Un manuale dedicato agli studenti: è lo scopo. Orgoglio e incoscienza: sono i moventi. Non ci spetta un giudizio sul risultato, ma la confessione dell’iter criminis. L’unica attenuante è che pure i delitti contro la pubblica amministrazione sono disciplina che serra il confronto con l’acribia della dottrina e l’inquietudine della giurisprudenza. Chiarezza, concisione, esempi potrebbero allora offrire un contributo alla comprensione, un invito all’approfondimento, qualche riflessione. Centrare uno solo di questi obiettivi sarebbe un premio, centrarli tutti è il sogno che ci ha portato a scrivere. Seguono ora alcune indicazioni su metodo di studio, struttura, fonti. Riguardo al metodo di studio, l’unica regola è che non c’è regola. Il «giusto» metodo è quello che porta al successo con la minor fatica e, aggiungiamo, il massimo piacere. Non c’è nulla di assoluto, anche se molto possono insegnare le ricerche che si dedicano ad un problema stranamente ignorato: come si studia. Tuttavia, ai tratti comuni l’uomo ama opporre le sue diversità; ed è la sua ricchezza. Perciò non crediamo che esista «un» metodo di studio, ma «il» metodo di studio che ognuno costruisce da sé, considerando la scienza dell’apprendimento in misura delle capacità e degli interessi che gli sono propri. Il nostro contributo allo studio sta negli intendimenti, nello stile, nella grafica adottati che vorrebbero rendere immediata l’informazione e sufficiente il commento senza ignorare le provocazioni dell’intelletto. La diversa misura del carattere non desidera creare gerarchie d’importanza tra gli argomenti, ma solamente separare la scorsa degli esempi e lo sviluppo della casistica. Le note, inserite nel testo tra parentesi, richiamano le fonti essenziali privilegiando il riferimento alla manualistica ed ai commentari di più facile accesso. Rispetto al valore dei contributi, il ricorso a monografie, saggi e voci enciclopediche sarà invero limitato, ma non assente; così come non sarà assente il riferimento alle opere straniere, se uniche ad aver trattato l’argomento. Le note troveranno poi conforto negli ulteriori riferimenti bibliografici posti alla fine di ogni capitolo: una sorta di bibliografia per approfondimenti, utile ai curiosi, agli insoddisfatti, ai laureandi. In coda ai capitoli si troveranno pure domande per verificare la comprensione dei concetti e lo stato della preparazione. Affrontarle senza ritrosie è un’occasione per essere giudici di se stessi, sì che il campanello d’allarme suoni prima dell’esame. Può essere utile allo studio esporre alcune indicazioni sui criteri che hanno guidato l’esposizione della materia, che pure considera le nozioni di parte generale e la comparazione con i sistemi penali europei, in modo tale da unire quanto la riforma universitaria sembra già coniugare. Si parte dal dato positivo, perché al giurista si chiedono innanzi tutto lumi circa l’applicazione di norme che appartengono ad un ordinamento giuridico nato per favorire lo sviluppo della persona all’interno di un consesso sociale. Ma per applicare una norma occorre interpretarla. Un processo del pensiero che cerca una regola per il fatto concreto, partendo dalla lettera di una disposizione e tornando ad essa dopo averne considerato il sistema, la storia, lo scopo. Dunque anche sistema, storia, scopo dovranno essere affrontati, mentre si studiano le singole fattispecie. Uno studio che procederà secondo un ordine costante, evidenziato dall’uso sempre uguale dei numeri romani, preceduto dall’esposizione dei testi normativi e da un’introduzione dedicata alle singole disposizioni. Una scelta che, con la costanza del sistema, esalta il metodo analitico. Si auspica, in tal modo, di rendere più facile il controllo della materia, lasciando spazio allo spirito critico del lettore. Insomma, è un po’ come «staccare gli occhi dalla palla e considerare la posizione dei giocatori sul campo». Non solo nel calcio, è un gesto che aiuta. Non si può né si vuole nascondere che il diritto viva il quotidiano; che il