Il contributo ha per oggetto l’analisi del rapporto tra gli usi linguistici relativi all’espressione dell’identità di genere e le pratiche, i valori e gli orientamenti sottostanti. La ricerca si pone in una prospettiva interdisciplinare di interazione tra il filone di analisi linguistica dei gender studies e l’analisi sociologica sugli stereotipi di genere e sessisti, a partire dalle testimonianze di un gruppo di 150 studenti delle scuole superiori, intervistati e coinvolti in un progetto di ricerca azione realizzato nella provincia di Pesaro Urbino, volto a indagare il genere, percepito e praticato nelle relazioni sociali tra giovani, così come emerge dalle definizioni, rappresentazioni ed opinioni. Anche in Italia, dalla metà degli anni Ottanta, si è cominciato a riflettere sul rapporto tra lingua/ cultura/ genere, soprattutto intorno alle scelte lessicali che riflettono modi di pensare e comportamenti sociali che la lingua contribuisce a costruire e tramandare (Berretta 1983; Bazzanella, Fornara, Manera 1986). Un riflesso applicativo di questi studi è rappresentato da Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua (Sabatini 1987) finaizzate a «suggerire aternative compatibili con il sistema della lingua per evitare alcune forme sessiste» (p.1). Un percorso lungo per buona parte disatteso nelle sue applicazioni anche dopo l'emanazione della direttiva del 23/07/2007 relativa alle Misure per attuare parità e pari opportunità tra uomini e donne nelle amministrazioni pubbliche che ribadisce l'importanza di un uso non discriminatorio del linguaggio nei documenti di lavoro. L’androcentrismo continua a dominare, soprattutto nella lingua parlata (Ehrlich, Ruth 1992). L’uso in italiano del consolidato “maschile generico” si riproduce ne tempo in un terreno reso fertile dai molti segni di regressione sulla via del riconoscimento della parità tra i generi, quale caratterizzante gli utimi decenni trasversalmente ai vari ambiti della vita sociale pubblica e privata (Badinter 200, Faludi 1991, Farina 2012). Partendo dall'ipotesi che la parità e la valorizzazione della diversità di genere siano tutt'altro che scontate, soprattutto nelle nuove generazioni, l’indagine ha verificato la relazione tra il genere pensato, detto e fatto (West, Zimmerman 1987). É la mancanza di parole ad emergere, la debolezza di un vocabolario inclusivo delle differenze e delle sue sfumature, che si risolve più spesso in antinomie riduttive, binarie e gerarchiche a partire dall'identità di genere. L'assunzione di una parità raggiunta, ad indicare l'assenza di problematicità, si contrappone alla negazione della differenza che si risolve nell'uniformarsi alla dominazione egemone maschile. In tale contesto la percezione della diversità, come valore in sé, sembra offuscata e la stessa costruzione di una definizione linguistica di ‘genere’ risulta difficile, così come emerge dai risultati della ricerca. Le parole scelte dagli adolescenti per esprimere le percezioni e definizioni rispetto al genere e al concetto di discriminazione denunciano l’assenza di riflessioni e di una messa in discussione (Fraser 2013), ma anche una consapevolezza immatura, che rispecchia ed è funzionale ad un sistema di diseguaglianze sempre più ampie, mancanti di una lettura incrociata e intersezionale. Nell'ambito scolastico che fa da sfondo alla ricerca, l'assenza di riflessione sul genere si rispecchia nell’utilizzo di un linguaggio appiattito sul maschile che scandisce le pratiche quotidiane scolastiche contribuendoo altresì alla costruzione di una scarsa valorizzazione della diversità. Il progetto ha preso le mosse dalla messa in discussione della mancata verbalizzazione del genere plurale, la sua declinazione maschile univoca e universale: uscire fuori dal maschile della lingua si è rivelata una esperienza inedita, proprio all’interno dell’istituzione scolastica dove la trasmissione culturale, le parole, il linguaggio sembrano confermarsi uno strumento di conformità piuttosto che di realizzazione espressiva di un sé plurale (Bergvall, Remlinger 1996).

