazioni dei trattamenti differenzianti ripetutamente vagliate dalla Corte di Giustizia, che potranno ottenersi modalità efficaci per proteggere donne e “stranieri” impiegati in servizi domestici. Per quanto riguarda l’aspetto della prevenzione e della tutela della salute e sicurezza, il giuslavorista non potrà limitarsi a prendere atto del rilevante numero di infortuni e malattie professionali cha avvengono all’interno delle mura domestiche , ma dovrà innanzitutto valutare la diversa incidenza di tali rischi (chimici, biologici, fisici , ergonomici, da un lato, di natura organizzativa e psico-sociale dall’altro lato) rispetto alla differenza di genere; rischi che aumentano nel caso di lavoratrici extracomunitarie, a causa delle difficoltà di comprensione linguistica e per la non conoscenza/condivisione di modelli comportamentali e di convivenza, e si moltiplicano nel caso di servizi legati all’assistenza e alla cura delle persone. Coerentemente con la direttiva quadro comunitaria n. 391/1989, il d. lgs. n. 626/1994 che vi ha dato attuazione in Italia (congiuntamente ad altre direttive connesse) ha confermato l’esclusione dei lavoratori domestici dal suo campo di applicazione; una esclusione solo parzialmente mitigata dalla sopravvivenza/applicazione delle norme dettate dal d.p.r. n. 547/1955. Il recente d.lgs. n. 81/2008 ribadisce tale esclusione. La condizione di tutela dei lavoratori domestici risulta però ora drasticamente ridotta per l’esplicita abrogazione del d.p.r. n. 547/1955: è vero che si tratta di un’abrogazione che non ha comportato una vera e propria cancellazione delle sue previsioni per lo più recuperate negli allegati del decreto n. 81/2008; tuttavia, l’esplicita abrogazione prevista dall’art. 2, lett. a), impedisce che tali previsioni possano riguardare ancora i lavoratori domestici. E’ presumibile che il legislatore del 2008 non avesse valutato appieno la portata degli effetti di tale abrogazione; infatti, apparirebbe altrimenti incomprensibile la mancata previsione anche per i lavoratori domestici di forme di tutela modulata come quelle dettate per i lavoratori somministrati, a progetto o a domicilio. Né si è voluta cogliere la possibilità di rivedere tale scelta in occasione dell’emanazione del decreto correttivo 3 agosto 2009, n. 106. Peraltro, quella compiuta dal d. lgs. n. 81/2008 con il lavoro domestico costituisce una vera e propria incoerenza sistemica, per il porsi in chiara contraddizione con uno dei suoi principi cardine, quello per cui il lavoratore merita tutela indipendentemente dal tipo di contratto in forza del quale viene eseguita la prestazione, in quanto effettuata nell’organizzazione di un datore di lavoro. Non si pone in dubbio il fatto che il datore di lavoro domestico sia un datore di lavoro diverso dall’imprenditore o dai datori di lavoro non imprenditori che sono a capo di strutture più o meno complesse. Ma la filosofia del decreto n. 81/2008 è quella di prestare tutela in ragione dello svolgimento di un’attività lavorativa a favore di altri. In altre parole, il carattere domestico del datore di lavoro potrebbe influire sul come e sul quanto della tutela, ma non sul sé della stessa. Evitando di escludere tout cour il lavoro domestico dalla definizione generale di lavoratore, ben si sarebbe potuto rinviare a decreti ministeriali la modulazione della disciplina di tutela applicabile, così da prevedere una griglia minimale di diritti, coerentemente con quanto richiesto dalla Commissione parlamentare di inchiesta sugli infortuni sul lavoro istituita dal Senato nel 2005. L’esclusione del lavoro domestico ribadita nel d. lgs. n. 81/2008 non chiude dunque una discussione che anzi è destinata a rinvigorirsi per l’entità di un fenomeno destinato sicuramente a crescere anche come tipologia di lavoro principale o esclusivo svolto prevalentemente in una condizione di convivenza con lo stesso datore di lavoro.

La tutela della salute e sicurezza dei lavoratori domestici. Nuovi spunti di riflessione dopo il d.lgs. n. 81/2008