legiferare, applicare e criticare norme sia frutto di abduzione, induzione, deduzione, analogia; che l’interpretazione sia anche ricerca della compatibilità, della conservazione e dell’effettività delle disposizioni di un ordinamento giuridico messo a confronto con le esigenze della politica e con il giudizio dei singoli. Ma se è pur vero che il diritto è cronicamente affetto da una sorta di «strabismo degli intenti» che lo porta a guardare forma e sostanza, fatto e giudizi, arbitrio e logica, ebbene proprio questo macilento diritto ha nel suo codice genetico la rara possibilità di offrire agli uomini dialogo, argomentazione e conoscenza fondati su quel po’ di consenso ancora in grado di distinguere ciò che è aderente all’oggetto da quanto è sola opinione. Questo, almeno, è il diritto che avremmo voluto portare all’attenzione dei lettori. Le norme che contribuiscono a definire lo statuto penale della PA sono in forze soverchianti. Bisogna apprestare una linea di difesa che permetta di proseguire con un po’ di razionalità l’esame della materia. In altre parole, quando la fuga non è possibile si spera in ogni soccorso. E un primo soccorso arriva curando il metodo. L’immediata vista delle disposizioni normative che interessano l’attività della PA è, infatti, un suggerimento tradotto in pratica: che ogni analisi parta e non arrivi al dato normativo, indi esponga un’opinione sull’argomento. Un secondo soccorso si preoccupa dell’esposizione della materia. La bella mostra del fronte normativo dovrebbe permettere di limitare lo studio al titolo II libro II del codice penale. Il tutto senz’altri rinvii, e senza perdere la consapevolezza che il titolo II contiene solo una parte dello statuto penale della PA; statuto cui il lettore potrà qui sempre ricorrere, almeno per quel che riguarda il rinvenimento delle fonti citate. Un ultimo soccorso viene offerto dal criterio di «utilità». Un criterio che forse giustifica una tale parata normativa, se spinge l’attenzione verso questioni apparentemente distinte tra loro come, ad esempio, l’autonoma valutazione penale di concetti tratti da altre branche del diritto, il concorso di norme, la successione di leggi penali nel tempo. È inutile nasconderlo, si tratta di argomenti che troveranno numerose occasioni per tormentare le meningi di chi studia. Per adesso, s’intende solo abbozzare un atteggiamento interpretativo che affronti i tre aspetti insieme, ma da un punto di vista circoscritto al solo aspetto dell’efficienza del sistema. È l’efficienza del sistema, unita al postulato della conservazione del significato normativo, a pretendere che nulla dell’impegno del legislatore vada perso e che tutto, secondo modi e scopi compatibili con la Costituzione, meglio regoli i fatti dell’amministrazione pubblica. Una richiesta non facile da soddisfare. Se non altro, il calcolo delle probabilità culla l’idea che tanti e diversi complessi normativi siano infine destinati a scontrarsi. Per quanto il dubbio sia fondato, tuttavia non conviene che il giurista ci perda il sonno. Il sistema continuerà a reggere, fino a quando l’incoerenza delle parti troverà una soluzione nell’ordinamento. In altri termini, se una norma vieta al pubblico ufficiale d’impossessarsi di cosa mobile altrui, e altra invece lo comanda, l’incoerenza non diventa incompatibilità e l’ordinamento non tradisce il suo significato. Almeno questo non avviene, finché si sarà in grado di risolvere il conflitto normativo con ciò che, prima, definisce il reato mediante l’illiceità del fatto e la colpevolezza dell’autore e, poi, con quanto è ancora in grado di risolvere il rapporto che la disposizione penale ha rispetto ad altre disposizioni ricorrendo ai criteri di gerarchia, cronologia, specialità, ne bis in idem, favor rei. In fondo, il giurista non se ne deve troppo preoccupare, perché la soluzione di tali incoerenze è la ragione del suo ruolo, della sua funzione d’intermediario tra il mondo dei fatti e quello delle norme. In breve: il sistema normativo comprende il giurista e la sua opera.

