Partendo dal presupposto che nessuna eccezione conferma la regola, la teologia brahmanica e' la dimostrazione che non è possibile relegare la molteplicità dei contesti sacrificali ad un unico schema. E non per cadere nel gioco accademico di “uccidere” una teoria in nome di un'altra, ma per utilizzare lo straordinario lavoro di Girard all’interno di una prospettiva allargata che ci permetta di avere una visione d’insieme maggiormente esaustiva. Il fatto che il sacrificio non sia interamente riconducibile ad una dimensione immunitaria, non significa che il problema di una risoluzione collettiva del male non si ponga. Una volta liberato dal fardello di essere la prima matrice, e dalla necessità di diventare la chiave esplicativa di tutto il religioso, il modello girardiano emerge in tutta la sua solidità pratica e teorica. Togliere di mezzo l’omicidio primordiale significa riconoscere che la crisi non è il fondamento dell’ordine, ma la risultante della fragilità di quest’ultimo, dell’uscita dai ruoli specifici di un animale che si è fatto uomo diventando altro da sé. Non bisogna lasciarsi fuorviare dal fatto che i fenomeni di disgregazione sociale si manifestino in modo cruento: la violenza mimetica non è la causa, bensì il risultato della destrutturazione della reciprocità debitoria. Quello che si vuole nascondere con l’immolazione unanime della vittima, non è la sua innocenza, ma l’unanime debolezza del sistema delle differenze. Il capro polarizza l’incapacità umana di percepirsi debole e finita, di comprendere che il consumo di ruoli e modelli non è altro che un pozzo senza fondo, una catena di ansie e paure di cui non è possibile vedere la fine. L’ossessione per la colpa, l’attenzione maniacale per una selezione vittimaria che escluda il dilagare della vendetta, sono strumenti finalizzati alla risoluzione di un problema intrinseco alle gerarchie sociali. Se il sacrificio espiatorio fosse esclusivamente preventivo, la rabbia e la paura non potrebbero scatenarsi trascinando tutto e tutti. Non c’è alcuna responsabilità divina a questo livello, anzi, sono proprio il silenzio degli dei e il loro non corrispondere più al dono rituale a scatenare la domanda: “Per colpa di chi?” Girard ha ragione quando scrive che la crisi sacrificale corrisponde alla perdita del sacrificio, quello che non capisce è che ad essere smarrito non è il rito da lui delineato. L’immolazione del capro espiatorio ha una funzione riparativa, è uno strumento emergenziale da utilizzarsi quando il sistema delle differenze debitorie non è più in grado di perpetuarsi pacificamente. E non potrebbe essere altrimenti, basta rifletterci un attimo per capire che la dimensione emotiva e collettiva del linciaggio unanime, se da un lato è in grado di ricompattare ciò che si sta sfaldando, dall’altro non può essere una base solida su cui validare l’enorme complessità delle relazioni sociali. Lungi dall’escludersi a vicenda quindi, la funzione retributiva e quella immunitaria del sacrificio possono convivere, a patto di riconoscere che rispondono a problematiche differenti: la prima ha a che fare con la pensabilità e la costruzione di un ordine umano, la seconda con la necessità di stabilità di un sistema che si regge su equilibri precari.

Girard e la modernità. Il sacrificio tra retribuzione e colpa espiatoria

BELLEI CRISTIANO
2018

Abstract

Partendo dal presupposto che nessuna eccezione conferma la regola, la teologia brahmanica e' la dimostrazione che non è possibile relegare la molteplicità dei contesti sacrificali ad un unico schema. E non per cadere nel gioco accademico di “uccidere” una teoria in nome di un'altra, ma per utilizzare lo straordinario lavoro di Girard all’interno di una prospettiva allargata che ci permetta di avere una visione d’insieme maggiormente esaustiva. Il fatto che il sacrificio non sia interamente riconducibile ad una dimensione immunitaria, non significa che il problema di una risoluzione collettiva del male non si ponga. Una volta liberato dal fardello di essere la prima matrice, e dalla necessità di diventare la chiave esplicativa di tutto il religioso, il modello girardiano emerge in tutta la sua solidità pratica e teorica. Togliere di mezzo l’omicidio primordiale significa riconoscere che la crisi non è il fondamento dell’ordine, ma la risultante della fragilità di quest’ultimo, dell’uscita dai ruoli specifici di un animale che si è fatto uomo diventando altro da sé. Non bisogna lasciarsi fuorviare dal fatto che i fenomeni di disgregazione sociale si manifestino in modo cruento: la violenza mimetica non è la causa, bensì il risultato della destrutturazione della reciprocità debitoria. Quello che si vuole nascondere con l’immolazione unanime della vittima, non è la sua innocenza, ma l’unanime debolezza del sistema delle differenze. Il capro polarizza l’incapacità umana di percepirsi debole e finita, di comprendere che il consumo di ruoli e modelli non è altro che un pozzo senza fondo, una catena di ansie e paure di cui non è possibile vedere la fine. L’ossessione per la colpa, l’attenzione maniacale per una selezione vittimaria che escluda il dilagare della vendetta, sono strumenti finalizzati alla risoluzione di un problema intrinseco alle gerarchie sociali. Se il sacrificio espiatorio fosse esclusivamente preventivo, la rabbia e la paura non potrebbero scatenarsi trascinando tutto e tutti. Non c’è alcuna responsabilità divina a questo livello, anzi, sono proprio il silenzio degli dei e il loro non corrispondere più al dono rituale a scatenare la domanda: “Per colpa di chi?” Girard ha ragione quando scrive che la crisi sacrificale corrisponde alla perdita del sacrificio, quello che non capisce è che ad essere smarrito non è il rito da lui delineato. L’immolazione del capro espiatorio ha una funzione riparativa, è uno strumento emergenziale da utilizzarsi quando il sistema delle differenze debitorie non è più in grado di perpetuarsi pacificamente. E non potrebbe essere altrimenti, basta rifletterci un attimo per capire che la dimensione emotiva e collettiva del linciaggio unanime, se da un lato è in grado di ricompattare ciò che si sta sfaldando, dall’altro non può essere una base solida su cui validare l’enorme complessità delle relazioni sociali. Lungi dall’escludersi a vicenda quindi, la funzione retributiva e quella immunitaria del sacrificio possono convivere, a patto di riconoscere che rispondono a problematiche differenti: la prima ha a che fare con la pensabilità e la costruzione di un ordine umano, la seconda con la necessità di stabilità di un sistema che si regge su equilibri precari.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11576/2664220
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