Prima del contenuto del libro una parola sul titolo. "Come un tradimento". L’espressione è del Manzoni. Viene da "I promessi sposi". Evoca il tormento che ferisce l’Innominato mentre osserva la carrozza condurre Lucia nel castello. Sappiamo quanto avesse colpito Primo Levi questa espressione. Nella versione dattiloscritta di "Se questo è un uomo" essa appare ne «il canto di Ulisse», segue un passo assolutamente decisivo dell'"Inferno" di Dante, che Levi traduce a Jean, il Pikolo in una rara tregua del monotono ripetitivo terribile corso della vita del campo. Prima della rivelazione del naufragio, quando egli avrà l’intuizione di un attimo circa il significato di “come altrui piacque”, il verso del Poeta che forse meglio di ogni altra parola spiega il perché del loro essere internati lì nel campo, ad Auschwitz. L’espressione verrà cancellata nell’edizione a stampa, ma non eliminata del tutto. Levi decide di anticiparla ad un altro momento fatale del libro, la partenza dal campo di raccolta di Fossoli: “l’alba ci colse come un tradimento”. Questo libro muove dalla parola genocidio. Riflette sulla sua idea come sulla testimonianza del sopravvissuto. Tuttavia esso non raccoglie l’eredità giuridica del termine, né si situa nel punto di intersezione degli studi giuridici e delle scienze sociali che si sono contesi il tema fin dalla prima occorrenza della parola nel lessico giuridico e politico del xx secolo. Tenta semplicemente un’altra strada. Risalire la corrente del suo significato etimologico prima che concettuale. Nella prima parte si ricostruisce l’idea di "ghénos" nella polis greca. Il discorso attraversa la filosofia antica, ma si sofferma soprattutto su Platone. Si chiede come sia stato possibile che attorno al "ghénos" abbia potuto ruotare la realtà della guerra civile. Ossia della guerra in famiglia, della "stasis", l'essere in posizione che istituisce il rapporto politico che la città figura con se stessa. Poi il libro compirà un salto mortale dalla figura alla maschera nella terra e nel sangue della Germania nazista. Perché "Platone politico" è innanzitutto una storia tedesca. Chi avrà la bontà di leggere vedrà all'opera filologi, grecisti, razziologi e filosofi, ognuno di loro esaltare il creatore di stati, la lotta dello spirito per la potenza, l’eroe del pensiero che ha rigenerato la comunità e ha fondato la polis ideale sul mito del guardiano come milite della verità. Ancora una volta "come in un tradimento" dell’idea del bene. Decisive le pagine in cui Levinas inchioda il pensiero di Heidegger alla filosofia dell’hitlerismo, l'esperienza della vita fittizia alla sua chiusura biologica. Un intermezzo sulla vita ufficiale e il male amministrato, che interpreta lo specialista dello sterminio, Adolf Eichmann, alla luce de "La banalità del male" di Hannah Arendt apre lo sguardo su "la città dolente, l’etterno dolore e la perduta gente" della seconda parte del libro. Il campo o l’inferno reso immanente. Quasi che l'inferno non fosse stato evocato in un libro ma visitato come una terra desolata. La ricerca si introduce nella colonia penale di Dante. Lo fa attraverso la voce di Primo Levi. Quindi ritorna nel reticolato del campo. Le figure si rappresentano fino al loro limite estremo, convergono sulla soglia tra l'uomo e il non uomo, dove il musulmano - l'infigurabile che ogni altra figura toglie - diviene il luogo di un esperimento in cui è la medesima idea di umanità ad essere messa in questione. Sarà commento e critica di alcune tra le pagine più alte della letteratura del Novecento italiano, «Il canto di Ulisse» da "Se questo è un uomo". Non di meno è l’intero viaggio “verso il fondo” da quell’alba fatale di Fossoli ad apparire, in una discrepanza che suscita sgomento, come una ripresa della prima cantica dantesca. Ma qui la memoria, che pur pare affiorare in ricordi che non fanno soffrire, quando Levi e il Pikolo si incamminano con le stanghe per la zuppa sotto un chiaro cielo di giugno, diventa cenere lieve del vissuto. "Infin che 'l mar fu sopra noi richiuso". Quel che resta è l'acque pesante del sopravvivere e del testimoniare.Una zona grigia. I sommersi e i salvati. L'esigenza di una politica del possibile in luogo del comando del dominio totalitario.

