Prima di essere un fenomeno politico, l’impero è un archetipo, la rappresentazione dell’aspirazione umana ad abitare uno spazio senza morte, un mondo privo di confini in cui la paura non debba essere sublimata attraverso la creazione di un nemico.Se è vero che ogni impero ha sempre avuto bisogno di un imperatore, è forse il caso di ricordare che più aumenta l’ampiezza e la complessità della massa, più il controllo sui sudditi diviene difficile. Storicamente il limite di ogni impero è sempre stato quello di incontrare un limes uguale e contrapposto, qualcosa o qualcuno che non fosse inglobabile o che non avesse alcuna intenzione di farsi inglobare. Questa condanna a non saper andare oltre il limite, a non saper fare a meno del nemico o del capro espiatorio, è la diretta conseguenza della necessità da parte dei re o dei leader, di gettare in pasto alla massa delle impersonificazioni della morte grazie alla quale erigere dei confini, grazie alle quali sacrificare la propria ampiezza in favore di quella che potremmo chiamare governabilità. In fondo l’unico impero immaginabile, non potrebbe essere che anarchico nel senso più radicale del termine. Del resto, il potere stesso non avrebbe alcun senso in un contesto libero dalla morte, non sapremmo che farcene di un Leviatano senza un senso di persecuzione da sublimare. La sacralità dell’imperatore è cosa ben diversa da quella di un sovrano o di un capo carismatico, essa è profondamente impersonale, la funzione simbolica qui è determinante, perché non ha alcun bisogno di incarnarsi in un essere umano, o di trasmettersi di padre in figlio. L’unico impero possibile è quello che si sorregge su di un trono vuoto, quello in cui l’incarnazione del tutto si fa immateriale e, proprio per questo, condivisibile da chiunque.Lo sviluppo di internet è tra le conseguenze più evidenti del bi- sogno umano di ampliare a dismisura i propri confini. La connessione è la strategia tramite cui inglobare tutto ciò che sino ad ora era rimasto fuori: il desiderio di inclusione della muta di accrescimento diviene una realtà fattuale, qualcosa in grado di stravolgere identità ed appartenenze. La rete ci avvolge come una coperta in grado di annullare distanze e differenze. I motivi per cui il web, e soprattutto i social network, non possono essere identificati con un impero, sono molteplici: il primo di questi è che non abbiamo a che fare con una struttura centralizzata, ma con una infinita quantità server e infrastrutture spesso sotto il controllo di soggetti che non appartengono al medesimo sistema, e che non condividono nemmeno alcuna gerarchia. C’è poi il problema che le grandi multinazionali tecnologiche sono strutture private in competizione tra loro. L’obiettivo di queste società è fare profitti, e gli strumenti che ci forniscono non sono certo realizzati per aiutare l’umanità a superare conflitti e divisioni. Basta analizzare i social network come spazi sociali per capire che sono stati progettati per amplificare desideri e fragilità, per far leva proprio sui punti deboli dell’individuo.20.

L'impero possibile? Dalle mute ai social network

Cristiano Maria Bellei
2024

Abstract

Prima di essere un fenomeno politico, l’impero è un archetipo, la rappresentazione dell’aspirazione umana ad abitare uno spazio senza morte, un mondo privo di confini in cui la paura non debba essere sublimata attraverso la creazione di un nemico.Se è vero che ogni impero ha sempre avuto bisogno di un imperatore, è forse il caso di ricordare che più aumenta l’ampiezza e la complessità della massa, più il controllo sui sudditi diviene difficile. Storicamente il limite di ogni impero è sempre stato quello di incontrare un limes uguale e contrapposto, qualcosa o qualcuno che non fosse inglobabile o che non avesse alcuna intenzione di farsi inglobare. Questa condanna a non saper andare oltre il limite, a non saper fare a meno del nemico o del capro espiatorio, è la diretta conseguenza della necessità da parte dei re o dei leader, di gettare in pasto alla massa delle impersonificazioni della morte grazie alla quale erigere dei confini, grazie alle quali sacrificare la propria ampiezza in favore di quella che potremmo chiamare governabilità. In fondo l’unico impero immaginabile, non potrebbe essere che anarchico nel senso più radicale del termine. Del resto, il potere stesso non avrebbe alcun senso in un contesto libero dalla morte, non sapremmo che farcene di un Leviatano senza un senso di persecuzione da sublimare. La sacralità dell’imperatore è cosa ben diversa da quella di un sovrano o di un capo carismatico, essa è profondamente impersonale, la funzione simbolica qui è determinante, perché non ha alcun bisogno di incarnarsi in un essere umano, o di trasmettersi di padre in figlio. L’unico impero possibile è quello che si sorregge su di un trono vuoto, quello in cui l’incarnazione del tutto si fa immateriale e, proprio per questo, condivisibile da chiunque.Lo sviluppo di internet è tra le conseguenze più evidenti del bi- sogno umano di ampliare a dismisura i propri confini. La connessione è la strategia tramite cui inglobare tutto ciò che sino ad ora era rimasto fuori: il desiderio di inclusione della muta di accrescimento diviene una realtà fattuale, qualcosa in grado di stravolgere identità ed appartenenze. La rete ci avvolge come una coperta in grado di annullare distanze e differenze. I motivi per cui il web, e soprattutto i social network, non possono essere identificati con un impero, sono molteplici: il primo di questi è che non abbiamo a che fare con una struttura centralizzata, ma con una infinita quantità server e infrastrutture spesso sotto il controllo di soggetti che non appartengono al medesimo sistema, e che non condividono nemmeno alcuna gerarchia. C’è poi il problema che le grandi multinazionali tecnologiche sono strutture private in competizione tra loro. L’obiettivo di queste società è fare profitti, e gli strumenti che ci forniscono non sono certo realizzati per aiutare l’umanità a superare conflitti e divisioni. Basta analizzare i social network come spazi sociali per capire che sono stati progettati per amplificare desideri e fragilità, per far leva proprio sui punti deboli dell’individuo.20.
2024
979-12-80633-32-3
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11576/2735532
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