Il tema è libertà e potere. Liberta è un evento raro diversamente dalla sua parola che corre sulla bocca di tutti, a volte senza coscienza di quello che dice. Libertà non è mai proprietà di uno solo; libertà è la lotta di coloro che ne sono privi per divenire liberi. Potere è un verbo e un sostantivo. Evoca una possibilità, dichiara una facoltà, impegna un’azione. Esso non viene mai meno dove la libertà è in gioco. Libertà e potere, questo è il problema. Come svolgere il tema, non cadendo in un’astratta separatezza delle parti, e senza riconoscersi in una nessuna empirica determinazione del loro rapporto dialettico: soltanto rincorrendo un contrappunto di voci nel punto in cui il medesimo tema è colto nell’atto di spegnersi o di svanire. E raggiungere la soglia della loro indisgiungibile divisione. Anche quando la loro fondazione ontologica resta sospesa come una verità che muore all’intenzione. A Elias Canetti, come pure a Michel Foucault, il passo della ricerca si rivolge per corrispondere alla metamorfosi della libertà. Tra la figura e la maschera del potere, dove più essa pare compiersi e negarsi, la libertà persevera come un’esigenza che trascende l’essere della sua potenza. Si apre il sipario sull’ultimo atto di Massa e potere (Canetti, 1960). Il potere non è mai statico, qualcosa di esterno, che se ne sta da una parte, senza fare niente. Il potere si esercita, impartisce un comando, dà ordini, è a suo modo un insieme di relazioni. Può darsi che il sistema degli ordini sia istituito tra gli uomini in modo che per lo più si sfugga alla morte, difendendosi dalla paura, non di meno esso provoca sempre il terrore della morte, agisce, oppure è agito, dalla sua minaccia. II potere della morte esige che il comando sia eseguito, non tollera esitazioni, non ammette una contraddizione; esso richiede docilità, disciplina, sottomissione dai medesimi soggetti che sono costituiti dal suo esercizio; il potere è cosi antico e moderno che in ogni sua parola d’ordine rivive il grido della battaglia vittoriosa, si rinnova l’eco di un antico trionfo, ridonda anche del consenso di massa. Il comando deve riaffermarsi nella lotta, senza che nessuno lo ponga in dubbio e lo discuta. Perché il potere è consapevole che quando il proprio comando cessa di dare ordini, esso cade, cioè l’ora della propria morte è arrivata. Il potere non finisce perché è insorta una disubbidienza, bensì perché il comando si è estenuato, affievolito, oppure perché esso è dileguato, afferrato dalla morte che avrebbe dovuto infliggere e che invece è venuta a prenderlo. Chi potrà ancora stupirsi, allora, se il potere del comando, oppure il comando del potere, risalga dalla terra di mezzo al luogo dell’origine, accada contemporaneamente alla libertà, ovvero che dell’origine esso costituisca l’atto di governo di ciò che è posto in essere. Dopo Canetti, Foucault. I suoi "Corsi". Come dire, se il potere non è un affrontarsi di due avversari, né un legame volontario tra individui, ovvero l’obbligo di qualcuno nei confronti di qualcun altro, bensì una pratica di governo, la cui azione struttura il campo di azione possibile degli altri, allora sarà la medesima pensabilità di tale campo di possibilità - in cui molteplici modi di condotta, numerose reazioni, diversi tipi di comportamento possono realizzarsi - a esigere la libertà quale suo sostegno permanente, cioè quale bersaglio e appoggio insieme del suo comando, perché senza il perseverare di un punto di resistenza contro cui fare presa il potere sarebbe equivalente a una determinazione fisica, alla forza pura. Se questo è vero, si comprende, allora, come nel campo del sapere, in cui ne va del regime di verità di ogni discorso, la relazione tra il potere e il rifiuto della libertà a sottomettersi non possa essere decisa. All’origine della relazione di potere non c’è l’oblio della libertà, bensì la sua intransigenza, un moto di resistenza non l’acquiescenza del conformismo, mai una passione triste, ma il gusto e la pratica della lotta a vita. L’inizio contro il suo cominciamento. Un principio d’anarchia. Il regno. Tra potere e libertà corre un agonismo, un rapporto che è al tempo stesso un incatenamento reciproco e un movimento strategico; più di un faccia a faccia tra due essenze, che paralizzerebbe entrambi le parti, l’arrischiarsi di una provocazione permanente, un’opposizione che afferma e non nega perché ha cura di sé e degli altri. Il saggio chiama istituzione la dinamica in cui si aggregano masse e poteri, flussi, forze, valori, campi, soggetti, identità e differenze; dove compaiono e scompaiono figure e maschere; ovvero il luogo di un incessante succedersi di equilibri, che avvengono dove la vita non coincide con se stessa e si scinde in una vita che viviamo e una vita in cui e per cui viviamo, cioè quando il diritto resta in una inesauribile tensione con la giustizia.