Come un tradimento. Il genocidio e "il canto di Ulisse"

Domenico Scalzo
2020

Abstract

Prima del contenuto del libro una parola sul titolo. "Come un tradimento". L’espressione è del Manzoni. Viene da "I promessi sposi". Evoca il tormento che ferisce l’Innominato mentre osserva la carrozza condurre Lucia nel castello. Sappiamo quanto avesse colpito Primo Levi questa espressione. Nella versione dattiloscritta di "Se questo è un uomo" essa appare ne «il canto di Ulisse», segue un passo assolutamente decisivo dell'"Inferno" di Dante, che Levi traduce a Jean, il Pikolo in una rara tregua del monotono ripetitivo terribile corso della vita del campo. Prima della rivelazione del naufragio, quando egli avrà l’intuizione di un attimo circa il significato di “come altrui piacque”, il verso del Poeta che forse meglio di ogni altra parola spiega il perché del loro essere internati lì nel campo, ad Auschwitz. L’espressione verrà cancellata nell’edizione a stampa, ma non eliminata del tutto. Levi decide di anticiparla ad un altro momento fatale del libro, la partenza dal campo di raccolta di Fossoli: “l’alba ci colse come un tradimento”. Questo libro muove dalla parola genocidio. Riflette sulla sua idea come sulla testimonianza del sopravvissuto. Tuttavia esso non raccoglie l’eredità giuridica del termine, né si situa nel punto di intersezione degli studi giuridici e delle scienze sociali che si sono contesi il tema fin dalla prima occorrenza della parola nel lessico giuridico e politico del xx secolo. Tenta semplicemente un’altra strada. Risalire la corrente del suo significato etimologico prima che concettuale. Nella prima parte si ricostruisce l’idea di "ghénos" nella polis greca. Il discorso attraversa la filosofia antica, ma si sofferma soprattutto su Platone. Si chiede come sia stato possibile che attorno al "ghénos" abbia potuto ruotare la realtà della guerra civile. Ossia della guerra in famiglia, della "stasis", l'essere in posizione che istituisce il rapporto politico che la città figura con se stessa. Poi il libro compirà un salto mortale dalla figura alla maschera nella terra e nel sangue della Germania nazista. Perché "Platone politico" è innanzitutto una storia tedesca. Chi avrà la bontà di leggere vedrà all'opera filologi, grecisti, razziologi e filosofi, ognuno di loro esaltare il creatore di stati, la lotta dello spirito per la potenza, l’eroe del pensiero che ha rigenerato la comunità e ha fondato la polis ideale sul mito del guardiano come milite della verità. Ancora una volta "come in un tradimento" dell’idea del bene. Decisive le pagine in cui Levinas inchioda il pensiero di Heidegger alla filosofia dell’hitlerismo, l'esperienza della vita fittizia alla sua chiusura biologica. Un intermezzo sulla vita ufficiale e il male amministrato, che interpreta lo specialista dello sterminio, Adolf Eichmann, alla luce de "La banalità del male" di Hannah Arendt apre lo sguardo su "la città dolente, l’etterno dolore e la perduta gente" della seconda parte del libro. Il campo o l’inferno reso immanente. Quasi che l'inferno non fosse stato evocato in un libro ma visitato come una terra desolata. La ricerca si introduce nella colonia penale di Dante. Lo fa attraverso la voce di Primo Levi. Quindi ritorna nel reticolato del campo. Le figure si rappresentano fino al loro limite estremo, convergono sulla soglia tra l'uomo e il non uomo, dove il musulmano - l'infigurabile che ogni altra figura toglie - diviene il luogo di un esperimento in cui è la medesima idea di umanità ad essere messa in questione. Sarà commento e critica di alcune tra le pagine più alte della letteratura del Novecento italiano, «Il canto di Ulisse» da "Se questo è un uomo". Non di meno è l’intero viaggio “verso il fondo” da quell’alba fatale di Fossoli ad apparire, in una discrepanza che suscita sgomento, come una ripresa della prima cantica dantesca. Ma qui la memoria, che pur pare affiorare in ricordi che non fanno soffrire, quando Levi e il Pikolo si incamminano con le stanghe per la zuppa sotto un chiaro cielo di giugno, diventa cenere lieve del vissuto. "Infin che 'l mar fu sopra noi richiuso". Quel che resta è l'acque pesante del sopravvivere e del testimoniare.Una zona grigia. I sommersi e i salvati. L'esigenza di una politica del possibile in luogo del comando del dominio totalitario.
2020
9788832241082
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11576/2677856
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact