Gli anni Novanta sono stati il decennio del gender mainstreaming e dell'input europeo alla realizzazione di politiche per l'eguaglianza di genere. Ma sono stati anche gli anni del Trattato di Amsterdam e della Strategia Europea per l’Occupazione che ha definito le azioni da realizzare nel decennio successivo. Dall’intreccio di questi processi europei la conciliazione ha acquisito una centralità e attirato un’attenzione trasformatasi nel discorso pubblico e nelle politiche pubbliche, come cercheremo di illustrare, in uno strumento di regresso. Ciò è avvenuto perché se le politiche di genere hanno trovato nell'Unione Europea un soggetto di promozione, di fatto sono state pensate all’interno di un sistema che ha negli obiettivi una progressiva attuazione di politiche neoliberiste. Se una interpretazione condivisa dello sviluppo delle work and life balance policies, di cui molto si è occupata la ricerca sociologica, era che queste costituissero la porta di ingresso (per quanto posta sullo backyard) delle politiche sociali nel quadro europeo, la conciliazione ha riscosso successo perché nei fatti serviva ad aumentare la produttività, in particolare di quel segmento del lavoro – le donne – che più di prima entravano nella produzione grazie al processo di destandardizzazione dei contratti. O a giustificarne un minore riconoscimento sul piano salariale. La retorica della conciliazione è stata ancor più enfatizzata nel corso della crisi nel promuovere l'adattamento dell’offerta alla domanda – come promosso dall’indirizzo europeo in tema di politiche del lavoro - in un quadro di invidualizzazione e di soluzioni di corto respiro sostenute anche dalle policies introdotte, prevedendo quasi sempre benefit in cash che favoriscono chi è già “nel mercato” ed escludono coloro che sempre più agiscono ai margini o in mercato informale che sta crescendo. Inoltre, il discorso egemonico sulla conciliazione ha da una parte favorito l'incorporazione del valore della flessibilità nel senso comune; dall'altra ha trovato accoglienza da parte di un discorso neoconservatore che della conciliazione si è fatto fautore in una versione tecnica e depoliticizzata che rimette al centro la donna come madre. Il neomaternalismo ha spinto le donne ad interiorizzare quella normatività condivisa rintracciabile anche nelle linee di indirizzo (Italia 2020) che attribuisce a loro il dovere di tenere tutto insieme, a costo di un sentimento diffuso di inadeguatezza o del rafforzare l'idea che siano loro comunque, e “naturalmente”, a doversi occupare della riproduzione sociale.

Gender equality ovvero l'egemonia del discorso sulla conciliazione negli anni della grande crisi

FARINA, FATIMA;VINCENTI, ALESSANDRA
2017

Abstract

Gli anni Novanta sono stati il decennio del gender mainstreaming e dell'input europeo alla realizzazione di politiche per l'eguaglianza di genere. Ma sono stati anche gli anni del Trattato di Amsterdam e della Strategia Europea per l’Occupazione che ha definito le azioni da realizzare nel decennio successivo. Dall’intreccio di questi processi europei la conciliazione ha acquisito una centralità e attirato un’attenzione trasformatasi nel discorso pubblico e nelle politiche pubbliche, come cercheremo di illustrare, in uno strumento di regresso. Ciò è avvenuto perché se le politiche di genere hanno trovato nell'Unione Europea un soggetto di promozione, di fatto sono state pensate all’interno di un sistema che ha negli obiettivi una progressiva attuazione di politiche neoliberiste. Se una interpretazione condivisa dello sviluppo delle work and life balance policies, di cui molto si è occupata la ricerca sociologica, era che queste costituissero la porta di ingresso (per quanto posta sullo backyard) delle politiche sociali nel quadro europeo, la conciliazione ha riscosso successo perché nei fatti serviva ad aumentare la produttività, in particolare di quel segmento del lavoro – le donne – che più di prima entravano nella produzione grazie al processo di destandardizzazione dei contratti. O a giustificarne un minore riconoscimento sul piano salariale. La retorica della conciliazione è stata ancor più enfatizzata nel corso della crisi nel promuovere l'adattamento dell’offerta alla domanda – come promosso dall’indirizzo europeo in tema di politiche del lavoro - in un quadro di invidualizzazione e di soluzioni di corto respiro sostenute anche dalle policies introdotte, prevedendo quasi sempre benefit in cash che favoriscono chi è già “nel mercato” ed escludono coloro che sempre più agiscono ai margini o in mercato informale che sta crescendo. Inoltre, il discorso egemonico sulla conciliazione ha da una parte favorito l'incorporazione del valore della flessibilità nel senso comune; dall'altra ha trovato accoglienza da parte di un discorso neoconservatore che della conciliazione si è fatto fautore in una versione tecnica e depoliticizzata che rimette al centro la donna come madre. Il neomaternalismo ha spinto le donne ad interiorizzare quella normatività condivisa rintracciabile anche nelle linee di indirizzo (Italia 2020) che attribuisce a loro il dovere di tenere tutto insieme, a costo di un sentimento diffuso di inadeguatezza o del rafforzare l'idea che siano loro comunque, e “naturalmente”, a doversi occupare della riproduzione sociale.
2017
978-88-8443-747-1
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