Del reciproco istituirsi di libertà e potere

Domenico Scalzo
2022

Abstract

Il tema è libertà e potere. Liberta è un evento raro diversamente dalla sua parola che corre sulla bocca di tutti, a volte senza coscienza di quello che dice. Libertà non è mai proprietà di uno solo; libertà è la lotta di coloro che ne sono privi per divenire liberi. Potere è un verbo e un sostantivo. Evoca una possibilità, dichiara una facoltà, impegna un’azione. Esso non viene mai meno dove la libertà è in gioco. Libertà e potere, questo è il problema. Come svolgere il tema, non cadendo in un’astratta separatezza delle parti, e senza riconoscersi in una nessuna empirica determinazione del loro rapporto dialettico: soltanto rincorrendo un contrappunto di voci nel punto in cui il medesimo tema è colto nell’atto di spegnersi o di svanire. E raggiungere la soglia della loro indisgiungibile divisione. Anche quando la loro fondazione ontologica resta sospesa come una verità che muore all’intenzione. A Elias Canetti, come pure a Michel Foucault, il passo della ricerca si rivolge per corrispondere alla metamorfosi della libertà. Tra la figura e la maschera del potere, dove più essa pare compiersi e negarsi, la libertà persevera come un’esigenza che trascende l’essere della sua potenza. Si apre il sipario sull’ultimo atto di Massa e potere (Canetti, 1960). Il potere non è mai statico, qualcosa di esterno, che se ne sta da una parte, senza fare niente. Il potere si esercita, impartisce un comando, dà ordini, è a suo modo un insieme di relazioni. Può darsi che il sistema degli ordini sia istituito tra gli uomini in modo che per lo più si sfugga alla morte, difendendosi dalla paura, non di meno esso provoca sempre il terrore della morte, agisce, oppure è agito, dalla sua minaccia. II potere della morte esige che il comando sia eseguito, non tollera esitazioni, non ammette una contraddizione; esso richiede docilità, disciplina, sottomissione dai medesimi soggetti che sono costituiti dal suo esercizio; il potere è cosi antico e moderno che in ogni sua parola d’ordine rivive il grido della battaglia vittoriosa, si rinnova l’eco di un antico trionfo, ridonda anche del consenso di massa. Il comando deve riaffermarsi nella lotta, senza che nessuno lo ponga in dubbio e lo discuta. Perché il potere è consapevole che quando il proprio comando cessa di dare ordini, esso cade, cioè l’ora della propria morte è arrivata. Il potere non finisce perché è insorta una disubbidienza, bensì perché il comando si è estenuato, affievolito, oppure perché esso è dileguato, afferrato dalla morte che avrebbe dovuto infliggere e che invece è venuta a prenderlo. Chi potrà ancora stupirsi, allora, se il potere del comando, oppure il comando del potere, risalga dalla terra di mezzo al luogo dell’origine, accada contemporaneamente alla libertà, ovvero che dell’origine esso costituisca l’atto di governo di ciò che è posto in essere. Dopo Canetti, Foucault. I suoi "Corsi". Come dire, se il potere non è un affrontarsi di due avversari, né un legame volontario tra individui, ovvero l’obbligo di qualcuno nei confronti di qualcun altro, bensì una pratica di governo, la cui azione struttura il campo di azione possibile degli altri, allora sarà la medesima pensabilità di tale campo di possibilità - in cui molteplici modi di condotta, numerose reazioni, diversi tipi di comportamento possono realizzarsi - a esigere la libertà quale suo sostegno permanente, cioè quale bersaglio e appoggio insieme del suo comando, perché senza il perseverare di un punto di resistenza contro cui fare presa il potere sarebbe equivalente a una determinazione fisica, alla forza pura. Se questo è vero, si comprende, allora, come nel campo del sapere, in cui ne va del regime di verità di ogni discorso, la relazione tra il potere e il rifiuto della libertà a sottomettersi non possa essere decisa. All’origine della relazione di potere non c’è l’oblio della libertà, bensì la sua intransigenza, un moto di resistenza non l’acquiescenza del conformismo, mai una passione triste, ma il gusto e la pratica della lotta a vita. L’inizio contro il suo cominciamento. Un principio d’anarchia. Il regno. Tra potere e libertà corre un agonismo, un rapporto che è al tempo stesso un incatenamento reciproco e un movimento strategico; più di un faccia a faccia tra due essenze, che paralizzerebbe entrambi le parti, l’arrischiarsi di una provocazione permanente, un’opposizione che afferma e non nega perché ha cura di sé e degli altri. Il saggio chiama istituzione la dinamica in cui si aggregano masse e poteri, flussi, forze, valori, campi, soggetti, identità e differenze; dove compaiono e scompaiono figure e maschere; ovvero il luogo di un incessante succedersi di equilibri, che avvengono dove la vita non coincide con se stessa e si scinde in una vita che viviamo e una vita in cui e per cui viviamo, cioè quando il diritto resta in una inesauribile tensione con la giustizia.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11576/2709671
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