I cambiamenti e il progresso della cultura e i mutamenti relativi all’evolvere delle condizioni di rapporto nelle istituzioni scolastiche portano oggi sempre di più gli insegnanti ad essere impegnati in rapporti frequenti, intensi, spesso carichi emotivamente, caratterizzati da stati di tensione, ansia, imbarazzo e anche ostilità, che non permettono di eludere l’importanza delle relazioni umane dentro la scuola. La crescita degli allievi e la reciproca gratificazione su un piano globale dipendono oggi dalla possibilità di assumere un ruolo attivo, consapevole e riflessivo e di non cedere a meccanismi inadeguati in agguato e silenziosamente all’opera nella relazione con gli allievi, con i colleghi, con le famiglie, con le istituzioni scolastiche ed extrascolastiche, secondo modalità il più delle volte disparate quanto imprevedibili. Circa quarant’anni fa, quando il concetto di malessere lavorativo ha iniziato a diffondersi, si è insinuato immediatamente accanto ai principali aspetti del profilo che caratterizzano l’attività dell’insegnante, fino a divenire gradualmente ancora nel nostro secolo un vero e proprio motivo conduttore della psicologia del lavoro insegnante. Si è così progressivamente affermata la tendenza a circoscrivere la propria attenzione principalmente agli scenari e alle condizioni di fondo organizzativi nella osservazione del lavoro dell’insegnante. In effetti, le dimensioni e gli ambiti contestuali che contraddistinguono il ruolo e l’azione degli insegnanti sono segnati da una complessità da cui un tentativo di delineare una mappa per orientare la riflessione non può prescindere. Il malessere lavorativo, che si esprime generalmente nella percezione dell’incapacità di affrontare in modo costruttivo le situazioni di disagio insite nell’ambiente e le richieste che provengono dai contesti, oggi trova un terreno fertile di incremento nella scuola anche in virtù delle richieste sempre più articolate e diversificate provenienti da una pluralità di contesti organizzativi complessi in continuo cambiamento. Si tratta delle richieste che la istituzione scolastica in quanto organizzazione lavorativa fa giungere agli insegnanti dagli organismi di governo interni, quali consiglio di classe di interclasse, istituto e gruppi di lavoro tra insegnanti e di quelle concernenti le relazioni tra un ordine di scuola e l’altro e i passaggi ponte, nonché i rapporti tra scuole e territorio. All’interno di questo scenario di fondo organizzativo-lavorativo, nella organizzazione educativa vera e propria della istituzione scolastica e nelle interazioni tra insegnanti, genitori e studenti provengono ulteriori richieste dall’attività di insegnamento-apprendimento e dagli aspetti affettivo-motivazionali e cognitivi implicati perché tale attività sia efficace e significativa, da tutto quanto concerne l’accompagnamento della persona alla crescita globale, nella alfabetizzazione culturale e in ordine al proprio progetto di vita, e dalla necessità di affrontare situazioni particolari con bisogni educativi speciali e di inclusione. Lo svolgimento di queste attività implica spesso una pluralità di mansioni anche apparentemente ambigue e contradditore, contrassegnata oggi da continui cambiamenti, a cui deve adempiere chi ricopre il ruolo di insegnante. Tale molteplicità è di per se stessa una potenziale minaccia al benessere in quanto è responsabile di carichi di lavoro sempre crescenti e percepiti come eccessivi rispetto alle risorse disponibili per farvi fronte e comporta frequentemente un tipo di lavoro ben diverso sia dalle aspettative che hanno determinato la scelta iniziale della professione che dalla formazione iniziale prevalentemente di tipo didattico-pedagogico ricevuta. A questo si aggiunge che consistendo la funzione peculiare della scuola, intesa con Bruner, nel compito di “preparare i giovani a prendere parte attiva alla comunità sociale e culturale in cui essi vivono mediante l’azione educativa”, gli insegnanti si trovano oggi a sentire come sfuggenti tutti i poli della propria attività all’interno di una società “liquida” in cui sono in trasformazione sempre più rapida i saperi da apprendere e da trasmettere, le competenze richieste, le forme di didattica, i valori di riferimento condivisi, gli stessi bambini e le famiglie, per non dire tutto quanto concerne la crescita vertiginosa della tecnica e quella esponenziale e inarrestabile del mondo elettronico e digitale. Non ultimi, il valore e le possibilità di gratificazione del proprio salario, il riconoscimento sociale del proprio ruolo professionale, la durata del precariato. Per questi motivi, rispetto ai fattori organizzativi e psicosociali scarsa attenzione viene generalmente rivolta alle variabili individuali e personali coinvolte nel malessere degli insegnanti, seppure