Diffusa è la convinzione che il Covid-19 abbia profondamente inciso sul rapporto autorità libertà. La postpandemia come l’età che segna un oblio dei diritti e una inflazione dei doveri. Un oblio e una inflazione alimentati dal “fatto” che nello stato di emergenza, dinanzi al rischio estremo del bene della salute e della vita, sono le situazioni giuridiche passive (responsabilità, oneri, obblighi) ad acquisire una pregnanza che nello stato di normalità è solo latente. Questa convinzione, che paradossalmente accomuna filosofie della cura e ‘costituzionalismo deferente’, si tinge di tratti epocali in quella letteratura per quale siamo precipitati in uno stato di eccezione, il destino degli ordinamenti che hanno introiettato l’imperativo della tutela della “nuda vita”. Questa rappresentazione del (presunto) regime di biosicurezza in cui viviamo ci dice poco sulla portata effettiva dei mutamenti che nella postpandemia hanno, in modo accelerato, investito la (credevamo) consolidata e inossidabile grammatica dei diritti e dei doveri. Una riscrittura del loro catalogo, l’emersione di inedite forme di bilanciamento, l’instaurazione di un ordinamento oggettivo della salute e della sicurezza dei consociati (‘governato’, nelle fasi più acute dell’infezione epidemiologa, da una sorta di dittatura commissaria), propedeutico e funzionale al ritorno dello stato di normalità, della normalità neoliberale. Le figure deontiche primarie di questa normalità non sono il diritto e il dovere in sé ma il ‘poter fare illimitatamente’ e l’altrettanto cogente costrizione e auto costrizione “a fare illimitatamente’ che discendono dal principio di prestazione, meta valore e principio supremo della c.d. costituzione vivente: la psico-antropologia dell’uomo macchina dei nostri giorni (permanentemente performante e resiliente, tutto l’anno, ogni giorno dell’anno, ad ogni ora del giorno), l’illusione di rimuovere l’ontologica vulnerabilità della condizione umana, l’autoinganno di “far finta di esse sani”. Una cattiva e dilagante ‘passione’.

I doveri nella postpandemia

Antonio Cantaro
2023

Abstract

Diffusa è la convinzione che il Covid-19 abbia profondamente inciso sul rapporto autorità libertà. La postpandemia come l’età che segna un oblio dei diritti e una inflazione dei doveri. Un oblio e una inflazione alimentati dal “fatto” che nello stato di emergenza, dinanzi al rischio estremo del bene della salute e della vita, sono le situazioni giuridiche passive (responsabilità, oneri, obblighi) ad acquisire una pregnanza che nello stato di normalità è solo latente. Questa convinzione, che paradossalmente accomuna filosofie della cura e ‘costituzionalismo deferente’, si tinge di tratti epocali in quella letteratura per quale siamo precipitati in uno stato di eccezione, il destino degli ordinamenti che hanno introiettato l’imperativo della tutela della “nuda vita”. Questa rappresentazione del (presunto) regime di biosicurezza in cui viviamo ci dice poco sulla portata effettiva dei mutamenti che nella postpandemia hanno, in modo accelerato, investito la (credevamo) consolidata e inossidabile grammatica dei diritti e dei doveri. Una riscrittura del loro catalogo, l’emersione di inedite forme di bilanciamento, l’instaurazione di un ordinamento oggettivo della salute e della sicurezza dei consociati (‘governato’, nelle fasi più acute dell’infezione epidemiologa, da una sorta di dittatura commissaria), propedeutico e funzionale al ritorno dello stato di normalità, della normalità neoliberale. Le figure deontiche primarie di questa normalità non sono il diritto e il dovere in sé ma il ‘poter fare illimitatamente’ e l’altrettanto cogente costrizione e auto costrizione “a fare illimitatamente’ che discendono dal principio di prestazione, meta valore e principio supremo della c.d. costituzione vivente: la psico-antropologia dell’uomo macchina dei nostri giorni (permanentemente performante e resiliente, tutto l’anno, ogni giorno dell’anno, ad ogni ora del giorno), l’illusione di rimuovere l’ontologica vulnerabilità della condizione umana, l’autoinganno di “far finta di esse sani”. Una cattiva e dilagante ‘passione’.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11576/2728731
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