“La crisi della globalizzazione e il conflitto delle civiltà: una lettura critica di Huntington”, in D. Losurdo, S.G. Azzarà (a cura di), Die Philosophie und die Idee einer Weltgesellschaft (Filosofia e Globalizzazione), atti dell’omonimo convegno della Internationale Gesellschaft Hegel-Marx für dialektisches Denken e dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Napoli, Palazzo Serra di Cassano, 28-29 aprile 2006, Millepiani Editore, Pisa 2009, pp. 927-59. L’attentato alle Torri Gemelle di New York del 2001 e i successivi conflitti hanno riportato in auge la teoria del «clash of civilization» esposta dal politologo statunitense Samuel P. Huntington già all’inizio degli anni ’90. Alla fine della Guerra fredda, nonostante l’apparente trionfo dell’Occidente liberale e il dilagare delle profezie sulla fine della storia (Fukujama), Huntington prevedeva l’emergere di una nuova forma di conflittualità, la cui genesi sarebbe avvenuta non sul terreno economico o strettamente politico bensì lungo le «linee di faglia» tra le principali civiltà. In particolare, Huntington si soffermava sul potenziale conflitto di sistema tra la civiltà occidentale, quella islamica e quella cinese. Huntington si occupava poi di definire le differenze e le inconciliabilità tra queste forme culturali, attraverso un discorso che rinviava implicitamente alla morfologia della storia del Tramonto dell’Occidente di Oswald Spengler. Dopo aver criticato la natura epistemologicamente infondata dell’universalismo e dell’idealismo occidentale, Huntington invitava i paesi liberali a ridefinire il loro approccio politico e culturale alle relazioni internazionali e a compattarsi (al loro interno e tra di loro) sulla base di una realistica rivendicazione degli interessi particolari della loro area di civiltà. Nel momento in cui gli eventi storico-politici concreti hanno posto l’uno contro l’altro l’Occidente e l’Islam, le tesi di Huntington sono state utilizzate massicciamente per costruire una sorta di ideologia della guerra che è ancora oggi ben radicata nel discorso geopolitico internazionale. Al di là delle inevitabili semplificazioni alle quali sono andate incontro, si cela in esse, a guardar bene, il rischio di una lettura fondamentalistica dell’idea di cultura e di una naturalizzazione dei conflitti tra gli Stati e le diverse aree regionali. La legittima contestazione dell’ideologia dei diritti universali non è seguita infatti in Huntington dalla ricerca di una forma piena e compiuta di universalismo ma dalla contestazione del concetto universale di uomo in quanto tale. Di conseguenza, tale posizione finisce per operare come una esplicita riabilitazione della politica di potenza.

La crisi della globalizzazione e il conflitto delle civiltà. Una lettura critica di Huntington

AZZARA', GIUSEPPE STEFANO
2009

Abstract

“La crisi della globalizzazione e il conflitto delle civiltà: una lettura critica di Huntington”, in D. Losurdo, S.G. Azzarà (a cura di), Die Philosophie und die Idee einer Weltgesellschaft (Filosofia e Globalizzazione), atti dell’omonimo convegno della Internationale Gesellschaft Hegel-Marx für dialektisches Denken e dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Napoli, Palazzo Serra di Cassano, 28-29 aprile 2006, Millepiani Editore, Pisa 2009, pp. 927-59. L’attentato alle Torri Gemelle di New York del 2001 e i successivi conflitti hanno riportato in auge la teoria del «clash of civilization» esposta dal politologo statunitense Samuel P. Huntington già all’inizio degli anni ’90. Alla fine della Guerra fredda, nonostante l’apparente trionfo dell’Occidente liberale e il dilagare delle profezie sulla fine della storia (Fukujama), Huntington prevedeva l’emergere di una nuova forma di conflittualità, la cui genesi sarebbe avvenuta non sul terreno economico o strettamente politico bensì lungo le «linee di faglia» tra le principali civiltà. In particolare, Huntington si soffermava sul potenziale conflitto di sistema tra la civiltà occidentale, quella islamica e quella cinese. Huntington si occupava poi di definire le differenze e le inconciliabilità tra queste forme culturali, attraverso un discorso che rinviava implicitamente alla morfologia della storia del Tramonto dell’Occidente di Oswald Spengler. Dopo aver criticato la natura epistemologicamente infondata dell’universalismo e dell’idealismo occidentale, Huntington invitava i paesi liberali a ridefinire il loro approccio politico e culturale alle relazioni internazionali e a compattarsi (al loro interno e tra di loro) sulla base di una realistica rivendicazione degli interessi particolari della loro area di civiltà. Nel momento in cui gli eventi storico-politici concreti hanno posto l’uno contro l’altro l’Occidente e l’Islam, le tesi di Huntington sono state utilizzate massicciamente per costruire una sorta di ideologia della guerra che è ancora oggi ben radicata nel discorso geopolitico internazionale. Al di là delle inevitabili semplificazioni alle quali sono andate incontro, si cela in esse, a guardar bene, il rischio di una lettura fondamentalistica dell’idea di cultura e di una naturalizzazione dei conflitti tra gli Stati e le diverse aree regionali. La legittima contestazione dell’ideologia dei diritti universali non è seguita infatti in Huntington dalla ricerca di una forma piena e compiuta di universalismo ma dalla contestazione del concetto universale di uomo in quanto tale. Di conseguenza, tale posizione finisce per operare come una esplicita riabilitazione della politica di potenza.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11576/2299468
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