I reati contro la pubblica amministrazione

BONDI, ALESSANDRO
2004

Abstract

Un manuale dedicato agli studenti: è lo scopo. Orgoglio e incoscienza: sono i moventi. Non ci spetta un giudizio sul risultato, ma la confessione dell’iter criminis. L’unica attenuante è che pure i delitti contro la pubblica amministrazione sono disciplina che serra il confronto con l’acribia della dottrina e l’inquietudine della giurisprudenza. Chiarezza, concisione, esempi potrebbero allora offrire un contributo alla comprensione, un invito all’approfondimento, qualche riflessione. Centrare uno solo di questi obiettivi sarebbe un premio, centrarli tutti è il sogno che ci ha portato a scrivere. Seguono ora alcune indicazioni su metodo di studio, struttura, fonti. Riguardo al metodo di studio, l’unica regola è che non c’è regola. Il «giusto» metodo è quello che porta al successo con la minor fatica e, aggiungiamo, il massimo piacere. Non c’è nulla di assoluto, anche se molto possono insegnare le ricerche che si dedicano ad un problema stranamente ignorato: come si studia. Tuttavia, ai tratti comuni l’uomo ama opporre le sue diversità; ed è la sua ricchezza. Perciò non crediamo che esista «un» metodo di studio, ma «il» metodo di studio che ognuno costruisce da sé, considerando la scienza dell’apprendimento in misura delle capacità e degli interessi che gli sono propri. Il nostro contributo allo studio sta negli intendimenti, nello stile, nella grafica adottati che vorrebbero rendere immediata l’informazione e sufficiente il commento senza ignorare le provocazioni dell’intelletto. La diversa misura del carattere non desidera creare gerarchie d’importanza tra gli argomenti, ma solamente separare la scorsa degli esempi e lo sviluppo della casistica. Le note, inserite nel testo tra parentesi, richiamano le fonti essenziali privilegiando il riferimento alla manualistica ed ai commentari di più facile accesso. Rispetto al valore dei contributi, il ricorso a monografie, saggi e voci enciclopediche sarà invero limitato, ma non assente; così come non sarà assente il riferimento alle opere straniere, se uniche ad aver trattato l’argomento. Le note troveranno poi conforto negli ulteriori riferimenti bibliografici posti alla fine di ogni capitolo: una sorta di bibliografia per approfondimenti, utile ai curiosi, agli insoddisfatti, ai laureandi. In coda ai capitoli si troveranno pure domande per verificare la comprensione dei concetti e lo stato della preparazione. Affrontarle senza ritrosie è un’occasione per essere giudici di se stessi, sì che il campanello d’allarme suoni prima dell’esame. Può essere utile allo studio esporre alcune indicazioni sui criteri che hanno guidato l’esposizione della materia, che pure considera le nozioni di parte generale e la comparazione con i sistemi penali europei, in modo tale da unire quanto la riforma universitaria sembra già coniugare. Si parte dal dato positivo, perché al giurista si chiedono innanzi tutto lumi circa l’applicazione di norme che appartengono ad un ordinamento giuridico nato per favorire lo sviluppo della persona all’interno di un consesso sociale. Ma per applicare una norma occorre interpretarla. Un processo del pensiero che cerca una regola per il fatto concreto, partendo dalla lettera di una disposizione e tornando ad essa dopo averne considerato il sistema, la storia, lo scopo. Dunque anche sistema, storia, scopo dovranno essere affrontati, mentre si studiano le singole fattispecie. Uno studio che procederà secondo un ordine costante, evidenziato dall’uso sempre uguale dei numeri romani, preceduto dall’esposizione dei testi normativi e da un’introduzione dedicata alle singole disposizioni. Una scelta che, con la costanza del sistema, esalta il metodo analitico. Si auspica, in tal modo, di rendere più facile il controllo della materia, lasciando spazio allo spirito critico del lettore. Insomma, è un po’ come «staccare gli occhi dalla palla e considerare la posizione dei giocatori sul campo». Non solo nel calcio, è un gesto che aiuta. Non si può né si vuole nascondere che il diritto viva il quotidiano; che il legiferare, applicare e criticare norme