Scopo di questo saggio è mostrare come, sin dal primo racconto filosofico della cosmogenesi, il Timeo di Platone, l’uomo non risulti necessario né alla nascita né alla durata dell’universo. Per farlo, si sfrutterà la doppia lettura, letterale e metaforica, dell’aggettivo “genetós”, assegnato all’universo sulla base della celeberrima sequenza di Tim., 28 b 1-7 (generato come cominciato nel tempo, generato come causato) e la doppia lettura, di nuovo letterale e metaforica, del sostantivo “dēmiourgós” (demiurgo come artefice, demiurgo come essere). In entrambi i casi, infatti, l’interpretazione metaforica permette di rimpiazzare il punto di vista umano sulla genesi del cosmo (il cosmo è nato nel senso che ha un inizio temporale) e sulla sua causa (il cosmo è stato generato da un artefice come il figlio dal padre e dalla madre o come l’artefatto dall’artigiano) con quello integralmente naturale sugli stessi. Assumendolo, si ha che il cosmo è causato e che la sua causa, sebbene da esso sia distinta, pure non gli è del tutto esterna. In altre parole, la lettura letterale del Timeo è una lettura che interpreta l’ordine morfogenetico del cosmo come qualcosa di trascendente rispetto ad esso perché impostogli da una volontà buona ma umana troppo umana; quella metaforica, di contro, interpreta lo stesso ordine come immanente all’universo, ossia come l’intrinseca legge della sua stessa autoproduzione. Nel primo caso, cioè, l’ordine del cosmo è l’ordine del greco “kósmos”; nel secondo, quello spinoziano indistinguibile dalla textura o connexio rerum. Per attingere il livello metaforico, tuttavia, è indispensabile: 1. Interpretare l’uscita di scena del demiurgo in Tim., 42 e 7-8; 2. Ridefinire il senso del sostantivo dēmiourgós; 3. Fare un’ipotesi sulla natura di ciò che è presente in Chṓra prima dell’intervento del dio buono (Tim., 52 d 6 – 53 b 7) e, altresì, su quella dei corpi che vi circolano perennemente (Tim., 49 a 5 - 52 d 1). Gli alleati di cui questa impresa può giovarsi sono, invece, quei filosofi che, come Bruno, Spinoza e Whitehead, hanno variamente: 1) giurato contro il dualismo delle sostanze detto anche “biforcazione della natura”; 2) abbandonato una concezione solo difettiva della donna-materia in favore di una attiva ; 3) preferito un modello autoerotico o batteriologico della generazione incentrato sull’autosufficienza della natura a uno solo edipico di stampo prevalentemente artigianale e sessuale; 4) pensato il divenire come processo senza opporlo all’essere; 5) rinunciato all’opposizione tra ordine e disordine, isomorfa, insegna Bergson nel quarto capitolo dell’Evoluzione creatrice a quella tra essere e nulla; 6) scommesso sull’immanenza delle idee – l’ordine – alle cose – la natura.

La fine dell'uomo all'inizio del mondo: principio di pienezza e unigenita natura a partire dal Timeo

CAMPO A
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Abstract

Scopo di questo saggio è mostrare come, sin dal primo racconto filosofico della cosmogenesi, il Timeo di Platone, l’uomo non risulti necessario né alla nascita né alla durata dell’universo. Per farlo, si sfrutterà la doppia lettura, letterale e metaforica, dell’aggettivo “genetós”, assegnato all’universo sulla base della celeberrima sequenza di Tim., 28 b 1-7 (generato come cominciato nel tempo, generato come causato) e la doppia lettura, di nuovo letterale e metaforica, del sostantivo “dēmiourgós” (demiurgo come artefice, demiurgo come essere). In entrambi i casi, infatti, l’interpretazione metaforica permette di rimpiazzare il punto di vista umano sulla genesi del cosmo (il cosmo è nato nel senso che ha un inizio temporale) e sulla sua causa (il cosmo è stato generato da un artefice come il figlio dal padre e dalla madre o come l’artefatto dall’artigiano) con quello integralmente naturale sugli stessi. Assumendolo, si ha che il cosmo è causato e che la sua causa, sebbene da esso sia distinta, pure non gli è del tutto esterna. In altre parole, la lettura letterale del Timeo è una lettura che interpreta l’ordine morfogenetico del cosmo come qualcosa di trascendente rispetto ad esso perché impostogli da una volontà buona ma umana troppo umana; quella metaforica, di contro, interpreta lo stesso ordine come immanente all’universo, ossia come l’intrinseca legge della sua stessa autoproduzione. Nel primo caso, cioè, l’ordine del cosmo è l’ordine del greco “kósmos”; nel secondo, quello spinoziano indistinguibile dalla textura o connexio rerum. Per attingere il livello metaforico, tuttavia, è indispensabile: 1. Interpretare l’uscita di scena del demiurgo in Tim., 42 e 7-8; 2. Ridefinire il senso del sostantivo dēmiourgós; 3. Fare un’ipotesi sulla natura di ciò che è presente in Chṓra prima dell’intervento del dio buono (Tim., 52 d 6 – 53 b 7) e, altresì, su quella dei corpi che vi circolano perennemente (Tim., 49 a 5 - 52 d 1). Gli alleati di cui questa impresa può giovarsi sono, invece, quei filosofi che, come Bruno, Spinoza e Whitehead, hanno variamente: 1) giurato contro il dualismo delle sostanze detto anche “biforcazione della natura”; 2) abbandonato una concezione solo difettiva della donna-materia in favore di una attiva ; 3) preferito un modello autoerotico o batteriologico della generazione incentrato sull’autosufficienza della natura a uno solo edipico di stampo prevalentemente artigianale e sessuale; 4) pensato il divenire come processo senza opporlo all’essere; 5) rinunciato all’opposizione tra ordine e disordine, isomorfa, insegna Bergson nel quarto capitolo dell’Evoluzione creatrice a quella tra essere e nulla; 6) scommesso sull’immanenza delle idee – l’ordine – alle cose – la natura.
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9788857564302
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11576/2746501
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