Senza parole. La formulazione del genere nei discorsi e nelle pratiche dei giovani. Evidenze dal campo, paper selezionato per il Convegno Genere e linguaggio: i segni dell’uguaglianza e della diversità

FARINA, FATIMA;GENOVA, ANGELA
2016

Abstract

Il contributo ha per oggetto l’analisi del rapporto tra gli usi linguistici relativi all’espressione dell’identità di genere e le pratiche, i valori e gli orientamenti sottostanti. La ricerca si pone in una prospettiva interdisciplinare di interazione tra il filone di analisi linguistica dei gender studies e l’analisi sociologica sugli stereotipi di genere e sessisti, a partire dalle testimonianze di un gruppo di 150 studenti delle scuole superiori, intervistati e coinvolti in un progetto di ricerca azione realizzato nella provincia di Pesaro Urbino, volto a indagare il genere, percepito e praticato nelle relazioni sociali tra giovani, così come emerge dalle definizioni, rappresentazioni ed opinioni. Anche in Italia, dalla metà degli anni Ottanta, si è cominciato a riflettere sul rapporto tra lingua/ cultura/ genere, soprattutto intorno alle scelte lessicali che riflettono modi di pensare e comportamenti sociali che la lingua contribuisce a costruire e tramandare (Berretta 1983; Bazzanella, Fornara, Manera 1986). Un riflesso applicativo di questi studi è rappresentato da Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua (Sabatini 1987) finaizzate a «suggerire aternative compatibili con il sistema della lingua per evitare alcune forme sessiste» (p.1). Un percorso lungo per buona parte disatteso nelle sue applicazioni anche dopo l'emanazione della direttiva del 23/07/2007 relativa alle Misure per attuare parità e pari opportunità tra uomini e donne nelle amministrazioni pubbliche che ribadisce l'importanza di un uso non discriminatorio del linguaggio nei documenti di lavoro. L’androcentrismo continua a dominare, soprattutto nella lingua parlata (Ehrlich, Ruth 1992). L’uso in italiano del consolidato “maschile generico” si riproduce ne tempo in un terreno reso fertile dai molti segni di regressione sulla via del riconoscimento della parità tra i generi, quale caratterizzante gli utimi decenni trasversalmente ai vari ambiti della vita sociale pubblica e privata (Badinter 200, Faludi 1991, Farina 2012). Partendo dall'ipotesi che la parità e la valorizzazione della diversità di genere siano tutt'altro che scontate, soprattutto nelle nuove generazioni, l’indagine ha verificato la relazione tra il genere pensato, detto e fatto (West, Zimmerman 1987). É la mancanza di parole ad emergere, la debolezza di un vocabolario inclusivo delle differenze e delle sue sfumature, che si risolve più spesso in antinomie riduttive, binarie e gerarchiche a partire dall'identità di genere. L'assunzione di una parità raggiunta, ad indicare l'assenza di problematicità, si contrappone alla negazione della differenza che si risolve nell'uniformarsi alla dominazione egemone maschile. In tale contesto la percezione della diversità, come valore in sé, sembra offuscata e la stessa costruzione di una definizione linguistica di ‘genere’ risulta difficile, così come emerge dai risultati della ricerca. Le parole scelte dagli adolescenti per esprimere le percezioni e definizioni rispetto al genere e al concetto di discriminazione denunciano l’assenza di riflessioni e di una messa in discussione (Fraser 2013), ma anche una consapevolezza immatura, che rispecchia ed è funzionale ad un sistema di diseguaglianze sempre più ampie, mancanti di una lettura incrociata e intersezionale. Nell'ambito scolastico che fa da sfondo alla ricerca, l'assenza di riflessione sul genere si rispecchia nell’utilizzo di un linguaggio appiattito sul maschile che scandisce le pratiche quotidiane scolastiche contribuendoo altresì alla costruzione di una scarsa valorizzazione della diversità. Il progetto ha preso le mosse dalla messa in discussione della mancata verbalizzazione del genere plurale, la sua declinazione maschile univoca e universale: uscire fuori dal maschile della lingua si è rivelata una esperienza inedita, proprio all’interno dell’istituzione scolastica dove la trasmissione culturale, le parole, il linguaggio sembrano confermarsi uno strumento di conformità piuttosto che di realizzazione espressiva di un sé plurale (Bergvall, Remlinger 1996).
2016
978-88-99-74211-9
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11576/2641582
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