Nelle fonti retoriche manca una definizione che precisi la lunghezza del colon della prosa: anche Demetrio che, nel De elocutione, gli dedica uno studio dettagliato, non ne quantifica, tuttavia, l’estensione. Si limita a dire che i cola non devono essere molto lunghi, altrimenti la composizione esce di misura, o diventa difficile da seguire; ma neanche troppo brevi, perché avrebbero per effetto una composizione “arida”. Ma vi sono eccezioni: se il linguaggio è particolarmente elevato, può tollerarsi anche una lunghezza maggiore, proprio come, in poesia, il lungo esametro è il verso che si confà al tema eroico. Così, altre volte, è ammesso anche un colon più breve del consueto, quando il tema trattato è di poco rilievo. Una simile brevità, prosegue Demetrio, dà alla sequenza il nome di comma. Il comma è inferiore al colon e, per la sua stringatezza, si addice alle massime e agli apoftegmi. La cosiddetta periodos è la combinazione di cola e commata disposti ad arte, sì da adeguarsi al pensiero espresso o, per usare le parole di Aristotele, ricordate dallo stesso Demetrio, è “una porzione di discorso che ha un principio e una fine”. Una precisazione importante è quella che Demetrio fa a proposito della funzione logico-sintattica del colon nella prosa, nel senso che esso contiene sempre o un pensiero completo oppure una sua parte compiuta. Anche nella manualistica moderna, come già nei trattati dell’antichità, più che una dimensione definita, al colon prosastico si richiedono determinate caratteristiche grammaticali e sintattiche. Diversamente, il colon in poesia ha misure fissate con rigore. Come si legge in Efestione e in altre fonti erudite dell’antichità, ha l’estensione di un dimetro, cioè di quattro piedi; al di sotto di questa misura si parla di comma; al di sopra di essa di stichos, il verso lungo, compreso tra le misure del trimetro e del tetrametro. Qualora si superi questa lunghezza, ha luogo la periodos. L’effettiva operatività di tali partizioni teoriche è confermata dalle colometrie antiche dei testi poetici conservate nei papiri e nei codici, dove si osservano, oltre a numerosissimi dimetri, anche sequenze metriche che coincidono con le misure del trimetro e, meno spesso, del tetrametro. Che la nozione di misura fosse centrale nella dottrina metrica dei Greci sin dall’età classica è chiaro da Aristotele, quando osserva che la poesia si differenzia dalla prosa non tanto per il ritmo, poiché entrambe lo hanno, quanto per il metro. Una nozione, questa di “misura” che, paradossalmente, nella moderna teoria dei metri greci sembra evitata. È comunque da osservare che sia nella teoria antica, sia nella moderna, i cola si configurano come le articolazioni fondamentali della poesia greca. Articolazioni alle quali già gli antichi sembrano avere conferito un valore essenzialmente metrico-ritmico, nonostante la diffidenza dei moderni che, dopo Wilamowitz, non di rado hanno ravvisato alla base delle antiche divisioni un criterio retorico con la conseguente tendenza ad alterare le colometrie tradizionali. Una prova esplicita proviene da Dionigi di Alicarnasso (i sec. a.C.) il quale, nel trattato di stilistica De compositione verborum, traccia una distinzione chiara tra le divisioni del discorso adottate dai retori e quelle adottate dai grammatici alessandrini nel iii sec. a.C. per l’analisi metrica dei testi lirici. Un’ulteriore conferma è data proprio dalla pratica colometrica documentata dalla tradizione manoscritta che risale agli editori di Alessandria, dove il colon solo tendenzialmente, ma non sempre, coincide con la fine di parola, richiesta invece alla fine del periodo lirico. Non solo in sede teorica, dunque, ma anche nell’effettiva pratica ecdotica, l’individuazione del colon poetico non appare ispirata a criteri sintattico-grammaticali, ma a criteri connessi, si può ritenere, con la complessiva organizzazione metrico-ritmica del testo per musica. Si ha perciò l’impressione che la teoria antica avesse individuato una differenza sostanziale del colon retorico rispetto al colon lirico, se l’uno, come già ricordato, per definizione contiene un pensiero in sé finito e l’altro, viceversa, non risponde a tale necessità di finitezza grammaticale e semantica, al punto che il suo limite può cadere all’interno di parola. Un prevalere del suono sul significato che fa la differenza tra la poesia e la prosa. Entro questa cornice, ben si comprendono le riflessioni, di sorprendente attualità teorica, contenute nei due capitoli conclusivi del già ricordato studio De compositione verborum, nei quali Dionigi esplora la potenziale affinità dei discorsi poetico e prosastico. Se la materia della poesia e della prosa è la stessa, cioè la lingua, se entrambe, in quanto successioni di durate sillabiche, si organizzano a partire dalle medesime possibilità ritmiche, ragiona Dionigi, ciò che le distingue è, propriamente, il fatto che la poesia adotta strutture formali iterative, articolate per misure fisse e riconoscibili, perché regolarmente ripetute, in sistemi stichici o strofici. Non così la prosa d’arte che, se vuole avvicinarsi alla poesia, è sufficiente risulti ben ritmata (eyrhythmos) e ben misurata (eymetros), facendo attenzione, tuttavia, a non divenire poesia essa stessa.