ANGELINI, LUCIANO;PASCUCCI, PAOLO
2010

Abstract

Rispetto alle esigenze di tutela della salute e sicurezza, la legge n. 339/1958 ha prescritto per il datore di lavoro domestico l’obbligo di assicurare ai suoi dipendenti un “ambiente di lavoro che non sia nocivo” (art. 6). Negli anni, a tale obbligo è stata attribuita una portata molto più ridotta se confrontata a quella propria del lavoro svolto nell’ambito dell’impresa, al fine di non addossare al datore di lavoro domestico un’obbligazione considerata troppo gravosa, non compatibile con i tratti più peculiari di quel rapporto. Anche la stessa applicabilità dell’art. 2087 c.c., che si riferisce al lavoro svolto nell’impresa, è stata attentamente vagliata alla luce di un rigoroso criterio di compatibilità. Per dare un giudizio credibile in merito all’adeguatezza della tutela protettiva in materia di salute e sicurezza dei lavoratori imperniata sui dettati della legge n. 339/1958 non si può prescindere dalla valutazione della condizione di indubbia marginalità economica e sociale nella quale il lavoro domestico si è storicamente collocato. Più recentemente, tuttavia, almeno a partire dagli anni ottanta e novanta si è registrata una crescita costante e diffusa del fenomeno derivante da una serie di concause, tra cui meritano annotazione la crescita della partecipazione femminile al mercato del lavoro, l’invecchiamento della popolazione, l’inadeguatezza dei sistemi di welfare pubblici. L’approccio del giurista del lavoro ad una fattispecie giuridicamente “debole” e incompleta come quella del lavoro domestico viene peraltro caratterizzato anche dalla complessa questione dei divieti di discriminazioni che in esso possono realizzarsi: il lavoro domestico è infatti diventato un eccezionale crocevia di differenze di genere, di razza e nazionalità, che chiedono di essere correttamente governate. Gli strumenti non mancano, soprattutto dopo la stagione aperta dal nuovo diritto antidiscriminatorio comunitario: in particolare, è dalla nozione di discriminazione indiretta, ora proiettata ben oltre il genere, e dalle giustificazioni dei trattamenti differenzianti ripetutamente vagliate dalla Corte di Giustizia, che potranno ottenersi modalità efficaci per proteggere donne e “stranieri” impiegati in servizi domestici. Per quanto riguarda l’aspetto della prevenzione e della tutela della salute e sicurezza, il giuslavorista non potrà limitarsi a prendere atto del rilevante numero di infortuni e malattie professionali cha avvengono all’interno delle mura domestiche , ma dovrà innanzitutto valutare la diversa incidenza di tali rischi (chimici, biologici, fisici , ergonomici, da un lato, di natura organizzativa e psico-sociale dall’altro lato) rispetto alla differenza di genere; rischi che aumentano nel caso di lavoratrici extracomunitarie, a causa delle difficoltà di comprensione linguistica e per la non conoscenza/condivisione di modelli comportamentali e di convivenza, e si moltiplicano nel caso di servizi legati all’assistenza e alla cura delle persone. Coerentemente con la direttiva quadro comunitaria n. 391/1989, il d. lgs. n. 626/1994 che vi ha dato attuazione in Italia (congiuntamente ad altre direttive connesse) ha confermato l’esclusione dei lavoratori domestici dal suo campo di applicazione; una esclusione solo parzialmente mitigata dalla sopravvivenza/applicazione delle norme dettate dal d.p.r. n. 547/1955. Il recente d.lgs. n. 81/2008 ribadisce tale esclusione. La condizione di tutela dei lavoratori domestici risulta però ora drasticamente ridotta per l’esplicita abrogazione del d.p.r. n. 547/1955: è vero che si tratta di un’abrogazione che non ha comportato una vera e propria cancellazione delle sue previsioni per lo più recuperate negli allegati del decreto n. 81/2008; tuttavia, l’esplicita abrogazione prevista dall’art. 2, lett. a), impedisce che tali previsioni possano riguardare ancora i lavoratori domestici. E’ presumibile che il legislatore del 2008 non avesse valutato appieno la portata degli effetti di tale abrogazione; infatti, apparirebbe altrimenti incomprensibile la mancata previsione anche per i lavoratori domestici di forme di tutela modulata come quelle dettate per i lavoratori somministrati, a progetto o a domicilio. Né si è voluta cogliere la possibilità di rivedere tale scelta in occasione dell’emanazione del decreto correttivo 3 agosto 2009, n. 106. Peraltro, quella compiuta dal d. lgs. n. 81/2008 con il lavoro domestico costituisce una vera e propria incoerenza sistemica, per il porsi in chiara contraddizione con uno dei suoi principi cardine, quello per cui il lavoratore merita tutela indipendentemente dal tipo di contratto in forza del quale viene eseguita la prestazione, in quanto effettuata nell’organizzazione di un datore di lavoro. Non si pone in dubbio il fatto che il datore di lavoro domestico sia un datore di lavoro diverso dall’imprenditore o dai datori di lavoro non imprenditori che sono a capo di strutture più o meno complesse. Ma la filosofia del decreto n. 81/2008 è quella di prestare tutela in ragione dello svolgimento di un’attività lavorativa a favore di altri. In altre parole, il carattere domestico del datore di lavoro potrebbe influire sul come e sul quanto della tutela, ma non sul sé della stessa. Evitando di escludere tout cour il lavoro domestico dalla definizione generale di lavoratore, ben si sarebbe potuto rinviare a decreti ministeriali la modulazione della disciplina di tutela applicabile, così da prevedere una griglia minimale di diritti, coerentemente con quanto richiesto dalla Commissione parlamentare di inchiesta sugli infortuni sul lavoro istituita dal Senato nel 2005. L’esclusione del lavoro domestico ribadita nel d. lgs. n. 81/2008 non chiude dunque una discussione che anzi è destinata a rinvigorirsi per l’entità di un fenomeno destinato sicuramente a crescere anche come tipologia di lavoro principale o esclusivo svolto prevalentemente in una condizione di convivenza con lo stesso datore di lavoro.
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11576/2503444
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact