Catalogare il tempo presente come un tempo di profonda crisi e di conseguente insicurezza è una affermazione che corre il rischio di apparire banale, tanto è universalmente condivisa e ripetuta. Il consenso generale però viene subito meno, e non poteva che essere così, quando si tratti di definire la natura essenziale di tale crisi e di tale insicurezza. Per alcuni l’elemento essenziale risiederebbe nella progressiva finanziarizzazione dell’economia che eclissa il senso stesso dell’atto economico; per altri sarebbe da rintracciare nella globalizzazione che disorienta, sradica e impoverisce le identità; altri ancora lo identificano con il fenomeno delle grandi masse umane che cercano di spostarsi dal sud e dall’est del mondo verso il nord-ovest, destabilizzandolo socialmente ed economicamente; vi sono anche coloro che lo identificano col terrorismo che mira a sconvolgere la quotidianità e ad accendere un sentimento cieco di odio universale al fine di provocare uno scontro sempre più allargato e di tipo fondamentalmente manicheo, ossia privo di possibilità di mediazioni e componimento. Quello che non funziona in tutte queste identificazioni – e nelle altre possibili che non abbiamo citato perché di minore impatto – non è la loro specifica congruenza ma la semplificazione dell’analisi che identifica, o meglio confonde, il risultato con la causa, contribuendo con ciò ad aumentare il disorientamento e l’insicurezza e perpetrando lo stato di crisi invece che operare per superarlo. Così la confusione regna sovrana e spesso si coglie la curiosa ma istruttiva oscillazione fra il sentimento popolare diffuso, che collega e contamina tutto senza alcuna distinzione razionale, e l’atteggiamento del politico o dell’intellettuale engagé che prende la parola per negarne la realtà, riducendo uno o alcuni o tutti questi fenomeni a strumentale e fittizia “rappresentazione” della parte politica o intellettuale a lui avversa allo scopo di lucrare vantaggi dallo smarrimento della gente comune. In realtà, ed è la nostra tesi, la crisi attuale non può essere ricondotta all’uno o all’altro dei fenomeni che la manifestano e nemmeno al loro insieme complessivo, ma deve essere riconosciuta come un passaggio epocale, all’interno del quale emerge un problema assai più ampio dei singoli fenomeni e che tutti li ricomprende, e precisamente il problema della deformazione dell’autocoscienza dell’uomo contemporaneo e, conseguentemente, il problema delle pratiche attuali di costruzione sociale ed economica, vale a dire il problema di come l’umanità stia edificando il suo proprio mondo, il mondo umano. Detto in altri termini, l’essenza della crisi non risiede principalmente in fattori di tipo materiale, ma in un fattore di ordine culturale, quello appunto appena citato: l’opacità dell’autocoscienza e la perdita dell’orientamento e del significato della prassi sociale e politica. Da questo punto di vista la crisi non è semplicemente una crisi ciclica dotata di carattere dialettico, ossia un momento storico che, attraverso l’esplosione di alcune contraddizioni, riuscirà a liberare nuove energie positive, rinnovando la società; si tratta invece di una crisi strutturale dotata di carattere entropico, ossia una crisi che potrebbe terminare nello spegnimento dell’energia di edificazione del mondo umano e nella conseguente ricaduta nella barbarie. In questo libro ho cercato di mettere a fuoco la radice filosofica di tale disorientamento dell’autocoscienza e le conseguenze, per così dire, “fenomenologiche” che essa ha progressivamente prodotto a livello della cultura e della prassi. Tale radice è una radice antropologica che riposa sull’assunto che sia possibile essere uomini ed edificare la civiltà umana “etsi Deus non daretur”. Non ho, però, voluto limitarmi alla sola prospettiva critica e ho anche cercato di indicare dei momenti per una possibile alternativa e, dunque, per un possibile diverso indirizzamento del passaggio d’epoca in cui siamo collocati e di cui siamo gli attori. Va da sé che se la radice del disorientamento è di natura antropologica, il contromovimento alternativo non potrà che essere anch’esso di ordine antropologico e, precisamente, di ordine personalistico. Ovviamente, se l’assunto del disorientamento è il paradigma dell’ “etsi Deus non daretur”, l’assunto del contromovimento non potrà che essere nel segno del “si Deus daretur”.

Antropologia politica. Umano, biopolitica, giustizia

Marco Cangiotti
2019

Abstract

Catalogare il tempo presente come un tempo di profonda crisi e di conseguente insicurezza è una affermazione che corre il rischio di apparire banale, tanto è universalmente condivisa e ripetuta. Il consenso generale però viene subito meno, e non poteva che essere così, quando si tratti di definire la natura essenziale di tale crisi e di tale insicurezza. Per alcuni l’elemento essenziale risiederebbe nella progressiva finanziarizzazione dell’economia che eclissa il senso stesso dell’atto economico; per altri sarebbe da rintracciare nella globalizzazione che disorienta, sradica e impoverisce le identità; altri ancora lo identificano con il fenomeno delle grandi masse umane che cercano di spostarsi dal sud e dall’est del mondo verso il nord-ovest, destabilizzandolo socialmente ed economicamente; vi sono anche coloro che lo identificano col terrorismo che mira a sconvolgere la quotidianità e ad accendere un sentimento cieco di odio universale al fine di provocare uno scontro sempre più allargato e di tipo fondamentalmente manicheo, ossia privo di possibilità di mediazioni e componimento. Quello che non funziona in tutte queste identificazioni – e nelle altre possibili che non abbiamo citato perché di minore impatto – non è la loro specifica congruenza ma la semplificazione dell’analisi che identifica, o meglio confonde, il risultato con la causa, contribuendo con ciò ad aumentare il disorientamento e l’insicurezza e perpetrando lo stato di crisi invece che operare per superarlo. Così la confusione regna sovrana e spesso si coglie la curiosa ma istruttiva oscillazione fra il sentimento popolare diffuso, che collega e contamina tutto senza alcuna distinzione razionale, e l’atteggiamento del politico o dell’intellettuale engagé che prende la parola per negarne la realtà, riducendo uno o alcuni o tutti questi fenomeni a strumentale e fittizia “rappresentazione” della parte politica o intellettuale a lui avversa allo scopo di lucrare vantaggi dallo smarrimento della gente comune. In realtà, ed è la nostra tesi, la crisi attuale non può essere ricondotta all’uno o all’altro dei fenomeni che la manifestano e nemmeno al loro insieme complessivo, ma deve essere riconosciuta come un passaggio epocale, all’interno del quale emerge un problema assai più ampio dei singoli fenomeni e che tutti li ricomprende, e precisamente il problema della deformazione dell’autocoscienza dell’uomo contemporaneo e, conseguentemente, il problema delle pratiche attuali di costruzione sociale ed economica, vale a dire il problema di come l’umanità stia edificando il suo proprio mondo, il mondo umano. Detto in altri termini, l’essenza della crisi non risiede principalmente in fattori di tipo materiale, ma in un fattore di ordine culturale, quello appunto appena citato: l’opacità dell’autocoscienza e la perdita dell’orientamento e del significato della prassi sociale e politica. Da questo punto di vista la crisi non è semplicemente una crisi ciclica dotata di carattere dialettico, ossia un momento storico che, attraverso l’esplosione di alcune contraddizioni, riuscirà a liberare nuove energie positive, rinnovando la società; si tratta invece di una crisi strutturale dotata di carattere entropico, ossia una crisi che potrebbe terminare nello spegnimento dell’energia di edificazione del mondo umano e nella conseguente ricaduta nella barbarie. In questo libro ho cercato di mettere a fuoco la radice filosofica di tale disorientamento dell’autocoscienza e le conseguenze, per così dire, “fenomenologiche” che essa ha progressivamente prodotto a livello della cultura e della prassi. Tale radice è una radice antropologica che riposa sull’assunto che sia possibile essere uomini ed edificare la civiltà umana “etsi Deus non daretur”. Non ho, però, voluto limitarmi alla sola prospettiva critica e ho anche cercato di indicare dei momenti per una possibile alternativa e, dunque, per un possibile diverso indirizzamento del passaggio d’epoca in cui siamo collocati e di cui siamo gli attori. Va da sé che se la radice del disorientamento è di natura antropologica, il contromovimento alternativo non potrà che essere anch’esso di ordine antropologico e, precisamente, di ordine personalistico. Ovviamente, se l’assunto del disorientamento è il paradigma dell’ “etsi Deus non daretur”, l’assunto del contromovimento non potrà che essere nel segno del “si Deus daretur”.
2019
9788828401605
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11576/2674460
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