Nel 2001, Jean Ziegler, un sociologo e deputato al parlamento svizzero nominato come relatore speciale per il diritto all’alimentazione all’Onu, ravvisando come ancora manchi una chiara idea su cosa debba intendersi per “diritto al cibo”, nel suo rapporto definisce questo diritto come: il diritto ad avere un accesso regolare, permanente, libero, sia direttamente sia tramite acquisti monetari, a cibo quantitativamente e qualitativamente adeguato, sufficiente, corrispondente alle tradizioni culturali della popolazione di cui fa parte il consumatore e in grado di assicurare una vita psichica e fisica, individuale e collettiva, priva di angoscia, soddisfacente e degna. Quanto al nesso tra diritto al cibo e sicurezza alimentare, nel rapporto si precisa che la definizione adottata include elementi importanti della nozione di sicurezza alimentare individuata qualche anno prima, nel 1996, nel primo paragrafo del World Food Summit Plan of Action che segue la Dichiarazione di Roma della Fao, in cui si definisce la sicurezza alimentare come: «la situazione in cui tutte le persone, in ogni momento, hanno accesso fisico, sociale ed economico ad alimenti sufficienti, sicuri e nutrienti che garantiscano i loro bisogni e preferenze alimentari per condurre una vita attiva e sana». In breve, diritto al cibo e sicurezza alimentare, nella duplice accezione di food security e food safety, coincidono senza scarti, incarnando un’idea i cui contenuti sostanziali sono: libertà dalla fame innanzi tutto, accompagnata dalla garanzia di qualità in termini igienico sanitari e di valenza nutrizionale del cibo, nonché dall’adeguatezza dell’alimentazione anche nella prospettiva delle preferenze culturali di ogni persona, evidenziando, in particolare per quest’ultimo aspetto, che le “preferenze” che impattano sulla “vita attiva e sana” riferite nel 1996 sono anche quelle più direttamente implicate nella vita relazionale della persona. Non si tratta più, quindi, di affermare la quantità o la qualità degli alimenti ai fini della sopravvivenza, ma di riconoscere un diritto legato anche all’identità e ai valori di chi si alimenta, vale a dire non più e non soltanto della vittima delle crisi alimentari, o del consumatore benestante, ma anche della persona alla quale si riconosce il diritto a un cibo conforme alle proprie tradizioni culturali o alle proprie credenze e convenzioni religiose. Garantire il diritto al cibo, ovvero la sicurezza del cibo, significa in definitiva passare da un diritto costruito intorno agli svantaggiati e agli esclusi, quando non ridotti esclusivamente alla categoria di consumatori, a un diritto che diventa un diritto fondamentale sociale legato all’autodeterminazione individuale e collettiva, e precondizione della stessa democrazia. Ciò nonostante, lo scarto tra le due nozioni ancora esiste e non soltanto sul piano formale. Da una parte, il diritto al cibo attende di trovare in molti paesi il riconoscimento giuridico adeguato a garantirne la diretta applicabilità come diritto fondamentale della persona. Dall’altra parte, si sviluppa un diritto alla sicurezza alimentare che supplisce alla domanda di tutela per l’accesso e la qualità del cibo, integrando però parzialmente, o almeno non nella stessa misura, tutti gli aspetti costitutivi del diritto al cibo. È quanto accade, in particolare, nel contesto della UE, dove la regolamentazione della sicurezza alimentare ha conosciuto un notevole sviluppo ma non il diritto al cibo, non soltanto ancora privo di riconoscimento formale, ma disatteso anche in parte nella sostanza. Evidentemente, in un contesto multidimensionale qual è quello del sistema alimentare, in un quadro di equilibri tra esigenze confliggenti di portata globale, la realizzazione concreta di questo diritto si trova a confrontarsi con una miriade di concause che implicano un’enorme complessità, che supera anche il riconoscimento formale, laddove sia già intervenuto. Tuttavia, la particolarità del caso europeo ci invita a ritornare sulle ragioni del fondamento giuridico del diritto al cibo, anche in forza della considerazione che questo diritto, ritenuto unanimamente “esistenziale”, non ha ancora trovato una completa effettività proprio in Europa, culla per tradizione dei diritti umani. In tal senso, intercettandone almeno le linee essenziali, bisognerà osservare criticamente le scelte che hanno guidato la politica europea sulla sicurezza alimentare, per comprendere le cause del mantenimento di uno scarto tra sicurezza alimentare e diritto al cibo, e quindi tentare di approfondire il concetto stesso di diritto al cibo, per osservarlo come diritto all’accesso adeguato a un nutrimento in un senso anche più alto. Se vogliamo affermare, infatti, che “il cibo investe nel suo insieme la condizione umana”, ciò significa che il diritto al cibo non è il più fondamentale dei diritti soltanto perché il cibo è la materia che ci tiene “biologicamente” in vita, ma è diritto appunto “esistenziale” in quanto mette in gioco l’intera esistenza della persona umana, la quale, attraverso il cibo, compie quell’esperienza e quell’apprendimento del mondo che precedono la socialità e dunque la stessa comunità politica. Potrebbe essere importante, pertanto, tornare a ragionare di “nutrimento” mettendo il cibo al centro dell’“esistere”, nell’accezione più completa dello “stare al mondo” (e non del sopravvivere) al cuore della critica della “vera vita”, e in quest’orizzonte aprire un dialogo su una visione che possa coadiuvare la politica, la quale non può deporre l’obbligo prioritario di rispondere al futuro.