sia frutto di abduzione, induzione, deduzione, analogia; che l’interpretazione sia anche ricerca della compatibilità, della conservazione e dell’effettività delle disposizioni di un ordinamento giuridico messo a confronto con le esigenze della politica e con il giudizio dei singoli. Ma se è pur vero che il diritto è cronicamente affetto da una sorta di «strabismo degli intenti» che lo porta a guardare forma e sostanza, fatto e giudizi, arbitrio e logica, ebbene proprio questo macilento diritto ha nel suo codice genetico la rara possibilità di offrire agli uomini dialogo, argomentazione e conoscenza fondati su quel po’ di consenso ancora in grado di distinguere ciò che è aderente all’oggetto da quanto è sola opinione. Questo, almeno, è il diritto che avremmo voluto portare all’attenzione dei lettori. Le norme che contribuiscono a definire lo statuto penale della PA sono in forze soverchianti. Bisogna apprestare una linea di difesa che permetta di proseguire con un po’ di razionalità l’esame della materia. In altre parole, quando la fuga non è possibile si spera in ogni soccorso. E un primo soccorso arriva curando il metodo. L’immediata vista delle disposizioni normative che interessano l’attività della PA è, infatti, un suggerimento tradotto in pratica: che ogni analisi parta e non arrivi al dato normativo, indi esponga un’opinione sull’argomento. Un secondo soccorso si preoccupa dell’esposizione della materia. La bella mostra del fronte normativo dovrebbe permettere di limitare lo studio al titolo II libro II del codice penale. Il tutto senz’altri rinvii, e senza perdere la consapevolezza che il titolo II contiene solo una parte dello statuto penale della PA; statuto cui il lettore potrà qui sempre ricorrere, almeno per quel che riguarda il rinvenimento delle fonti citate. Un ultimo soccorso viene offerto dal criterio di «utilità». Un criterio che forse giustifica una tale parata normativa, se spinge l’attenzione verso questioni apparentemente distinte tra loro come, ad esempio, l’autonoma valutazione penale di concetti tratti da altre branche del diritto, il concorso di norme, la successione di leggi penali nel tempo. È inutile nasconderlo, si tratta di argomenti che troveranno numerose occasioni per tormentare le meningi di chi studia. Per adesso, s’intende solo abbozzare un atteggiamento interpretativo che affronti i tre aspetti insieme, ma da un punto di vista circoscritto al solo aspetto dell’efficienza del sistema. È l’efficienza del sistema, unita al postulato della conservazione del significato normativo, a pretendere che nulla dell’impegno del legislatore vada perso e che tutto, secondo modi e scopi compatibili con la Costituzione, meglio regoli i fatti dell’amministrazione pubblica. Una richiesta non facile da soddisfare. Se non altro, il calcolo delle probabilità culla l’idea che tanti e diversi complessi normativi siano infine destinati a scontrarsi. Per quanto il dubbio sia fondato, tuttavia non conviene che il giurista ci perda il sonno. Il sistema continuerà a reggere, fino a quando l’incoerenza delle parti troverà una soluzione nell’ordinamento. In altri termini, se una norma vieta al pubblico ufficiale d’impossessarsi di cosa mobile altrui, e altra invece lo comanda, l’incoerenza non diventa incompatibilità e l’ordinamento non tradisce il suo significato. Almeno questo non avviene, finché si sarà in grado di risolvere il conflitto normativo con ciò che, prima, definisce il reato mediante l’illiceità del fatto e la colpevolezza dell’autore e, poi, con quanto è ancora in grado di risolvere il rapporto che la disposizione penale ha rispetto ad altre disposizioni ricorrendo ai criteri di gerarchia, cronologia, specialità, ne bis in idem, favor rei. In fondo, il giurista non se ne deve troppo preoccupare, perché la soluzione di tali incoerenze è la ragione del suo ruolo, della sua funzione d’intermediario tra il mondo dei fatti e quello delle norme. In breve: il sistema normativo comprende il giurista e la sua opera.
2004
9788834832325
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11576/2299471
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