Che gran parte della comunicazione politica passi attraverso l’utilizzo dei social network è un dato di fatto, l’impatto di queste piatta- forme digitali è stato così profondo da trasformare la televisione da luogo privilegiato per la costruzione del consenso, a semplice elettrodomestico. Questa rivoluzione ha colto tutti in contropiede, per quanto politologi e opinionisti commentino quotidianamente tweet e post, riempendosi la bocca di termini sino ad oggi sconosciuti, ciò che emerge è un diffuso senso di inadeguatezza.Ciò di cui abbiamo bisogno è un cambio di prospettiva che ci permetta di studiare i social network come spazi sociali, luoghi fisici con regole e tempi in grado di influenzare i comportamenti e la sfera emotiva di chi li abita. La psicologia sociale e l’antropologia culturale diventano discipline fondamentali per la filosofia politica, dei grimaldelli con i quali scardinare porte che altrimenti resterebbero chiuse, strumenti attraverso cui rendere evidente che questa rincorsa al digitale nasconde la possibilità di un ritorno a forme di collettività arcaica in grado di sgretolare le fondamenta delle democrazie occidentali. L’irrompere dei social network sulla scena del mercato del con- senso, non ha solo stravolto forme e modi della comunicazione politica, ma ha portato al centro dell’agenda il tema del capro espiatorio. Il ritorno del sacrificio come strumento privilegiato di gestione della paura, ci pone dinnanzi ad una serie di interrogativi a cui è neces- sario dare una risposta. Scopo di questo lavoro non è solo quello di ripercorrere la teoria di René Girard per capire se i social network siano o meno luoghi della crisi da cui scaturiscono collettività violente, ma se l’individuazione e l’immolazione della vittima sia ancora un meccanismo in grado di svolgere la propria funzione catartica.

Il sacrificio impossibile. I social network come luoghi di paura.

Cristiano maria Bellei
2022

Abstract

Che gran parte della comunicazione politica passi attraverso l’utilizzo dei social network è un dato di fatto, l’impatto di queste piatta- forme digitali è stato così profondo da trasformare la televisione da luogo privilegiato per la costruzione del consenso, a semplice elettrodomestico. Questa rivoluzione ha colto tutti in contropiede, per quanto politologi e opinionisti commentino quotidianamente tweet e post, riempendosi la bocca di termini sino ad oggi sconosciuti, ciò che emerge è un diffuso senso di inadeguatezza.Ciò di cui abbiamo bisogno è un cambio di prospettiva che ci permetta di studiare i social network come spazi sociali, luoghi fisici con regole e tempi in grado di influenzare i comportamenti e la sfera emotiva di chi li abita. La psicologia sociale e l’antropologia culturale diventano discipline fondamentali per la filosofia politica, dei grimaldelli con i quali scardinare porte che altrimenti resterebbero chiuse, strumenti attraverso cui rendere evidente che questa rincorsa al digitale nasconde la possibilità di un ritorno a forme di collettività arcaica in grado di sgretolare le fondamenta delle democrazie occidentali. L’irrompere dei social network sulla scena del mercato del con- senso, non ha solo stravolto forme e modi della comunicazione politica, ma ha portato al centro dell’agenda il tema del capro espiatorio. Il ritorno del sacrificio come strumento privilegiato di gestione della paura, ci pone dinnanzi ad una serie di interrogativi a cui è neces- sario dare una risposta. Scopo di questo lavoro non è solo quello di ripercorrere la teoria di René Girard per capire se i social network siano o meno luoghi della crisi da cui scaturiscono collettività violente, ma se l’individuazione e l’immolazione della vittima sia ancora un meccanismo in grado di svolgere la propria funzione catartica.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11576/2696953
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