Il liberalismo non è una categoria dello spirito ma un movimento politico che nasce da una situazione storicamente determinata e che ha alla propria base un preciso retroterra sociale con i suoi rapporti di forza. Il termine “liberale” sorge da un lato, in un contesto politico, in opposizione al concetto di “servile”, attribuito ai seguaci dell’assolutismo monarchico. Ma esso sorge per un altro verso in opposizione a quei ceti subalterni che la necessità del lavoro obbliga ad una vita che non può essere detta propriamente umana, in opposizione alla “condizione servile” in senso stretto o anche solo plebea. Si tratta del rispecchiamento di una precisa configurazione sociale con cui i “ben nati” e i ricchi, che godono di un’educazione superiore e sono avvezzi alle arti liberali, e non hanno bisogno di svolgere un lavoro manuale, diventano consapevoli della propria distinzione contro le masse popolari e la loro volgarità. I “liberali” sono dunque originariamente le classi proprietarie colte, con i loro interessi specifici. Questo termine nasce da un’auto-designazione orgogliosa, che ha al tempo stesso una connotazione politica, sociale e perfino etnica (sia rispetto alle classi subalterne che, soprattutto, ai popoli colonizzati). Si tratta di un movimento e di un partito che tendono a chiamare a raccolta le persone fornite di un’”educazione liberale” e autenticamente libere, ovvero il popolo che ha il privilegio di essere libero, la ”razza eletta”. Muovendo da una ridefinizione del concetto di liberalismo, il libro ricostruisce la storia di questo movimento a partire dal paradosso che ne segna la nascita: il nesso tra la proclamazione della libertà individuale e la promozione ad opera delle principali potenze liberali della schiavitù-merce su base razziale.

Controstoria del liberalismo

LOSURDO, DOMENICO
2005

Abstract

Il liberalismo non è una categoria dello spirito ma un movimento politico che nasce da una situazione storicamente determinata e che ha alla propria base un preciso retroterra sociale con i suoi rapporti di forza. Il termine “liberale” sorge da un lato, in un contesto politico, in opposizione al concetto di “servile”, attribuito ai seguaci dell’assolutismo monarchico. Ma esso sorge per un altro verso in opposizione a quei ceti subalterni che la necessità del lavoro obbliga ad una vita che non può essere detta propriamente umana, in opposizione alla “condizione servile” in senso stretto o anche solo plebea. Si tratta del rispecchiamento di una precisa configurazione sociale con cui i “ben nati” e i ricchi, che godono di un’educazione superiore e sono avvezzi alle arti liberali, e non hanno bisogno di svolgere un lavoro manuale, diventano consapevoli della propria distinzione contro le masse popolari e la loro volgarità. I “liberali” sono dunque originariamente le classi proprietarie colte, con i loro interessi specifici. Questo termine nasce da un’auto-designazione orgogliosa, che ha al tempo stesso una connotazione politica, sociale e perfino etnica (sia rispetto alle classi subalterne che, soprattutto, ai popoli colonizzati). Si tratta di un movimento e di un partito che tendono a chiamare a raccolta le persone fornite di un’”educazione liberale” e autenticamente libere, ovvero il popolo che ha il privilegio di essere libero, la ”razza eletta”. Muovendo da una ridefinizione del concetto di liberalismo, il libro ricostruisce la storia di questo movimento a partire dal paradosso che ne segna la nascita: il nesso tra la proclamazione della libertà individuale e la promozione ad opera delle principali potenze liberali della schiavitù-merce su base razziale.
2005
8842077178
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11576/1891060
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