Hjelmslev ha sviluppato un pensiero sull’enunciazione all’altezza della lingua, grammatica e sintassi. Se si deve a Benveniste la formulazione del concetto di enunciazione come pivot della “messa in discorso”, Hjelmslev si è interrogato su ciò che viene mediato nell’a monte dell’enunciazione. In modo autonomo rispetto a Benveniste, l’autore danese ingloba la soggettività del parlante già nella langue saussuriana come assi sensomotori che reggono le relazioni fra le persone linguistiche. L’autrice del saggio riprende la tesi di Arrivé secondo cui nella glossematica “il percorso tra lo schema e l’atto induce necessariamente a porre il concetto di enunciazione, anche senza nominarlo” (Arrivé 1986: 177). Funzione centrale, nel saggio, ha il riposizionamento semiotico dello studio di Hjelmslev su La categoria dei casi (1935). Lo sfondo virtuale prospettato a partire dallo studio dei casi, si presenta come una topologia di relazioni narrative, cioè di giunzione (congiunzione/disgiunzione in trasformazione): 1. Direzione: avvicinamento-riposo-allontanamento; 2. Coerenza (o Intimità): 2a Inerenza: interiorità-indifferenza-esteriorità; 2b Aderenza: contatto-indifferenza-non contatto; 3. Soggettività/Oggettività: soggettività-indifferenza-oggettività. Queste relazioni, normate nelle culture, permettono di estendere l’indagine dell’enunciazione al di là dei deittici, nel linguaggio verbale e soprattutto nelle immagini. Un legame prezioso si ripristina così fra Greimas e Hjelmslev riportando l’enunciazione nel quadro dell’eredità saussuriana. Questo legame supera i timori di Greimas rispetto alle esegesi metafisiche o psicanalitiche dell’apporto innovatore di Benveniste, che considerano (e screditano) la concezione “anonima” del linguaggio, considerandolo unicamente come un sistema collettivo di costrizioni (Greimas e Courtés 1979, voce “Enunciazione”).

L’Enunciazione in Louis Hjelmslev

MIGLIORE T
2017

Abstract

Hjelmslev ha sviluppato un pensiero sull’enunciazione all’altezza della lingua, grammatica e sintassi. Se si deve a Benveniste la formulazione del concetto di enunciazione come pivot della “messa in discorso”, Hjelmslev si è interrogato su ciò che viene mediato nell’a monte dell’enunciazione. In modo autonomo rispetto a Benveniste, l’autore danese ingloba la soggettività del parlante già nella langue saussuriana come assi sensomotori che reggono le relazioni fra le persone linguistiche. L’autrice del saggio riprende la tesi di Arrivé secondo cui nella glossematica “il percorso tra lo schema e l’atto induce necessariamente a porre il concetto di enunciazione, anche senza nominarlo” (Arrivé 1986: 177). Funzione centrale, nel saggio, ha il riposizionamento semiotico dello studio di Hjelmslev su La categoria dei casi (1935). Lo sfondo virtuale prospettato a partire dallo studio dei casi, si presenta come una topologia di relazioni narrative, cioè di giunzione (congiunzione/disgiunzione in trasformazione): 1. Direzione: avvicinamento-riposo-allontanamento; 2. Coerenza (o Intimità): 2a Inerenza: interiorità-indifferenza-esteriorità; 2b Aderenza: contatto-indifferenza-non contatto; 3. Soggettività/Oggettività: soggettività-indifferenza-oggettività. Queste relazioni, normate nelle culture, permettono di estendere l’indagine dell’enunciazione al di là dei deittici, nel linguaggio verbale e soprattutto nelle immagini. Un legame prezioso si ripristina così fra Greimas e Hjelmslev riportando l’enunciazione nel quadro dell’eredità saussuriana. Questo legame supera i timori di Greimas rispetto alle esegesi metafisiche o psicanalitiche dell’apporto innovatore di Benveniste, che considerano (e screditano) la concezione “anonima” del linguaggio, considerandolo unicamente come un sistema collettivo di costrizioni (Greimas e Courtés 1979, voce “Enunciazione”).
2017
979-10-96436-01-9
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