Il contributo analizza criticamente la prima decisione della Corte di Strasburgo in materia di immigration detention nel contesto della pandemia da COVID-19. In primo luogo, vengono salutate favorevolmente le considerazioni del consesso europeo in merito alla violazione, nei confronti dei ricorrenti sottoposti ad un completo isolamento per quaranta giorni, dell'art. 3 CEDU: le affermazioni sul punto paiono sostenere un'impostazione ermeneutica garantista - ed attenta ai principi di necessità e proporzionalità - ormai da tempo scomparsa dalla giurisprudenza del tribunale sovranazionale. Al contrario, ed in secondo luogo, la linea di ragionamento in materia di diritto alla salute dei migranti detenuti nel contesto della pandemia da COVID-19 appare incompleta, poiché a fronte della condanna dello Stato resistente per aver trattenuto gli stranieri insieme a malati COVID, la Corte sorvola completamente il tema delle "positive obligations" da imporre agli Stati membri in tale contesto emergenziale. In terzo luogo, le considerazioni della Corte in materia di onere della prova gravante sui ricorrenti appare stridente rispetto alla propria consolidata giurisprudenza, a fortiori quando i detenuti in asserito stato di sovraffollamento, come nel caso di specie, non hanno a disposizione in rerum natura i dati fattuali per sostanziare le proprie doglianze (a differenza, evidentemente, dello Stato convenuto). Infine, viene censurato l'approccio della Corte di Strasburgo nella parte in cui - e contrariamente a quanto statuito illo tempore dalla Corte di Giustizia UE - ha ritenuto effettivamente espellibile lo straniero detenuto per via amministrativa soggetto, tuttavia, ad ulteriore detenzione penale a causa del mancato pagamento di un'ammenda penale.

I diritti dei migranti detenuti ai tempi del Covid-19: in Feilazoo c. Malta la CEDU «lascia» o «raddoppia»?

Lorenzo Bernardini
2022

Abstract

Il contributo analizza criticamente la prima decisione della Corte di Strasburgo in materia di immigration detention nel contesto della pandemia da COVID-19. In primo luogo, vengono salutate favorevolmente le considerazioni del consesso europeo in merito alla violazione, nei confronti dei ricorrenti sottoposti ad un completo isolamento per quaranta giorni, dell'art. 3 CEDU: le affermazioni sul punto paiono sostenere un'impostazione ermeneutica garantista - ed attenta ai principi di necessità e proporzionalità - ormai da tempo scomparsa dalla giurisprudenza del tribunale sovranazionale. Al contrario, ed in secondo luogo, la linea di ragionamento in materia di diritto alla salute dei migranti detenuti nel contesto della pandemia da COVID-19 appare incompleta, poiché a fronte della condanna dello Stato resistente per aver trattenuto gli stranieri insieme a malati COVID, la Corte sorvola completamente il tema delle "positive obligations" da imporre agli Stati membri in tale contesto emergenziale. In terzo luogo, le considerazioni della Corte in materia di onere della prova gravante sui ricorrenti appare stridente rispetto alla propria consolidata giurisprudenza, a fortiori quando i detenuti in asserito stato di sovraffollamento, come nel caso di specie, non hanno a disposizione in rerum natura i dati fattuali per sostanziare le proprie doglianze (a differenza, evidentemente, dello Stato convenuto). Infine, viene censurato l'approccio della Corte di Strasburgo nella parte in cui - e contrariamente a quanto statuito illo tempore dalla Corte di Giustizia UE - ha ritenuto effettivamente espellibile lo straniero detenuto per via amministrativa soggetto, tuttavia, ad ulteriore detenzione penale a causa del mancato pagamento di un'ammenda penale.
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