Abstract L’applicazione delle regole di Basilea 2 alla gestione del rischio di credito, pone il problema dei criteri di costruzione dei rating, e in particolare della metodologia per la valutazione del rischio di credito, sia essa quella contenuta negli scoring, ove esistenti, sia essa quella fornita direttamente attraverso il giudizio dell’analista. I protagonisti del sistema finanziario italiano hanno fortemente dibattuto il tema dell’applicazione dei rating, con visioni fortemente contrapposte, incentrando il dibattito più che sul tema della qualità delle relazioni di clientela, sul pericolo di razionamento. Poca o nessuna attenzione il dibattito ha riservato alla qualità dei dati utilizzati per l’analisi di fido ma, soprattutto, ai metodi ed alle tecniche relativi, in un Paese, quale l’Italia, che proviene da una lunga esperienza di multibanking e di deboli relazioni di clientela. Si sono pertanto verificati l’attendibilità e la capacità segnaletica delle crisi d’impresa di due distinti approcci analitici: il primo basato sugli strumenti tradizionalmente utilizzati dalle banche italiane, l’analisi statica tramite indici di bilancio, il secondo costruito a partire dalle metodologia dell’analisi dinamica per flussi di cassa, finalizzata a misurare l’evoluzione del fabbisogno finanziario d’impresa. I due modelli sono stati verificati su un campione di 140 imprese, di cui la metà assoggettate a procedure concorsuali e la metà in bonis. La verifica è stata compiuta a partire da un approccio tipicamente aziendalistico, poiché le tecniche di analisi per la valutazione del merito di credito hanno anzitutto tale genere di matrice. Le prime conclusioni raggiunte, utilizzando strumenti di statistica descrittiva, sono articolate. In primo luogo, l’analisi per indici, tuttora dominante nella prassi bancaria, mostra la sua totale inaffidabilità, confermandosi in tal modo le conclusioni di altri autori. L’uso di modelli dinamici, se pure riesce a misurare natura e cause del fabbisogno finanziario d’impresa, non riesce a cogliere nella loro integralità le ragioni del dissesto aziendale: l’analisi, infatti, ha rivelato comportamenti delle imprese assai diversi alla vigilia delle crisi, originati da motivazioni non definibili secondo schemi prestabiliti. Vi sono tuttavia indicatori, perlopiù trascurati nella realtà italiana, che manifestano notevole capacità segnaletica. Fra questi, in particolare, quelli dell’analisi settoriale e quelli relativi alla misura ed alle determinanti del flusso di cassa, in particolare il risultato operativo e la variazione del capitale circolante netto commerciale. In generale, la ricerca ha evidenziato, in questa prima fase, oltre alla necessità di un approfondimento tramite gli strumenti dell’analisi statistica multivariata, anche la maggiore capacità segnaletica di modelli dinamici, ove questi siano utilizzati al fine di delineare un trend e non si limitino alla valutazione puntuale. Conclusione che ripropone la necessità, per le banche affidanti, di investire sulla qualità delle relazioni intrattenute, monitorando continuativamente il rapporto.

Modelli statici e modelli dinamici per la valutazione del rischio di credito: una verifica empirica.

BERTI, ALESSANDRO
2004

Abstract

Abstract L’applicazione delle regole di Basilea 2 alla gestione del rischio di credito, pone il problema dei criteri di costruzione dei rating, e in particolare della metodologia per la valutazione del rischio di credito, sia essa quella contenuta negli scoring, ove esistenti, sia essa quella fornita direttamente attraverso il giudizio dell’analista. I protagonisti del sistema finanziario italiano hanno fortemente dibattuto il tema dell’applicazione dei rating, con visioni fortemente contrapposte, incentrando il dibattito più che sul tema della qualità delle relazioni di clientela, sul pericolo di razionamento. Poca o nessuna attenzione il dibattito ha riservato alla qualità dei dati utilizzati per l’analisi di fido ma, soprattutto, ai metodi ed alle tecniche relativi, in un Paese, quale l’Italia, che proviene da una lunga esperienza di multibanking e di deboli relazioni di clientela. Si sono pertanto verificati l’attendibilità e la capacità segnaletica delle crisi d’impresa di due distinti approcci analitici: il primo basato sugli strumenti tradizionalmente utilizzati dalle banche italiane, l’analisi statica tramite indici di bilancio, il secondo costruito a partire dalle metodologia dell’analisi dinamica per flussi di cassa, finalizzata a misurare l’evoluzione del fabbisogno finanziario d’impresa. I due modelli sono stati verificati su un campione di 140 imprese, di cui la metà assoggettate a procedure concorsuali e la metà in bonis. La verifica è stata compiuta a partire da un approccio tipicamente aziendalistico, poiché le tecniche di analisi per la valutazione del merito di credito hanno anzitutto tale genere di matrice. Le prime conclusioni raggiunte, utilizzando strumenti di statistica descrittiva, sono articolate. In primo luogo, l’analisi per indici, tuttora dominante nella prassi bancaria, mostra la sua totale inaffidabilità, confermandosi in tal modo le conclusioni di altri autori. L’uso di modelli dinamici, se pure riesce a misurare natura e cause del fabbisogno finanziario d’impresa, non riesce a cogliere nella loro integralità le ragioni del dissesto aziendale: l’analisi, infatti, ha rivelato comportamenti delle imprese assai diversi alla vigilia delle crisi, originati da motivazioni non definibili secondo schemi prestabiliti. Vi sono tuttavia indicatori, perlopiù trascurati nella realtà italiana, che manifestano notevole capacità segnaletica. Fra questi, in particolare, quelli dell’analisi settoriale e quelli relativi alla misura ed alle determinanti del flusso di cassa, in particolare il risultato operativo e la variazione del capitale circolante netto commerciale. In generale, la ricerca ha evidenziato, in questa prima fase, oltre alla necessità di un approfondimento tramite gli strumenti dell’analisi statistica multivariata, anche la maggiore capacità segnaletica di modelli dinamici, ove questi siano utilizzati al fine di delineare un trend e non si limitino alla valutazione puntuale. Conclusione che ripropone la necessità, per le banche affidanti, di investire sulla qualità delle relazioni intrattenute, monitorando continuativamente il rapporto.
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