La teoria dell’oggetto di Meinong, con la sua ampia classificazione degli oggetti, che include anche oggetti non-esistenti e persino impossibili, intende rispondere a un’esigenza di completezza; tuttavia, accanto all’aspetto classificatorio essa possiede un altro aspetto (spesso oscurato dal primo e finora trascurato dagli studiosi), caratterizzato da gradualità, incrementabilità e variabilità. Questo secondo aspetto emerge nel momento in cui si estende al mondo empirico il metodo aprioristico della teoria dell’oggetto. All’imperfezione del mondo corrisponde la nostra imperfezione conoscitiva. Le forme del ‘piu’ e del ‘meno’, come le chiama Meinong, riguardano infatti sia gli oggetti sia i vissuti psichici che li apprendono. Meinong divide la vita psichica in due grandi ambiti, quella del serio e quella del fantastico. Vi sono pertanto, da un lato, rappresentazioni percettive o serie, dall’altro, rappresentazioni fantastiche o prodotte a partire dalle prime. Lo stesso dicasi per i pensieri, divisi in giudizi e assunzioni (o giudizi fantastici), per i sentimenti e per i desideri. I vissuti fantastici costituiscono uno stato inferiore rispetto ai vissuti seri; questi ultimi rappresentano il limite massimo di una serie di gradi che caratterizza i vissuti fantastici. Prendiamo i pensieri. Mentre i giudizi sono proposizioni espresse con convinzione, ossia con pretesa di verità, le assunzioni sono giudizi senza convinzione, e tuttavia, come al giudizio spetta un certo grado di certezza, così anche le assunzioni (fra le quali Meinong annovera le ipotesi, le supposizioni, ma anche le forme enunciative proprie dei giochi, delle menzogne, dei testi letterari) possiedono un momento quantitativo collegato al loro maggiore o minore grado di probabilità, che può essere nullo, ma può anche variare progressivamente fino ad essere molto vicino al grado di certezza proprio del giudizio. Un’assunzione vicina al giudizio è “simile al serio (ernstartig)”, mentre un’assunzione lontana dal giudizio è “umbratile (schattenhaft)”; fra l’umbratile e il simile al serio v’è una linea di continuità. In maniera analoga, sebbene l’analogia non sia perfetta, si ritrovano variazioni di grado sia nei sentimenti e nei desideri, sia all’interno delle rappresentazioni. Date certe condizioni, e cioè che il vissuto colga effettivamente l’oggetto, alla variabilità dei vissuti corrisponde una variabilità dei rispettivi oggetti. Riguardo a questi, la variabilità si esplica come incompletezza degli oggetti delle rappresentazioni, che Meinong chiama “obbietti”, e subfattualità degli obbiettivi, ossia degli oggetti dei giudizi e delle assunzioni. Ampio spazio è dedicato all’analisi della nozione di obbiettivo. Questo non viene definito, ma descritto mediante alcune proprietà caratterizzanti: gli obbiettivi sono oggetti ideali di ordine superiore, che possono al massimo sussistere, giammai esistere, e sono portatori di verità. Ciò significa che l’obbiettivo è un oggetto complesso, che si fonda in ultima analisi su obbietti; che esso non esiste come un pezzo di realtà (in quanto nulla di reale corrisponde, ad esempio, a un giudizio negativo vero), ma che può al massimo sussistere, se è vero – qui si innesta l’esame della temporalità al’interno della teoria dell’oggetto –; infine, che un giudizio è vero, se il corrispondente obbiettivo è fattuale, ovvero è un fatto; per converso, un obbiettivo falso è non-fattuale. La fattualità è una proprietà modale dell’obbiettivo, il limite di una linea di grandezze corrispondenti ai diversi gradi di possibilità. La fattualità è il massimo della possibilità, e la possibilità è fattualità diminuita o “subfattualità”, che varia tra i due limiti della fattualità e della non-fattualità (abbiamo così una teoria dei gradi di verità). Gli obbiettivi subfattuali hanno quali loro costituenti oggetti incompleti (astratti o finzionali). Infine, viene proposta un’applicazione di tali concetti all’analisi di testi storici e letterari.