Da prosa a poesia, da poesia a prosa. Riflessioni preliminari su Dion. Hal. De Comp. Verb. 25.26

LOMIENTO, LIANA
2004

Abstract

Nelle fonti retoriche manca una definizione che precisi la lunghezza del colon della prosa: anche Demetrio che, nel De elocutione, gli dedica uno studio dettagliato, non ne quantifica, tuttavia, l’estensione. Si limita a dire che i cola non devono essere molto lunghi, altrimenti la composizione esce di misura, o diventa difficile da seguire; ma neanche troppo brevi, perché avrebbero per effetto una composizione “arida”. Ma vi sono eccezioni: se il linguaggio è particolarmente elevato, può tollerarsi anche una lunghezza maggiore, proprio come, in poesia, il lungo esametro è il verso che si confà al tema eroico. Così, altre volte, è ammesso anche un colon più breve del consueto, quando il tema trattato è di poco rilievo. Una simile brevità, prosegue Demetrio, dà alla sequenza il nome di comma. Il comma è inferiore al colon e, per la sua stringatezza, si addice alle massime e agli apoftegmi. La cosiddetta periodos è la combinazione di cola e commata disposti ad arte, sì da adeguarsi al pensiero espresso o, per usare le parole di Aristotele, ricordate dallo stesso Demetrio, è “una porzione di discorso che ha un principio e una fine”. Una precisazione importante è quella che Demetrio fa a proposito della funzione logico-sintattica del colon nella prosa, nel senso che esso contiene sempre o un pensiero completo oppure una sua parte compiuta. Anche nella manualistica moderna, come già nei trattati dell’antichità, più che una dimensione definita, al colon prosastico si richiedono determinate caratteristiche grammaticali e sintattiche. Diversamente, il colon in poesia ha misure fissate con rigore. Come si legge in Efestione e in altre fonti erudite dell’antichità, ha l’estensione di un dimetro, cioè di quattro piedi; al di sotto di questa misura si parla di comma; al di sopra di essa di stichos, il verso lungo, compreso tra le misure del trimetro e del tetrametro. Qualora si superi questa lunghezza, ha luogo la periodos. L’effettiva operatività di tali partizioni teoriche è confermata dalle colometrie antiche dei testi poetici conservate nei papiri e nei codici, dove si osservano, oltre a numerosissimi dimetri, anche sequenze metriche che coincidono con le misure del trimetro e, meno spesso, del tetrametro. Che la nozione di misura fosse centrale nella dottrina metrica dei Greci sin dall’età classica è chiaro da Aristotele, quando osserva che la poesia si differenzia dalla prosa non tanto per il ritmo, poiché entrambe lo hanno, quanto per il metro. Una nozione, questa di “misura” che, paradossalmente, nella moderna teoria dei metri greci sembra evitata. È comunque da osservare che sia nella teoria antica, sia nella moderna, i cola si configurano come le articolazioni fondamentali della poesia greca. Articolazioni alle quali già gli antichi sembrano avere conferito un valore essenzialmente metrico-ritmico, nonostante la diffidenza dei moderni che, dopo Wilamowitz, non di rado hanno ravvisato alla base delle antiche divisioni un criterio retorico con la conseguente tendenza ad alterare le colometrie tradizionali. Una prova esplicita proviene da Dionigi di Alicarnasso (i sec. a.C.) il quale, nel trattato di stilistica De compositione verborum, traccia una distinzione chiara tra le divisioni del discorso adottate dai retori e quelle adottate dai grammatici alessandrini nel iii sec. a.C. per l’analisi metrica dei testi lirici. Un’ulteriore conferma è data proprio dalla pratica colometrica documentata dalla tradizione manoscritta che risale agli editori di Alessandria, dove il colon solo tendenzialmente, ma non sempre, coincide con la fine di parola, richiesta invece alla fine del periodo lirico. Non solo in sede teorica, dunque, ma anche nell’effettiva pratica ecdotica, l’individuazione del colon poetico non appare ispirata a criteri sintattico-grammaticali, ma a criteri connessi, si può ritenere, con la complessiva organizzazione metrico-ritmica del testo per musica. Si ha perciò l’impressione che la teoria antica avesse individuato una differenza sostanziale del colon retorico rispetto al colon lirico, se l’uno, come già ricordato, per definizione contiene un pensiero in sé finito e l’altro, viceversa, non risponde a tale necessità di finitezza grammaticale e semantica, al punto che il suo limite può cadere all’interno di parola. Un prevalere del suono sul significato che fa la differenza tra la poesia e la prosa. Entro questa cornice, ben si comprendono le riflessioni, di sorprendente attualità teorica, contenute nei due capitoli conclusivi del già ricordato studio De compositione verborum, nei quali Dionigi esplora la potenziale affinità dei discorsi poetico e prosastico. Se la materia della poesia e della prosa è la stessa, cioè la lingua, se entrambe, in quanto successioni di durate sillabiche, si organizzano a partire dalle medesime possibilità ritmiche, ragiona Dionigi, ciò che le distingue è, propriamente, il fatto che la poesia adotta strutture formali iterative, articolate per misure fisse e riconoscibili, perché regolarmente ripetute, in sistemi stichici o strofici. Non così la prosa d’arte che, se vuole avvicinarsi alla poesia, è sufficiente risulti ben ritmata (eyrhythmos) e ben misurata (eymetros), facendo attenzione, tuttavia, a non divenire poesia essa stessa.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11576/1882923
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