Secondo un’impostazione consolidata (parzialmente modificata dalla partecipazione dello Stato italiano all'Unione europea), tra i requisiti generali necessari per accedere agli impieghi civili dello Stato vi è il possesso della cittadinanza italiana. L’accesso alla funzione pubblica dei cittadini extracomunitari è divenuto un problema di crescente rilevanza, per diverse ragioni. Innanzitutto, vi sono motivi legati al mutamento delle condizioni culturali e sociali dell’ordinamento italiano rispetto a quelle che l’hanno caratterizzato nel corso dell’Ottocento e della prima metà del Novecento: l’Italia, da terra d’emigrazione, è divenuta terra d’immigrazione, per cui occorre rivalutare antichi istituti ed opzioni giuridiche per adeguarle alla mutata realtà odierna, che vede il progressivo sviluppo, anche in Italia, di una società multietnica. In secondo luogo, l’ordinamento italiano è influenzato e condizionato, anche per quanto riguarda le funzioni che sono tradizionalmente poste nel cuore dello Stato, come l’immigrazione e la sicurezza pubblica, da fenomeni quali la globalizzazione e la “scelta” del diritto. Quindi, se il legislatore ed il giudice nazionale non vogliono perdere la possibilità di determinare le opzioni normative da applicare nell'ordinamento interno, devono cercare di dare risposte normative o giurisprudenziali adeguate, per evitare che vengano imposte dall'esterno. In terzo luogo, alcune decisioni dei giudici di merito hanno cercato di dare un’interpretazione differente del tradizionale requisito della cittadinanza, anche alla luce dell’introduzione nell'ordinamento italiano di norme contro la discriminazione. A fronte di tali decisioni, tuttavia, la Corte di Cassazione, con una sentenza (pur se isolata) del 2006, ha ribadito la vigenza di tale requisito. E la Corte costituzionale, con una sibillina decisione del 2011, sembra aprire le porte ad una interpretazione in grado di permettere il superamento del requisito della cittadinanza. Nel saggio, l’autore, dopo aver esaminato in prospettiva storica lo sviluppo del requisito della cittadinanza per l’accesso alle funzioni ed agli uffici pubblici, nonché la prima grande apertura imposta dall'ordinamento europeo, analizza criticamente l’applicabilità del requisito ai cittadini extracomunitari. Dopo aver delineato il quadro normativo e gli incerti sviluppi giurisprudenziali, viene valutato come, alla luce dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale e dei mutamenti di ordine giuridico e politico, si possa prospettare la tendenza al superamento del requisito della cittadinanza nazionale (ed europea) per l’accesso alla funzione pubblica nell'ordinamento italiano.

Oltre la cittadinanza nazionale? L’accesso alla funzione pubblica dei cittadini stranieri

GNES, MATTEO
2012

Abstract

Secondo un’impostazione consolidata (parzialmente modificata dalla partecipazione dello Stato italiano all'Unione europea), tra i requisiti generali necessari per accedere agli impieghi civili dello Stato vi è il possesso della cittadinanza italiana. L’accesso alla funzione pubblica dei cittadini extracomunitari è divenuto un problema di crescente rilevanza, per diverse ragioni. Innanzitutto, vi sono motivi legati al mutamento delle condizioni culturali e sociali dell’ordinamento italiano rispetto a quelle che l’hanno caratterizzato nel corso dell’Ottocento e della prima metà del Novecento: l’Italia, da terra d’emigrazione, è divenuta terra d’immigrazione, per cui occorre rivalutare antichi istituti ed opzioni giuridiche per adeguarle alla mutata realtà odierna, che vede il progressivo sviluppo, anche in Italia, di una società multietnica. In secondo luogo, l’ordinamento italiano è influenzato e condizionato, anche per quanto riguarda le funzioni che sono tradizionalmente poste nel cuore dello Stato, come l’immigrazione e la sicurezza pubblica, da fenomeni quali la globalizzazione e la “scelta” del diritto. Quindi, se il legislatore ed il giudice nazionale non vogliono perdere la possibilità di determinare le opzioni normative da applicare nell'ordinamento interno, devono cercare di dare risposte normative o giurisprudenziali adeguate, per evitare che vengano imposte dall'esterno. In terzo luogo, alcune decisioni dei giudici di merito hanno cercato di dare un’interpretazione differente del tradizionale requisito della cittadinanza, anche alla luce dell’introduzione nell'ordinamento italiano di norme contro la discriminazione. A fronte di tali decisioni, tuttavia, la Corte di Cassazione, con una sentenza (pur se isolata) del 2006, ha ribadito la vigenza di tale requisito. E la Corte costituzionale, con una sibillina decisione del 2011, sembra aprire le porte ad una interpretazione in grado di permettere il superamento del requisito della cittadinanza. Nel saggio, l’autore, dopo aver esaminato in prospettiva storica lo sviluppo del requisito della cittadinanza per l’accesso alle funzioni ed agli uffici pubblici, nonché la prima grande apertura imposta dall'ordinamento europeo, analizza criticamente l’applicabilità del requisito ai cittadini extracomunitari. Dopo aver delineato il quadro normativo e gli incerti sviluppi giurisprudenziali, viene valutato come, alla luce dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale e dei mutamenti di ordine giuridico e politico, si possa prospettare la tendenza al superamento del requisito della cittadinanza nazionale (ed europea) per l’accesso alla funzione pubblica nell'ordinamento italiano.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11576/2529977
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