Sulla scorta dell'interrogativo "Quo Vadis Europa", l'articolo ricostruisce il recente cammino europeo in materia sociale a partire dalle pronunce "Viking" e "Laval", simbolo di una certa interpretazione delle libertà economiche del Trattato e di quella "svolta neoclassica" del diritto dell'Unione confermata poi dalle politiche economiche di gestione della crisi del 2008. Dette politiche, con il loro accento sempre più marcato sulle riforme strutturali, hanno veicolato l'idea di un generale e necessario ripensamento della legislazione protettiva del lavoro, accusata di rappresentare, insieme alla contrattazione collettiva, un intollerabile elemento distorsivo dei meccanismi di mercato. Ciò ha finito per far sì che proprio l'Europa, da tempo patria del dialogo sociale, venisse elevata a causa e origine di un progressivo degrado delle condizioni di vita e di lavoro delle persone, con l'emersione di una nuova "questione sociale" nel cui ambito quella retributiva riveste una parte di prim'ordine. Entro un tale scenario di fondo, attraversato, non a caso, da proposte in materia di salario minimo destinate talora a oltrepassare gli stessi confini europei - come dimostrano l'esempio statunitense e quello cinese - si colloca altresì il caso italiano. Ciò a partire dall'art. 1, c. 7, della legge n. 183/2014, contenente una delega, poi rimasta inattuata, a legiferare in tema di compenso orario minimo. In ragione delle finalità della delega stessa, l'articolo ne offre una lettura critica, anche alla luce dei principi costituzionali e ne ravvisa l'ennesima spia delle difficoltà di tenuta del modello sociale europeo a fronte dei meccanismi di governo della crisi. Segnali, invece, più confortanti s'intravvedono oltre l'Europa, ove si assiste a un nuovo protagonismo delle istituzioni internazionali di tutela del lavoro e dei diritti umani, nonché all'emersione di inedite prassi sociali nell'ambito di gruppi multinazionali, a testimonianza di una certa vitalità delle forze sindacali nei singoli Paesi, come pure a livello internazionale: non è l'embrione di un contromovimento, ma almeno un primo raggio di luce verso la costruzione di un diverso ordine globale.

Salari e contrattazione collettiva nel governo della crisi europea

CAMPANELLA, PIERA
2015

Abstract

Sulla scorta dell'interrogativo "Quo Vadis Europa", l'articolo ricostruisce il recente cammino europeo in materia sociale a partire dalle pronunce "Viking" e "Laval", simbolo di una certa interpretazione delle libertà economiche del Trattato e di quella "svolta neoclassica" del diritto dell'Unione confermata poi dalle politiche economiche di gestione della crisi del 2008. Dette politiche, con il loro accento sempre più marcato sulle riforme strutturali, hanno veicolato l'idea di un generale e necessario ripensamento della legislazione protettiva del lavoro, accusata di rappresentare, insieme alla contrattazione collettiva, un intollerabile elemento distorsivo dei meccanismi di mercato. Ciò ha finito per far sì che proprio l'Europa, da tempo patria del dialogo sociale, venisse elevata a causa e origine di un progressivo degrado delle condizioni di vita e di lavoro delle persone, con l'emersione di una nuova "questione sociale" nel cui ambito quella retributiva riveste una parte di prim'ordine. Entro un tale scenario di fondo, attraversato, non a caso, da proposte in materia di salario minimo destinate talora a oltrepassare gli stessi confini europei - come dimostrano l'esempio statunitense e quello cinese - si colloca altresì il caso italiano. Ciò a partire dall'art. 1, c. 7, della legge n. 183/2014, contenente una delega, poi rimasta inattuata, a legiferare in tema di compenso orario minimo. In ragione delle finalità della delega stessa, l'articolo ne offre una lettura critica, anche alla luce dei principi costituzionali e ne ravvisa l'ennesima spia delle difficoltà di tenuta del modello sociale europeo a fronte dei meccanismi di governo della crisi. Segnali, invece, più confortanti s'intravvedono oltre l'Europa, ove si assiste a un nuovo protagonismo delle istituzioni internazionali di tutela del lavoro e dei diritti umani, nonché all'emersione di inedite prassi sociali nell'ambito di gruppi multinazionali, a testimonianza di una certa vitalità delle forze sindacali nei singoli Paesi, come pure a livello internazionale: non è l'embrione di un contromovimento, ma almeno un primo raggio di luce verso la costruzione di un diverso ordine globale.
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