Il dovere di nutrire

Maria Paola Mittica
Writing – Original Draft Preparation
2023

Abstract

Nel 2001, Jean Ziegler, un sociologo e deputato al parlamento svizzero nominato come relatore speciale per il diritto all’alimentazione all’Onu, ravvisando come ancora manchi una chiara idea su cosa debba intendersi per “diritto al cibo”, nel suo rapporto definisce questo diritto come: il diritto ad avere un accesso regolare, permanente, libero, sia direttamente sia tramite acquisti monetari, a cibo quantitativamente e qualitativamente adeguato, sufficiente, corrispondente alle tradizioni culturali della popolazione di cui fa parte il consumatore e in grado di assicurare una vita psichica e fisica, individuale e collettiva, priva di angoscia, soddisfacente e degna. Quanto al nesso tra diritto al cibo e sicurezza alimentare, nel rapporto si precisa che la definizione adottata include elementi importanti della nozione di sicurezza alimentare individuata qualche anno prima, nel 1996, nel primo paragrafo del World Food Summit Plan of Action che segue la Dichiarazione di Roma della Fao, in cui si definisce la sicurezza alimentare come: «la situazione in cui tutte le persone, in ogni momento, hanno accesso fisico, sociale ed economico ad alimenti sufficienti, sicuri e nutrienti che garantiscano i loro bisogni e preferenze alimentari per condurre una vita attiva e sana». In breve, diritto al cibo e sicurezza alimentare, nella duplice accezione di food security e food safety, coincidono senza scarti, incarnando un’idea i cui contenuti sostanziali sono: libertà dalla fame innanzi tutto, accompagnata dalla garanzia di qualità in termini igienico sanitari e di valenza nutrizionale del cibo, nonché dall’adeguatezza dell’alimentazione anche nella prospettiva delle preferenze culturali di ogni persona, evidenziando, in particolare per quest’ultimo aspetto, che le “preferenze” che impattano sulla “vita attiva e sana” riferite nel 1996 sono anche quelle più direttamente implicate nella vita relazionale della persona. Non si tratta più, quindi, di affermare la quantità o la qualità degli alimenti ai fini della sopravvivenza, ma di riconoscere un diritto legato anche all’identità e ai valori di chi si alimenta, vale a dire non più e non soltanto della vittima delle crisi alimentari, o del consumatore benestante, ma anche della persona alla quale si riconosce il diritto a un cibo conforme alle proprie tradizioni culturali o alle proprie credenze e convenzioni religiose. Garantire il diritto al cibo, ovvero la sicurezza del cibo, significa in definitiva passare da un diritto costruito intorno agli svantaggiati e agli esclusi, quando non ridotti esclusivamente alla categoria di consumatori, a un diritto che diventa un diritto fondamentale sociale legato all’autodeterminazione individuale e collettiva, e precondizione della stessa democrazia. Ciò nonostante, lo scarto tra le due nozioni ancora esiste e non soltanto sul piano formale. Da una parte, il diritto al cibo attende di trovare in molti paesi il riconoscimento giuridico adeguato a garantirne la diretta applicabilità come diritto fondamentale della persona. Dall’altra parte, si sviluppa un diritto alla sicurezza alimentare che supplisce alla domanda di tutela per l’accesso e la qualità del cibo, integrando però parzialmente, o almeno non nella stessa misura, tutti gli aspetti costitutivi del diritto al cibo. È quanto accade, in particolare, nel contesto della UE, dove la regolamentazione della sicurezza alimentare ha conosciuto un notevole sviluppo ma non il diritto al cibo, non soltanto ancora privo di riconoscimento formale, ma disatteso anche in parte nella sostanza. Evidentemente, in un contesto multidimensionale qual è quello del sistema alimentare, in un quadro di equilibri tra esigenze confliggenti di portata globale, la realizzazione concreta di questo diritto si trova a confrontarsi con una miriade di concause che implicano un’enorme complessità, che supera anche il riconoscimento formale, laddove sia già intervenuto. Tuttavia, la particolarità del caso europeo ci invita a ritornare sulle ragioni del fondamento giuridico del diritto al cibo, anche in forza della considerazione che questo diritto, ritenuto unanimamente “esistenziale”, non ha ancora trovato una completa effettività proprio in Europa, culla per tradizione dei diritti umani. In tal senso, intercettandone almeno le linee essenziali, bisognerà osservare criticamente le scelte che hanno guidato la politica europea sulla sicurezza alimentare, per comprendere le cause del mantenimento di uno scarto tra sicurezza alimentare e diritto al cibo, e quindi tentare di approfondire il concetto stesso di diritto al cibo, per osservarlo come diritto all’accesso adeguato a un nutrimento in un senso anche più alto. Se vogliamo affermare, infatti, che “il cibo investe nel suo insieme la condizione umana”, ciò significa che il diritto al cibo non è il più fondamentale dei diritti soltanto perché il cibo è la materia che ci tiene “biologicamente” in vita, ma è diritto appunto “esistenziale” in quanto mette in gioco l’intera esistenza della persona umana, la quale, attraverso il cibo, compie quell’esperienza e quell’apprendimento del mondo che precedono la socialità e dunque la stessa comunità politica. Potrebbe essere importante, pertanto, tornare a ragionare di “nutrimento” mettendo il cibo al centro dell’“esistere”, nell’accezione più completa dello “stare al mondo” (e non del sopravvivere) al cuore della critica della “vera vita”, e in quest’orizzonte aprire un dialogo su una visione che possa coadiuvare la politica, la quale non può deporre l’obbligo prioritario di rispondere al futuro.
2023
978-88-351-4638-4
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11576/2710533
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