Pubblicato nel 1981 sotto le mentite spoglie della voce “romanzo”, L’homme dans le rétroviseur di Jean Cayrol mette in scena una serie di storie disparate e prive di connessione logico-temporale che ruotano attorno una certo Gaspard, o anche Gazounet, Lasislas, Siméon, Victor Emmanuel: una personalità volatile, disponibile a ospitare l’alterità in una moltitudine di esistenze e nomi, in un eccesso di identità e quindi di dissolvenza della stessa. Se la scomposizione di storie, l’invenzione costante e, più in generale, lo scardinamento dei modi convenzionali della narrazione sono procedimenti tipici della scrittura di Cayrol e del romanzesco lazzariano (con cui l’autore identificava negli anni ’50 una finzione che reca l’impronta dei campi di concentramento di cui lo stesso aveva fatto esperienza) a distanza di trent’anni il personaggio L’homme dans le rétroviseur è ancora condannato alla sopravvivenza. Attraverso la letteratura sulla schizofrenia si tenterà dunque di definire la personalità disorganizzata di questo soggetto, incapace di differenziare la realtà e la fantasia, pronto a morire e rinascere continuamente dalle proprie ceneri, come l’araba fenice, e in costante conflitto tra l’io e l’altro. Gaspard, infatti, presenta numerosi tratti della personalità schizofrenica: dalle storie di un io che si crea un proprio mondo alle allucinazioni, sogni e deliri con cui proteggersi dall’effetto perturbante della realtà, dallo stupore catatonico alla dispersione e frammentazione che investe il corpo. A tenere unite le molteplici storie del romanzo è il rapporto che lega il protagonista al suo creatore, un rapporto ambiguo che oscilla dalla necessità alla costrizione. Un rapporto tra l’io e il suo doppio, almeno sino al momento in cui il creatore cede a Gaspard il testimone in un finale che solo apparentemente sembra compiuto ma in cui è il lettore ad avere l’ultima parola.

"Una coppia perfetta ignorata dai sensi": identità e alterità in L'homme dans le rétroviseur di Jean Cayrol

M. Amatulli
2010

Abstract

Pubblicato nel 1981 sotto le mentite spoglie della voce “romanzo”, L’homme dans le rétroviseur di Jean Cayrol mette in scena una serie di storie disparate e prive di connessione logico-temporale che ruotano attorno una certo Gaspard, o anche Gazounet, Lasislas, Siméon, Victor Emmanuel: una personalità volatile, disponibile a ospitare l’alterità in una moltitudine di esistenze e nomi, in un eccesso di identità e quindi di dissolvenza della stessa. Se la scomposizione di storie, l’invenzione costante e, più in generale, lo scardinamento dei modi convenzionali della narrazione sono procedimenti tipici della scrittura di Cayrol e del romanzesco lazzariano (con cui l’autore identificava negli anni ’50 una finzione che reca l’impronta dei campi di concentramento di cui lo stesso aveva fatto esperienza) a distanza di trent’anni il personaggio L’homme dans le rétroviseur è ancora condannato alla sopravvivenza. Attraverso la letteratura sulla schizofrenia si tenterà dunque di definire la personalità disorganizzata di questo soggetto, incapace di differenziare la realtà e la fantasia, pronto a morire e rinascere continuamente dalle proprie ceneri, come l’araba fenice, e in costante conflitto tra l’io e l’altro. Gaspard, infatti, presenta numerosi tratti della personalità schizofrenica: dalle storie di un io che si crea un proprio mondo alle allucinazioni, sogni e deliri con cui proteggersi dall’effetto perturbante della realtà, dallo stupore catatonico alla dispersione e frammentazione che investe il corpo. A tenere unite le molteplici storie del romanzo è il rapporto che lega il protagonista al suo creatore, un rapporto ambiguo che oscilla dalla necessità alla costrizione. Un rapporto tra l’io e il suo doppio, almeno sino al momento in cui il creatore cede a Gaspard il testimone in un finale che solo apparentemente sembra compiuto ma in cui è il lettore ad avere l’ultima parola.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11576/2506996
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