La crisi della ragione politica novecentesca fa da sfondo alla parabola di una città e dei suoi ceti dirigenti e intellettuali. Il deperimento dello spazio pubblico a Urbino diventa così una metafora del venir meno della nozione stessa di democrazia moderna, intesa come progettazione, partecipazione e gestione organizzata e consapevole del conflitto. Il primo Piano regolatore, ideato dal filosofo Livio Sichirollo e dall’architetto Giancarlo De Carlo, aveva saputo immaginare lo sviluppo complessivo della città, a partire dal rilancio dell’Università e delle funzioni culturali, a partire da un’idea universalistica di bene comune e interesse generale che esaltava il ruolo di ideazione e direzione delle istituzioni. L’incapacità politica di sostenere questa scelta di fronte all’esplodere degli interessi particolari in una società in rapido mutamento, segnerà però, non diversamente da quanto accaduto nel resto del Paese, la parabola involutiva del loro progetto. Il secondo Piano regolatore prenderà atto di questo fallimento: esso rinuncerà ad ogni pretesa di programmazione e si limiterà ad accompagnare lo sviluppo spontaneo delle forme e delle funzioni urbane. Da qui, di fronte alla crisi di identità che ne è derivata, che rischia di fare di Urbino un non-luogo ma della quale le classi dirigenti locali sembrano non avere ancora nessuna percezione, la necessità di riscoprire le ragioni originarie del Piano e di dar vita a nuove politiche pubbliche che non siano improvvisate ma che si confrontino con una riflessione filosofica sull’avvenire della democrazia e sul senso della cittadinanza.
Politica, progetto, piano. Livio Sichirollo e Giancarlo De Carlo a Urbino 1963-1990
AZZARA', GIUSEPPE STEFANO
2009
Abstract
La crisi della ragione politica novecentesca fa da sfondo alla parabola di una città e dei suoi ceti dirigenti e intellettuali. Il deperimento dello spazio pubblico a Urbino diventa così una metafora del venir meno della nozione stessa di democrazia moderna, intesa come progettazione, partecipazione e gestione organizzata e consapevole del conflitto. Il primo Piano regolatore, ideato dal filosofo Livio Sichirollo e dall’architetto Giancarlo De Carlo, aveva saputo immaginare lo sviluppo complessivo della città, a partire dal rilancio dell’Università e delle funzioni culturali, a partire da un’idea universalistica di bene comune e interesse generale che esaltava il ruolo di ideazione e direzione delle istituzioni. L’incapacità politica di sostenere questa scelta di fronte all’esplodere degli interessi particolari in una società in rapido mutamento, segnerà però, non diversamente da quanto accaduto nel resto del Paese, la parabola involutiva del loro progetto. Il secondo Piano regolatore prenderà atto di questo fallimento: esso rinuncerà ad ogni pretesa di programmazione e si limiterà ad accompagnare lo sviluppo spontaneo delle forme e delle funzioni urbane. Da qui, di fronte alla crisi di identità che ne è derivata, che rischia di fare di Urbino un non-luogo ma della quale le classi dirigenti locali sembrano non avere ancora nessuna percezione, la necessità di riscoprire le ragioni originarie del Piano e di dar vita a nuove politiche pubbliche che non siano improvvisate ma che si confrontino con una riflessione filosofica sull’avvenire della democrazia e sul senso della cittadinanza.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.