almeno altrettanto importanti. Sembra comunque presente una sorta di vulnerabilità emotiva negli insegnanti con scarsa autostima e scarsa autoefficacia percepita, in quelli con un locus of control esterno e in coloro che hanno scelto la propria professione secondo un modello irrealistico poco concreto e idealizzato. È possibile tuttavia, prendendo le mosse anche dalle rilevazioni demografiche più recenti sulla anzianità del corpo insegnante, considerare anche altri fattori personali più trascurati che sono maggiormente connessi alla dimensione evolutiva dell’adulto insegnante. Parallelamente alle trasformazioni sociali esterne, infatti, la maggior parte degli insegnanti si trova in un periodo della propria vita in cui deve affrontare profondi cambiamenti psicofisici evolutivi che riguardano il corpo e le capacità sensoriali e fisiche, le relazioni genitoriali e coniugali, nonché quelle di cura e assistenza verso la propria famiglia di origine, con possibili conflitti e inquietudini dalle imprescindibili implicazioni anche per il lavoro quotidiano e le sue richieste. Conseguenze estreme di queste situazioni possono essere le ben note forme di esaurimento fisico e mentale che conducono progressivamente l’insegnante a distaccarsi emotivamente e fisicamente dall’allievo e ad abbandonare, anche letteralmente attraverso l’assenteismo e la malattia, il proprio lavoro. Ma possono esprimersi anche in modalità meno riconosciute perché meno manifeste, spesso prodromi dell’esaurimento estremo, di stili e approcci educativi inadeguati, psicodinamicamente e fenomenologicamente ben definibili. Possono andare dalla figura dell’insegnante “autarchico” (efficiente e di successo, massimamente orientato alla esibizione costante del proprio valore e per nulla verso i propri allievi e i loro apprendimenti) a quella dell’insegnante “divorante” (che ritiene di dover provvedere illimitatamente a tutti i bisogni palesati dagli allievi ma è ostile a qualsiasi loro manifestazione di autonomia); dalla figura dell’insegnante “speculare” (tendente a sopraffare l’allievo alimentandone la passività) a quella dell’insegnante “trasparente” (che rifiuta ogni modalità attiva, disimpegnandosi verso l’asimmetria e le responsabilità del proprio ruolo educativo). Oppure possono esprimersi nei modi della comunicazione e della relazione con gli allievi in forme di maltrattamento emotivo, nascosto e poco evidente e per questo generalemente tollerato dai contesti e dalle istituzioni, ma non per questo meno pernicioso e doloroso di quello più eclatante fisico. A dispetto di queste considerazioni, dati raccolti in tempi recentissimi che mostrano gli insegnanti italiani come i più soddisfatti tra quelli europei (con una frequenza del 94%) permettono di individuare anche la presenza di dimensioni organizzative, sociali, fisiche o psicologiche che oggi caratterizzano il lavoro degli insegnanti in grado di agevolare il raggiungimento degli obiettivi, di ridurre il carico di richieste lavorative e dei costi individuali ad esse associati e di incentivare la crescita, lo sviluppo e l’apprendimento individuale. Tali elementi possono costituire le basi per i futuri interventi istituzionali, organizzativi e individuali volti alla promozione del benessere. La complessità dell’ambiente educativo di apprendimento presuppone oggi una complessità di competenze dell’insegnante (disciplinari, didattiche, relazionali, comunicative e organizzative) che si costruiscono con l’esperienza e con il tempo nelle esperienze di studio e di formazione e nel confronto quotidiano con i bambini, con i genitori e con i colleghi. Anche competenze di ricerca, necessarie per illuminare consapevolmente e riflessivamente processi di cambiamento e dinamiche il cui misconoscimento potrebbe generare dolorose “sindromi psicosociali” ovvero timori e diffidenza verso il nuovo sconosciuto. In quest’intento l’insegnante deve continuare a coltivare come sempre le capacità di dialogo e di ascolto, ascolto empatico e partecipativo dell’altro, che oggi deve essere in grado di rivolgere però con pari attenzione e cura anche ai saperi, alla conoscenza, al nuovo ambiente fisico, mentale, esistenziale senza quel senso di timore o smarrimento comune oggi a tanti insegnanti e genitori. È solo condividendo con il bambino le tre cose che “può sempre insegnare ad una adulto” (Paulo Coelho, “Monte Cinque”), e cioè il suo piacere nell’ “essere contento senza motivo”, il suo impegno “nell’essere sempre occupato con qualche cosa” e la fiducia, curiosità e libertà nel “pretendere con ogni sua forza quello che desidera” che l’insegnante oggi può traghettare l’allievo in modo colto, attivo e consapevole alla scoperta del mondo attuale, della sua forma in gran parte nuova e diversa e alla conoscenza dei saperi del passato.

