Il Voyage en Italie di Chateaubriand, scritto nel 1803 a Roma, e pubblicato nella sua forma attuale nel 1827, è stato spesso studiato e interpretato alla luce delle due opere maggiori che lo precedono e lo seguono: il Génie du christianisme (1802) e l’Itinéraire de Paris à Jérusalem (1811); come applicazione delle tesi esposte nel Génie, e come anticipazione dei temi dell’Itinéraire. Il saggio invece ne propone un’interpretazione alternativa, focalizzandosi sulle discontinuità dell’opera rispetto alle altre due. Se infatti il Génie proponeva, al di là dell’opposizione di facciata, una sintesi tra cultura classica e cultura cristiana, in cui a quest’ultima spettava il compito di rendere fruibile nel presente la prima, modernizzandola, nel Voyage la tradizione classica, di cui Roma è una sorta di deposito e di epitome, è presentata sotto il segno della morte; e, fatto ancora più significativo, alla stessa presentazione non sfugge la Roma cristiana e moderna, presentata in alcune scene molto allucinatorie come un deserto privo di vita e prossimo ad inabissarsi. Il saggio intende mostrare come questa visione, molto originale pur traendo spunto da temi tradizionali (si propongono raffronti puntuali con le reazioni nella capitale di Goethe e Madame de Staël), non sia imputabile ad un malumore accidentale (i contrasti di Chateaubriand con il cardinale Fesch), e nemmeno alla morte a Roma di Pauline de Beaumont, ma esprima una reazione all’ottimismo del Génie, secondo uno schema di oscillazione tra poli opposti, di cui l’intera produzione di Chateaubriand offre vari esempi. Manca totalmente, nel Voyage, quella fede nel valore della memoria culturale che riscatta anche le pagine più amare dell’Itinéraire, quella possibilità di usare di ciò che è morto nella vita, che, annunciata nel resoconto di viaggio in Levante, sarà uno dei temi maggiori dei Mémoires d’Outre-Tombe. Diventa allora molto più pertinente accostare il Voyage en Italie alle opere di Chateaubriand di ambientazione americana, dove si celebrava la natura vergine: anche a Roma infatti il principio vitale risiede nella natura, che fondendosi con le rovine (sovrapponendo ciò che è vivo a ciò che è morto) conferisce loro bellezza.
"Questo mucchio di rovine": sul 'Voyage en Italie'di Chateaubriand
TOFFANO, PIERO
2014
Abstract
Il Voyage en Italie di Chateaubriand, scritto nel 1803 a Roma, e pubblicato nella sua forma attuale nel 1827, è stato spesso studiato e interpretato alla luce delle due opere maggiori che lo precedono e lo seguono: il Génie du christianisme (1802) e l’Itinéraire de Paris à Jérusalem (1811); come applicazione delle tesi esposte nel Génie, e come anticipazione dei temi dell’Itinéraire. Il saggio invece ne propone un’interpretazione alternativa, focalizzandosi sulle discontinuità dell’opera rispetto alle altre due. Se infatti il Génie proponeva, al di là dell’opposizione di facciata, una sintesi tra cultura classica e cultura cristiana, in cui a quest’ultima spettava il compito di rendere fruibile nel presente la prima, modernizzandola, nel Voyage la tradizione classica, di cui Roma è una sorta di deposito e di epitome, è presentata sotto il segno della morte; e, fatto ancora più significativo, alla stessa presentazione non sfugge la Roma cristiana e moderna, presentata in alcune scene molto allucinatorie come un deserto privo di vita e prossimo ad inabissarsi. Il saggio intende mostrare come questa visione, molto originale pur traendo spunto da temi tradizionali (si propongono raffronti puntuali con le reazioni nella capitale di Goethe e Madame de Staël), non sia imputabile ad un malumore accidentale (i contrasti di Chateaubriand con il cardinale Fesch), e nemmeno alla morte a Roma di Pauline de Beaumont, ma esprima una reazione all’ottimismo del Génie, secondo uno schema di oscillazione tra poli opposti, di cui l’intera produzione di Chateaubriand offre vari esempi. Manca totalmente, nel Voyage, quella fede nel valore della memoria culturale che riscatta anche le pagine più amare dell’Itinéraire, quella possibilità di usare di ciò che è morto nella vita, che, annunciata nel resoconto di viaggio in Levante, sarà uno dei temi maggiori dei Mémoires d’Outre-Tombe. Diventa allora molto più pertinente accostare il Voyage en Italie alle opere di Chateaubriand di ambientazione americana, dove si celebrava la natura vergine: anche a Roma infatti il principio vitale risiede nella natura, che fondendosi con le rovine (sovrapponendo ciò che è vivo a ciò che è morto) conferisce loro bellezza.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.