Guardare oggi The Waldo Moment significa davvero attraversare un dispositivo televisivo che appartiene a un’altra stagione tecnologica, ma che, proprio per questo, consente di isolare con maggiore nitidezza ciò che davvero è importante: l’innesto tra riso e comando, la delega della violenza al segno, la sostituzione del corpo del leader con un’effigie operativa che non si limita a rappresentare, ma agisce. Una volta compiuta la distinzione tra supporto e meccanismo, la chiave interpretativa che l’episodio offre si presta a leggere i rischi del presente digitale, dove la stessa grammatica è stata resa più rapida, misurabile e fruibile dall’architettura delle piattaforme e dalla loro capacità di sincronizzare l’attenzione in micro-scariche permanenti. In questa prospettiva il nesso tra sarcasmo e capro espiatorio illumina la scena contemporanea più della cronaca tecnologica. L’effigie senza corpo che concentra e ridistribuisce l’aggressività fornisce il modello elementare di ciò che accade nel circuito dei social network, dove il ciclo desiderio–mimesi– frustrazione non trova più sbocchi nella deliberazione, ma viene amministrato attraverso meme che designano colpevoli. La crisi non è soltanto un tema discorsivo, assume la forma di una condizione strutturale prodotta da una competizione per l’apparire che non può essere soddisfatta, poiché il confronto con l’immagine ideale di sé — l’influencer come orizzonte normativo, il profilo come vetrina — genera una distanza che richiede costantemente un oggetto su cui scaricare l’eccedenza di risentimento. Qui la lezione di Girard e la genealogia nietzschiana si saldano: la politica che riconosce questa energia la indirizza e la organizza, promettendo sollievo attraverso sequenze di designazioni che trasformano l’offesa in rituale e il dileggio in comando. Rispetto all’universo televisivo dell’episodio, l’ambiente digitale introduce tuttavia una differenza decisiva: l’impossibilità di un baricentro stabile. Non siamo più di fronte a un’unica icona capace di disciplinare la mimesi, bensì a una molteplicità di icone disincarnate, tra loro concorrenti, che operano su masse algoritmiche sovrapposte; ogni segno può convocare la propria convergenza, ogni convergenza può urtare le altre, e la prevenzione della reciprocità, che nell’episodio è compito di un format centralizzato, diventa nel feed un problema aperto, esposto al rischio di caos mimetico. Ne deriva un regime di pacificazione ancora più precario di quello già descritto in Waldo: la tenuta collettiva dipende da catene di offesa che si alimentano vicendevolmente, e la proliferazione di effigi senza responsabilità personale aumenta la probabilità che la violenza smarrisca l’esterno verso cui era stata orientata e rifluisca in conflitti trasversali tra gruppi non commensurabili.

DENTI SCOPERTI. DAL SARCASMO AL CAPRO ESPIATORIO IN THE WALDO MOMENT

Cristiano Maria Bellei
2025

Abstract

Guardare oggi The Waldo Moment significa davvero attraversare un dispositivo televisivo che appartiene a un’altra stagione tecnologica, ma che, proprio per questo, consente di isolare con maggiore nitidezza ciò che davvero è importante: l’innesto tra riso e comando, la delega della violenza al segno, la sostituzione del corpo del leader con un’effigie operativa che non si limita a rappresentare, ma agisce. Una volta compiuta la distinzione tra supporto e meccanismo, la chiave interpretativa che l’episodio offre si presta a leggere i rischi del presente digitale, dove la stessa grammatica è stata resa più rapida, misurabile e fruibile dall’architettura delle piattaforme e dalla loro capacità di sincronizzare l’attenzione in micro-scariche permanenti. In questa prospettiva il nesso tra sarcasmo e capro espiatorio illumina la scena contemporanea più della cronaca tecnologica. L’effigie senza corpo che concentra e ridistribuisce l’aggressività fornisce il modello elementare di ciò che accade nel circuito dei social network, dove il ciclo desiderio–mimesi– frustrazione non trova più sbocchi nella deliberazione, ma viene amministrato attraverso meme che designano colpevoli. La crisi non è soltanto un tema discorsivo, assume la forma di una condizione strutturale prodotta da una competizione per l’apparire che non può essere soddisfatta, poiché il confronto con l’immagine ideale di sé — l’influencer come orizzonte normativo, il profilo come vetrina — genera una distanza che richiede costantemente un oggetto su cui scaricare l’eccedenza di risentimento. Qui la lezione di Girard e la genealogia nietzschiana si saldano: la politica che riconosce questa energia la indirizza e la organizza, promettendo sollievo attraverso sequenze di designazioni che trasformano l’offesa in rituale e il dileggio in comando. Rispetto all’universo televisivo dell’episodio, l’ambiente digitale introduce tuttavia una differenza decisiva: l’impossibilità di un baricentro stabile. Non siamo più di fronte a un’unica icona capace di disciplinare la mimesi, bensì a una molteplicità di icone disincarnate, tra loro concorrenti, che operano su masse algoritmiche sovrapposte; ogni segno può convocare la propria convergenza, ogni convergenza può urtare le altre, e la prevenzione della reciprocità, che nell’episodio è compito di un format centralizzato, diventa nel feed un problema aperto, esposto al rischio di caos mimetico. Ne deriva un regime di pacificazione ancora più precario di quello già descritto in Waldo: la tenuta collettiva dipende da catene di offesa che si alimentano vicendevolmente, e la proliferazione di effigi senza responsabilità personale aumenta la probabilità che la violenza smarrisca l’esterno verso cui era stata orientata e rifluisca in conflitti trasversali tra gruppi non commensurabili.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11576/2764952
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