Forme del più e del meno in Meinong

RASPA, VENANZIO
2005

Abstract

La teoria dell’oggetto di Meinong, con la sua ampia classificazione degli oggetti, che include anche oggetti non-esistenti e persino impossibili, intende rispondere a un’esigenza di completezza; tuttavia, accanto all’aspetto classificatorio essa possiede un altro aspetto (spesso oscurato dal primo e finora trascurato dagli studiosi), caratterizzato da gradualità, incrementabilità e variabilità. Questo secondo aspetto emerge nel momento in cui si estende al mondo empirico il metodo aprioristico della teoria dell’oggetto. All’imperfezione del mondo corrisponde la nostra imperfezione conoscitiva. Le forme del ‘piu’ e del ‘meno’, come le chiama Meinong, riguardano infatti sia gli oggetti sia i vissuti psichici che li apprendono. Meinong divide la vita psichica in due grandi ambiti, quella del serio e quella del fantastico. Vi sono pertanto, da un lato, rappresentazioni percettive o serie, dall’altro, rappresentazioni fantastiche o prodotte a partire dalle prime. Lo stesso dicasi per i pensieri, divisi in giudizi e assunzioni (o giudizi fantastici), per i sentimenti e per i desideri. I vissuti fantastici costituiscono uno stato inferiore rispetto ai vissuti seri; questi ultimi rappresentano il limite massimo di una serie di gradi che caratterizza i vissuti fantastici. Prendiamo i pensieri. Mentre i giudizi sono proposizioni espresse con convinzione, ossia con pretesa di verità, le assunzioni sono giudizi senza convinzione, e tuttavia, come al giudizio spetta un certo grado di certezza, così anche le assunzioni (fra le quali Meinong annovera le ipotesi, le supposizioni, ma anche le forme enunciative proprie dei giochi, delle menzogne, dei testi letterari) possiedono un momento quantitativo collegato al loro maggiore o minore grado di probabilità, che può essere nullo, ma può anche variare progressivamente fino ad essere molto vicino al grado di certezza proprio del giudizio. Un’assunzione vicina al giudizio è “simile al serio (ernstartig)”, mentre un’assunzione lontana dal giudizio è “umbratile (schattenhaft)”; fra l’umbratile e il simile al serio v’è una linea di continuità. In maniera analoga, sebbene l’analogia non sia perfetta, si ritrovano variazioni di grado sia nei sentimenti e nei desideri, sia all’interno delle rappresentazioni. Date certe condizioni, e cioè che il vissuto colga effettivamente l’oggetto, alla variabilità dei vissuti corrisponde una variabilità dei rispettivi oggetti. Riguardo a questi, la variabilità si esplica come incompletezza degli oggetti delle rappresentazioni, che Meinong chiama “obbietti”, e subfattualità degli obbiettivi, ossia degli oggetti dei giudizi e delle assunzioni. Ampio spazio è dedicato all’analisi della nozione di obbiettivo. Questo non viene definito, ma descritto mediante alcune proprietà caratterizzanti: gli obbiettivi sono oggetti ideali di ordine superiore, che possono al massimo sussistere, giammai esistere, e sono portatori di verità. Ciò significa che l’obbiettivo è un oggetto complesso, che si fonda in ultima analisi su obbietti; che esso non esiste come un pezzo di realtà (in quanto nulla di reale corrisponde, ad esempio, a un giudizio negativo vero), ma che può al massimo sussistere, se è vero – qui si innesta l’esame della temporalità al’interno della teoria dell’oggetto –; infine, che un giudizio è vero, se il corrispondente obbiettivo è fattuale, ovvero è un fatto; per converso, un obbiettivo falso è non-fattuale. La fattualità è una proprietà modale dell’obbiettivo, il limite di una linea di grandezze corrispondenti ai diversi gradi di possibilità. La fattualità è il massimo della possibilità, e la possibilità è fattualità diminuita o “subfattualità”, che varia tra i due limiti della fattualità e della non-fattualità (abbiamo così una teoria dei gradi di verità). Gli obbiettivi subfattuali hanno quali loro costituenti oggetti incompleti (astratti o finzionali). Infine, viene proposta un’applicazione di tali concetti all’analisi di testi storici e letterari.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11576/1885589
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