La superiorità morale dell'attività agricola rispetto a tutte le altre forme di produzione della ricchezza è un topos ricorrente nella letteratura romana di ogni epoca. Ma, nelle classi dirigenti come nei ceti medi, il buon padre di famiglia si guardava bene dall'essere solo agricola. Chi aveva abbastanza mezzi da possedere una villa attrezzata e corredata di schiavi doveva necessariamente essere anche un uomo d'affari. In particolare, il buon agricola poteva trovarsi nella condizione di investire in prestiti a interesse, per evitare una situazione che i Romani condannavano senza riserve: che il denaro rimanesse ozioso. La metafora del prestito veniva sovente utilizzata nel teatro, nella filosofia, nella letteratura religiosa, per indicare lo scambio di favori o di sentimenti. Secondo Seneca, proprio la contabilità dei prestiti a interesse mostrava nella maniera più eclatante il conflitto tra utile ed honestum. In origine, il mutuo era uno strumento di liberalità, un prestito di consumo a titolo gratuito. Ma ad esso si affiancava spesso una stipulatio usurarum. Perciò, la contabilità dei foenora si prestava ad essere utilizzata come metafora della falsa benevolenza, che mascherava il calcolo e la spietatezza. In realtà, la negotiatio e persino la foeneratio di persone come Catone, Attico, Bruto o Seneca, si distinguevano da quelle di un comune cittadino per il distacco aristocratico con cui se ne accettavano i frutti, ma soprattutto per il fatto che in queste attività non era impegnato il grosso del patrimonio, che doveva rimanere legato al possesso della terra, fonte suprema di legittimazione del rango sociale.

La foeneratio tra realtà e metafora

GILIBERTI, GIUSEPPE
2017

Abstract

La superiorità morale dell'attività agricola rispetto a tutte le altre forme di produzione della ricchezza è un topos ricorrente nella letteratura romana di ogni epoca. Ma, nelle classi dirigenti come nei ceti medi, il buon padre di famiglia si guardava bene dall'essere solo agricola. Chi aveva abbastanza mezzi da possedere una villa attrezzata e corredata di schiavi doveva necessariamente essere anche un uomo d'affari. In particolare, il buon agricola poteva trovarsi nella condizione di investire in prestiti a interesse, per evitare una situazione che i Romani condannavano senza riserve: che il denaro rimanesse ozioso. La metafora del prestito veniva sovente utilizzata nel teatro, nella filosofia, nella letteratura religiosa, per indicare lo scambio di favori o di sentimenti. Secondo Seneca, proprio la contabilità dei prestiti a interesse mostrava nella maniera più eclatante il conflitto tra utile ed honestum. In origine, il mutuo era uno strumento di liberalità, un prestito di consumo a titolo gratuito. Ma ad esso si affiancava spesso una stipulatio usurarum. Perciò, la contabilità dei foenora si prestava ad essere utilizzata come metafora della falsa benevolenza, che mascherava il calcolo e la spietatezza. In realtà, la negotiatio e persino la foeneratio di persone come Catone, Attico, Bruto o Seneca, si distinguevano da quelle di un comune cittadino per il distacco aristocratico con cui se ne accettavano i frutti, ma soprattutto per il fatto che in queste attività non era impegnato il grosso del patrimonio, che doveva rimanere legato al possesso della terra, fonte suprema di legittimazione del rango sociale.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11576/2644550
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