"Il malessere professionale", dalla relazione al Congresso “Essere insegnante oggi”, Trento il 29 agosto 2014

RIZZARDI, MARIO
2015

Abstract

I cambiamenti e il progresso della cultura e i mutamenti relativi all’evolvere delle condizioni di rapporto nelle istituzioni scolastiche portano oggi sempre di più gli insegnanti ad essere impegnati in rapporti frequenti, intensi, spesso carichi emotivamente, caratterizzati da stati di tensione, ansia, imbarazzo e anche ostilità, che non permettono di eludere l’importanza delle relazioni umane dentro la scuola. La crescita degli allievi e la reciproca gratificazione su un piano globale dipendono oggi dalla possibilità di assumere un ruolo attivo, consapevole e riflessivo e di non cedere a meccanismi inadeguati in agguato e silenziosamente all’opera nella relazione con gli allievi, con i colleghi, con le famiglie, con le istituzioni scolastiche ed extrascolastiche, secondo modalità il più delle volte disparate quanto imprevedibili. Circa quarant’anni fa, quando il concetto di malessere lavorativo ha iniziato a diffondersi, si è insinuato immediatamente accanto ai principali aspetti del profilo che caratterizzano l’attività dell’insegnante, fino a divenire gradualmente ancora nel nostro secolo un vero e proprio motivo conduttore della psicologia del lavoro insegnante. Si è così progressivamente affermata la tendenza a circoscrivere la propria attenzione principalmente agli scenari e alle condizioni di fondo organizzativi nella osservazione del lavoro dell’insegnante. In effetti, le dimensioni e gli ambiti contestuali che contraddistinguono il ruolo e l’azione degli insegnanti sono segnati da una complessità da cui un tentativo di delineare una mappa per orientare la riflessione non può prescindere. Il malessere lavorativo, che si esprime generalmente nella percezione dell’incapacità di affrontare in modo costruttivo le situazioni di disagio insite nell’ambiente e le richieste che provengono dai contesti, oggi trova un terreno fertile di incremento nella scuola anche in virtù delle richieste sempre più articolate e diversificate provenienti da una pluralità di contesti organizzativi complessi in continuo cambiamento. Si tratta delle richieste che la istituzione scolastica in quanto organizzazione lavorativa fa giungere agli insegnanti dagli organismi di governo interni, quali consiglio di classe di interclasse, istituto e gruppi di lavoro tra insegnanti e di quelle concernenti le relazioni tra un ordine di scuola e l’altro e i passaggi ponte, nonché i rapporti tra scuole e territorio. All’interno di questo scenario di fondo organizzativo-lavorativo, nella organizzazione educativa vera e propria della istituzione scolastica e nelle interazioni tra insegnanti, genitori e studenti provengono ulteriori richieste dall’attività di insegnamento-apprendimento e dagli aspetti affettivo-motivazionali e cognitivi implicati perché tale attività sia efficace e significativa, da tutto quanto concerne l’accompagnamento della persona alla crescita globale, nella alfabetizzazione culturale e in ordine al proprio progetto di vita, e dalla necessità di affrontare situazioni particolari con bisogni educativi speciali e di inclusione. Lo svolgimento di queste attività implica spesso una pluralità di mansioni anche apparentemente ambigue e contradditore, contrassegnata oggi da continui cambiamenti, a cui deve adempiere chi ricopre il ruolo di insegnante. Tale molteplicità è di per se stessa una potenziale minaccia al benessere in quanto è responsabile di carichi di lavoro sempre crescenti e percepiti come eccessivi rispetto alle risorse disponibili per farvi fronte e comporta frequentemente un tipo di lavoro ben diverso sia dalle aspettative che hanno determinato la scelta iniziale della professione che dalla formazione iniziale prevalentemente di tipo didattico-pedagogico ricevuta. A questo si aggiunge che consistendo la funzione peculiare della scuola, intesa con Bruner, nel compito di “preparare i giovani a prendere parte attiva alla comunità sociale e culturale in cui essi vivono mediante l’azione educativa”, gli insegnanti si trovano oggi a sentire come sfuggenti tutti i poli della propria attività all’interno di una società “liquida” in cui sono in trasformazione sempre più rapida i saperi da apprendere e da trasmettere, le competenze richieste, le forme di didattica, i valori di riferimento condivisi, gli stessi bambini e le famiglie, per non dire tutto quanto concerne la crescita vertiginosa della tecnica e quella esponenziale e inarrestabile del mondo elettronico e digitale. Non ultimi, il valore e le possibilità di gratificazione del proprio salario, il riconoscimento sociale del proprio ruolo professionale, la durata del precariato. Per questi motivi, rispetto ai fattori organizzativi e psicosociali scarsa attenzione viene generalmente rivolta alle variabili individuali e personali