Il capitolo ricostruisce la storia del lavoro domestico e di cura dal secondo dopoguerra a oggi assumendo come filo rosso il tema della professionalizzazione. Anzitutto analizza il vocabolario. Già dalla fine del Settecento ci sono stati interventi volti a dar maggior dignità alle lavoratrici e ai lavoratori domestici anche introducendo nuovi termini per definirli. Ancora negli anni Settanta del Novecento, tuttavia, un’indagine Acli Colf rivelava le valenze negative di espressioni come ‘la donna’ che, lungi dal nobilitare le domestiche, costituivano l’emblema di una realtà femminile umiliata e oppressa quale era quella delle donne ‘delle pulizie’ o ‘di servizio’. Nelle sue connotazioni etimologiche, è svilente anche la parola ‘badante’, diffusasi di recente al di fuori di qualsiasi progetto politico. Non è però percepita come tale dalla maggioranza delle ‘badanti’ intervistate, forse perché in gran parte straniere. La parola ‘colf’, inventata negli anni Sessanta, costituiva una tessera di un mosaico di interventi volti a dare dignità e professionalizzare le lavoratrici domestiche. La parola ha avuto successo, non altrettanto molti degli altri interventi degli anni ’50 e ’70 del Novecento, nonostante la conquista di importanti diritti da parte delle lavoratrici e dei lavoratori del settore. Spiega tale fallimento la contraddittoria compresenza di sforzi professionalizzanti da un lato e volontà di conservazione delle tradizionali gerarchie sociali dall’altro. All’estremo opposto, proprio il carattere radicalmente innovativo dei progetti elaborati a partire dagli anni ‘70 dalle lavoratrici domestiche politicamente più consapevoli (anche nell’ambito delle Acli Colf) costituisce la ragione dell’insuccesso del loro tentativo di professionalizzare il lavoro domestico e di cura trasformandolo in un servizio pubblico innovativo, incentrato sull’assistenza domiciliare non solo ai ceti abbienti, ma anche e soprattutto ai ceti medi e bassi. La figura della colf, in tale prospettiva, sarebbe stata sottratta al ruolo servile, avrebbe smesso di costituire un privilegio dei benestanti, avrebbe svolto un lavoro ricco di utilità sociale e acquisito una nuova professionalità e dignità. Se non mancarono interessanti sperimentazioni grazie alla nascita della figura dell’assistente domiciliare e delle cooperative sociali, il progetto, per i suoi costi elevati, si scontrò con la crisi del welfare. Dagli anni ’70-’80, l’arrivo in Italia di crescenti flussi migratori ha permesso di sviluppare una nuova forma di welfare domiciliare “fai da te” e a basso costo. Da un lato, tale soluzione comporta la restaurazione di forme di lavoro che gli sforzi di modernizzazione avevano cercato di superare, come la convivenza tra lavoratrici e datori di lavori, o l’impegno ‘giorno e notte’. Dall’altro, il fatto che molte addette siano diplomate o laureate implica una sorta di ‘professionalizzazione di importazione’ del settore. Si analizzano poi gli effetti della crisi avviatasi nel 2008-2009, tentando anzitutto di capire se, oggi, il lavoro domestico e di cura costituisca un impiego-rifugio da sfruttare nei momenti in cui ‘non si ha nulla di meglio da fare’ e da abbandonare quando si presentano opportunità migliori: caratteristiche che renderebbero impossibile ogni ulteriore sviluppo della professionalizzazione. Per il momento il settore non sembra essere un impiego-rifugio: l’aumento degli addetti (quelli iscritti all’Inps e quelli stimati) prolungatosi fino al 2012 era cominciato ben prima del 2008-2009 e pertanto non è conseguenza della crisi; semmai riflette difficoltà del welfare e squilibri mondiali di ben più ampia portata. Infine, si cerca di chiarire se, nell’ultimissimo periodo, la crisi abbia ridotto la richiesta di colf e badanti da parte delle famiglie italiane. In base ai dati disponibili, dal 2013 il numero di degli addetti (almeno quelli iscritti all’Inps) si è infatti ridotto. La contrazione, tuttavia, ha riguardato solo le colf: il numero di badanti continua ad aumentare. Se si vuole consolidare la professionalizzazione di tale (problematico) settore, appare comunque necessario garantire le caratteristiche che possono renderlo attrattivo, in primo luogo l’adeguata remunerazione.

