Prendendo le mosse dal passo su lingua, linguaggi ed eternità del mondo, s’intende mettere alla prova la fecondità di un approccio al ‘multiverso’ vinciano, che organizzi i suoi molteplici aspetti attorno al tempo come dimensione al contempo oggettiva e soggettiva, umana e naturale, qualitativa e quantitativa. Si tenterà di mostrare come nel ‘movimento’, che in quel foglio avviene, dal muscolo “lingua” alle lingue parlate, e per analogia dai “semplici” partoriti dalla natura ai composti ‘accidentali’ frutto dell’umano ingegno, lo scorrimento del tempo sia il supporto euristico imprescindibile, che sposta lo sguardo dal piano in cui le differenze sono essenziali (e le forme bloccate), a quello – infinita distanza data dall’infinita quantità di tempo – dove esse appaiono relative, nel fondo equivalenti (e le forme reciprocamente ‘traducibili’). Grazie a quella repentina dilatazione dello sguardo, che getta l’osservatore nel piano dell’immensa quantità di tempo, diventa possibile distinguere gli elementi relativamente costanti, prodotti dalla natura, ma perciò stesso ‘vuoti’, dal succedersi delle invenzioni umane, che sono precarie e mortali, ma sono anche il solo modo in cui le cose possano ricevere un qualche ‘senso’. Questo senso può essere pervertito nelle “bugie” di alchimia e negromanzia, ma da esso non si può evadere: solo sul terreno dell’inventività umana sorgono (e tramontano) il bene e il male, il giusto e l’ingiusto, il vero e il falso. L’intreccio strutturale di morte e vita (testimoniato, tra gli altri luoghi, nel recto del f. 19045: il bellissimo passo sulla fiamma della candela) non è per Leonardo un telone metafisico sul quale proiettare e vanificare la condizione umana. Il rinvio reciproco di morte e vita ridefinisce dall’interno la vita, costringe a ripensarla come un flusso dinamico, instabile, evanescente, come evanescenti, mortali, sono i nomi e i significati, i monumenti e le civiltà. La vita è attraversata dalla morte, il temporale è sommosso dall’eterno, il pieno dei volumi e dei contorni è vanificato dal nulla che artificiosamente ritaglia. Dall’anatomia lo sguardo si allarga e sprofonda nella struttura della realtà. Risalgono allo stesso giro di anni i fogli su “l’essere del nulla”, che possono forse essere riletti alla luce di questa preoccupazione: ciò che conta non è l’unità immobile dei contrari, né la fissazione di una polarità a scapito della sua antagonista, ma quella che, usando consapevolmente un anacronismo, chiamerò la pratica del confine.

Vita, tempo e linguaggio (1508-1510). L lettura vinciana - 17 aprile 2010

FROSINI, FABIO
2011

Abstract

Prendendo le mosse dal passo su lingua, linguaggi ed eternità del mondo, s’intende mettere alla prova la fecondità di un approccio al ‘multiverso’ vinciano, che organizzi i suoi molteplici aspetti attorno al tempo come dimensione al contempo oggettiva e soggettiva, umana e naturale, qualitativa e quantitativa. Si tenterà di mostrare come nel ‘movimento’, che in quel foglio avviene, dal muscolo “lingua” alle lingue parlate, e per analogia dai “semplici” partoriti dalla natura ai composti ‘accidentali’ frutto dell’umano ingegno, lo scorrimento del tempo sia il supporto euristico imprescindibile, che sposta lo sguardo dal piano in cui le differenze sono essenziali (e le forme bloccate), a quello – infinita distanza data dall’infinita quantità di tempo – dove esse appaiono relative, nel fondo equivalenti (e le forme reciprocamente ‘traducibili’). Grazie a quella repentina dilatazione dello sguardo, che getta l’osservatore nel piano dell’immensa quantità di tempo, diventa possibile distinguere gli elementi relativamente costanti, prodotti dalla natura, ma perciò stesso ‘vuoti’, dal succedersi delle invenzioni umane, che sono precarie e mortali, ma sono anche il solo modo in cui le cose possano ricevere un qualche ‘senso’. Questo senso può essere pervertito nelle “bugie” di alchimia e negromanzia, ma da esso non si può evadere: solo sul terreno dell’inventività umana sorgono (e tramontano) il bene e il male, il giusto e l’ingiusto, il vero e il falso. L’intreccio strutturale di morte e vita (testimoniato, tra gli altri luoghi, nel recto del f. 19045: il bellissimo passo sulla fiamma della candela) non è per Leonardo un telone metafisico sul quale proiettare e vanificare la condizione umana. Il rinvio reciproco di morte e vita ridefinisce dall’interno la vita, costringe a ripensarla come un flusso dinamico, instabile, evanescente, come evanescenti, mortali, sono i nomi e i significati, i monumenti e le civiltà. La vita è attraversata dalla morte, il temporale è sommosso dall’eterno, il pieno dei volumi e dei contorni è vanificato dal nulla che artificiosamente ritaglia. Dall’anatomia lo sguardo si allarga e sprofonda nella struttura della realtà. Risalgono allo stesso giro di anni i fogli su “l’essere del nulla”, che possono forse essere riletti alla luce di questa preoccupazione: ciò che conta non è l’unità immobile dei contrari, né la fissazione di una polarità a scapito della sua antagonista, ma quella che, usando consapevolmente un anacronismo, chiamerò la pratica del confine.
2011
9788809768543
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11576/2506650
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