coinvolte nel malessere degli insegnanti, seppure almeno altrettanto importanti. Sembra comunque presente una sorta di vulnerabilità emotiva negli insegnanti con scarsa autostima e scarsa autoefficacia percepita, in quelli con un locus of control esterno e in coloro che hanno scelto la propria professione secondo un modello irrealistico poco concreto e idealizzato. È possibile tuttavia, prendendo le mosse anche dalle rilevazioni demografiche più recenti sulla anzianità del corpo insegnante, considerare anche altri fattori personali più trascurati che sono maggiormente connessi alla dimensione evolutiva dell’adulto insegnante. Parallelamente alle trasformazioni sociali esterne, infatti, la maggior parte degli insegnanti si trova in un periodo della propria vita in cui deve affrontare profondi cambiamenti psicofisici evolutivi che riguardano il corpo e le capacità sensoriali e fisiche, le relazioni genitoriali e coniugali, nonché quelle di cura e assistenza verso la propria famiglia di origine, con possibili conflitti e inquietudini dalle imprescindibili implicazioni anche per il lavoro quotidiano e le sue richieste. Conseguenze estreme di queste situazioni possono essere le ben note forme di esaurimento fisico e mentale che conducono progressivamente l’insegnante a distaccarsi emotivamente e fisicamente dall’allievo e ad abbandonare, anche letteralmente attraverso l’assenteismo e la malattia, il proprio lavoro. Ma possono esprimersi anche in modalità meno riconosciute perché meno manifeste, spesso prodromi dell’esaurimento estremo, di stili e approcci educativi inadeguati, psicodinamicamente e fenomenologicamente ben definibili. Possono andare dalla figura dell’insegnante “autarchico” (efficiente e di successo, massimamente orientato alla esibizione costante del proprio valore e per nulla verso i propri allievi e i loro apprendimenti) a quella dell’insegnante “divorante” (che ritiene di dover provvedere illimitatamente a tutti i bisogni palesati dagli allievi ma è ostile a qualsiasi loro manifestazione di autonomia); dalla figura dell’insegnante “speculare” (tendente a sopraffare l’allievo alimentandone la passività) a quella dell’insegnante “trasparente” (che rifiuta ogni modalità attiva, disimpegnandosi verso l’asimmetria e le responsabilità del proprio ruolo educativo). Oppure possono esprimersi nei modi della comunicazione e della relazione con gli allievi in forme di maltrattamento emotivo, nascosto e poco evidente e per questo generalemente tollerato dai contesti e dalle istituzioni, ma non per questo meno pernicioso e doloroso di quello più eclatante fisico. A dispetto di queste considerazioni, dati raccolti in tempi recentissimi che mostrano gli insegnanti italiani come i più soddisfatti tra quelli europei (con una frequenza del 94%) permettono di individuare anche la presenza di dimensioni organizzative, sociali, fisiche o psicologiche che oggi caratterizzano il lavoro degli insegnanti in grado di agevolare il raggiungimento degli obiettivi, di ridurre il carico di richieste lavorative e dei costi individuali ad esse associati e di incentivare la crescita, lo sviluppo e l’apprendimento individuale. Tali elementi possono costituire le basi per i futuri interventi istituzionali, organizzativi e individuali volti alla promozione del benessere. La complessità dell’ambiente educativo di apprendimento presuppone oggi una complessità di competenze dell’insegnante (disciplinari, didattiche, relazionali, comunicative e organizzative) che si costruiscono con l’esperienza e con il tempo nelle esperienze di studio e di formazione e nel confronto quotidiano con i bambini, con i genitori e con i colleghi. Anche competenze di ricerca, necessarie per illuminare consapevolmente e riflessivamente processi di cambiamento e dinamiche il cui misconoscimento potrebbe generare dolorose “sindromi psicosociali” ovvero timori e diffidenza verso il nuovo sconosciuto. In quest’intento l’insegnante deve continuare a coltivare come sempre le capacità di dialogo e di ascolto, ascolto empatico e partecipativo dell’altro, che oggi deve essere in grado di rivolgere però con pari attenzione e cura anche ai saperi, alla conoscenza, al nuovo ambiente fisico, mentale, esistenziale senza quel senso di timore o smarrimento comune oggi a tanti insegnanti e genitori. È solo condividendo con il bambino le tre cose che “può sempre insegnare ad una adulto” (Paulo Coelho, “Monte Cinque”), e cioè il suo piacere nell’ “essere contento senza motivo”, il suo impegno “nell’essere sempre occupato con qualche cosa” e la fiducia, curiosità e libertà nel “pretendere con ogni sua forza quello che desidera” che l’insegnante oggi può traghettare l’allievo in modo colto, attivo e consapevole alla scoperta del mondo attuale, della sua forma in gran parte nuova e diversa e alla conoscenza dei saperi del passato.
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