«Badante»: una nuova professione? Luci e ombre di una trasformazione in atto

SARTI, RAFFAELLA
2016

Abstract

Il capitolo ricostruisce la storia del lavoro domestico e di cura dal secondo dopoguerra a oggi assumendo come filo rosso il tema della professionalizzazione. Anzitutto analizza il vocabolario. Già dalla fine del Settecento ci sono stati interventi volti a dar maggior dignità alle lavoratrici e ai lavoratori domestici anche introducendo nuovi termini per definirli. Ancora negli anni Settanta del Novecento, tuttavia, un’indagine Acli Colf rivelava le valenze negative di espressioni come ‘la donna’ che, lungi dal nobilitare le domestiche, costituivano l’emblema di una realtà femminile umiliata e oppressa quale era quella delle donne ‘delle pulizie’ o ‘di servizio’. Nelle sue connotazioni etimologiche, è svilente anche la parola ‘badante’, diffusasi di recente al di fuori di qualsiasi progetto politico. Non è però percepita come tale dalla maggioranza delle ‘badanti’ intervistate, forse perché in gran parte straniere. La parola ‘colf’, inventata negli anni Sessanta, costituiva una tessera di un mosaico di interventi volti a dare dignità e professionalizzare le lavoratrici domestiche. La parola ha avuto successo, non altrettanto molti degli altri interventi degli anni ’50 e ’70 del Novecento, nonostante la conquista di importanti diritti da parte delle lavoratrici e dei lavoratori del settore. Spiega tale fallimento la contraddittoria compresenza di sforzi professionalizzanti da un lato e volontà di conservazione delle tradizionali gerarchie sociali dall’altro. All’estremo opposto, proprio il carattere radicalmente innovativo dei progetti elaborati a partire dagli anni ‘70 dalle lavoratrici domestiche politicamente più consapevoli (anche nell’ambito delle Acli Colf) costituisce la ragione dell’insuccesso del loro tentativo di professionalizzare il lavoro domestico e di cura trasformandolo in un servizio pubblico innovativo, incentrato sull’assistenza domiciliare non solo ai ceti abbienti, ma anche e soprattutto ai ceti medi e bassi. La figura della colf, in tale prospettiva, sarebbe stata sottratta al ruolo servile, avrebbe smesso di costituire un privilegio dei benestanti, avrebbe svolto un lavoro ricco di utilità sociale e acquisito una nuova professionalità e dignità. Se non mancarono interessanti sperimentazioni grazie alla nascita della figura dell’assistente domiciliare e delle cooperative sociali, il progetto, per i suoi costi elevati, si scontrò con la crisi del welfare. Dagli anni ’70-’80, l’arrivo in Italia di crescenti flussi migratori ha permesso di sviluppare una nuova forma di welfare domiciliare “fai da te” e a basso costo. Da un lato, tale soluzione comporta la restaurazione di forme di lavoro che gli sforzi di modernizzazione avevano cercato di superare, come la convivenza tra lavoratrici e datori di lavori, o l’impegno ‘giorno e notte’. Dall’altro, il fatto che molte addette siano diplomate o laureate implica una sorta di ‘professionalizzazione di importazione’ del settore. Si analizzano poi gli effetti della crisi avviatasi nel 2008-2009, tentando anzitutto di capire se, oggi, il lavoro domestico e di cura costituisca un impiego-rifugio da sfruttare nei momenti in cui ‘non si ha nulla di meglio da fare’ e da abbandonare quando si presentano opportunità migliori: caratteristiche che renderebbero impossibile ogni ulteriore sviluppo della professionalizzazione. Per il momento il settore non sembra essere un impiego-rifugio: l’aumento degli addetti (quelli iscritti all’Inps e quelli stimati) prolungatosi fino al 2012 era cominciato ben prima del 2008-2009 e pertanto non è conseguenza della crisi; semmai riflette difficoltà del welfare e squilibri mondiali di ben più ampia portata. Infine, si cerca di chiarire se, nell’ultimissimo periodo, la crisi abbia ridotto la richiesta di colf e badanti da parte delle famiglie italiane. In base ai dati disponibili, dal 2013 il numero di degli addetti (almeno quelli iscritti all’Inps) si è infatti ridotto. La contrazione, tuttavia, ha riguardato solo le colf: il numero di badanti continua ad aumentare. Se si vuole consolidare la professionalizzazione di tale (problematico) settore, appare comunque necessario garantire le caratteristiche che possono renderlo attrattivo, in primo luogo l’adeguata remunerazione.
2016
978-88-230-2002-3
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11576/2640906
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