In senso strettamente sociologico, la relazione educativa è volta al cambiamento e alla formazione del comportamento di un essere umano (allievo, scolaro, studente, figlio, educando) in un ambiente strutturato di forte portata socializzante. Essa prevede un complesso logico e coerente di azioni intraprese in vista di una precisa finalità, nell’ambito di un sistema ordinato di mezzi che consentano la realizzazione di principi pedagogici socialmente convalidati i quali, a loro volta, e almeno generalmente da una certa epoca storica in poi, emergono da una teoria scientifica. Tale relazione è per sua natura asimmetrica e direttiva non fosse altro perché, nel corso del processo, le decisioni sono attuate in un contesto organizzato per e non dall’educando. Ciò nondimeno, il processo educativo vero e proprio può avere inizio solo nel momento in cui Ego (l’educatore, in questo caso) e Alter (l’educando) vengono entrambi coinvolti in un movimento che, sul piano comportamentale, li orienta reciprocamente verso il rispettivo partner. Può interrompersi, invece, quando, in talune circostanze problematiche, sulle prime l’educatore si palesa con un eccessivo autoritarismo, oppure perché chi dovrebbe essere educato, rifiuta, resiste o semplicemente non desidera trovarsi in quella o in un’altra situazione ritenuta spiacevole. Si può dunque affermare che ogni azione educativa prende le mosse dalla convinta adesione ad alcuni valori morali di fondo: sono in primo luogo proprio questi valori, infatti, a suscitare nell’educatore il suo proposito di trasformare il comportamento degli altri. L’atto educativo ha inoltre la necessità, per fare presa sull’educando o magari catturarne l’attenzione, di generare un consenso o quantomeno una provvisoria accettazione del proprio apporto, seppur nella consapevolezza che per svilupparsi nel tempo e raggiungere il suo scopo, cioè ottenere un effettivo cambiamento e quindi essere efficace, esso dovrà essere in grado di suscitare nell’educando l’interesse per una ricerca autonoma – la sola, questa, che alla fine potrà favorire lo sviluppo della propria capacità critica e il raggiungimento di una piena maturazione. In breve: l’evoluzione di chi si sta formando nasce dalla reazione (almeno in parte positiva) e dal successivo distacco (almeno parziale) rispetto al modello delineato, sia esso un modello di comportamento, un modello culturale o una combinazione tra i due. Da qui, e in termini più puntuali, la relazione educativa si configura, sociologicamente parlando, come l’insieme dei rapporti sociali che si instaurano tra l’educatore e tutti quelli che egli educa, allo scopo di realizzare gli obiettivi (educativi) stabiliti nell’ambito di una determinata struttura istituzionale; tali rapporti presentano – o dovrebbero presentare – delle peculiarità cognitive e affettive ben riconoscibili che hanno una propria intenzionalità pedagogica e una propria storia.

Sulla relazione educativa

Giorgio Manfre';
2023

Abstract

In senso strettamente sociologico, la relazione educativa è volta al cambiamento e alla formazione del comportamento di un essere umano (allievo, scolaro, studente, figlio, educando) in un ambiente strutturato di forte portata socializzante. Essa prevede un complesso logico e coerente di azioni intraprese in vista di una precisa finalità, nell’ambito di un sistema ordinato di mezzi che consentano la realizzazione di principi pedagogici socialmente convalidati i quali, a loro volta, e almeno generalmente da una certa epoca storica in poi, emergono da una teoria scientifica. Tale relazione è per sua natura asimmetrica e direttiva non fosse altro perché, nel corso del processo, le decisioni sono attuate in un contesto organizzato per e non dall’educando. Ciò nondimeno, il processo educativo vero e proprio può avere inizio solo nel momento in cui Ego (l’educatore, in questo caso) e Alter (l’educando) vengono entrambi coinvolti in un movimento che, sul piano comportamentale, li orienta reciprocamente verso il rispettivo partner. Può interrompersi, invece, quando, in talune circostanze problematiche, sulle prime l’educatore si palesa con un eccessivo autoritarismo, oppure perché chi dovrebbe essere educato, rifiuta, resiste o semplicemente non desidera trovarsi in quella o in un’altra situazione ritenuta spiacevole. Si può dunque affermare che ogni azione educativa prende le mosse dalla convinta adesione ad alcuni valori morali di fondo: sono in primo luogo proprio questi valori, infatti, a suscitare nell’educatore il suo proposito di trasformare il comportamento degli altri. L’atto educativo ha inoltre la necessità, per fare presa sull’educando o magari catturarne l’attenzione, di generare un consenso o quantomeno una provvisoria accettazione del proprio apporto, seppur nella consapevolezza che per svilupparsi nel tempo e raggiungere il suo scopo, cioè ottenere un effettivo cambiamento e quindi essere efficace, esso dovrà essere in grado di suscitare nell’educando l’interesse per una ricerca autonoma – la sola, questa, che alla fine potrà favorire lo sviluppo della propria capacità critica e il raggiungimento di una piena maturazione. In breve: l’evoluzione di chi si sta formando nasce dalla reazione (almeno in parte positiva) e dal successivo distacco (almeno parziale) rispetto al modello delineato, sia esso un modello di comportamento, un modello culturale o una combinazione tra i due. Da qui, e in termini più puntuali, la relazione educativa si configura, sociologicamente parlando, come l’insieme dei rapporti sociali che si instaurano tra l’educatore e tutti quelli che egli educa, allo scopo di realizzare gli obiettivi (educativi) stabiliti nell’ambito di una determinata struttura istituzionale; tali rapporti presentano – o dovrebbero presentare – delle peculiarità cognitive e affettive ben riconoscibili che hanno una propria intenzionalità pedagogica e una propria storia.
2023
978-88-6680-468-0
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11576/2723252
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