Il contributo esamina la questione (più volte affrontata dalla dottrina e dalla giurisprudenza, anche di legittimita’) della qualificazione giuridica dei crediti per i versamenti dovuti dal datore di lavoro come contribuzione ai fondi pensionistici della previdenza complementare privata. In particolar modo viene analizzata innanzitutto la natura previdenziale oppure di retribuzione differita di tali versamenti. Da tale qualificazione discendono infatti importanti conseguenze di carattere pratico, come la possibilità’ di applicazione ad essi del privilegio generale di cui all’art. 2751-bis, n. 1, c.c. nel fallimento del datore di lavoro. La natura privata dei contributi, inoltre, ne escluderebbe anche l’ammissibilità al passivo in via privilegiata, in forza degli artt. 2753 e 2754, c.c., ritenendosi gli articoli citati relativi esclusivamente al riconoscimento di un privilegio per i soli contributi dovuti al sistema della previdenza e assistenza pubblica. Altro aspetto rilevante riguarda inoltre la cumulabilità degli interessi, dovuti sui crediti per il versamento di tali contributi, con la rivalutazione monetaria, non operando nel caso specifico, trattandosi di versamenti dovuti da enti privati, il divieto di cumulo, previsto dall’art. 16, comma 6, l. 30 dicembre 1991, n. 412, che si riferisce esclusivamente ai crediti verso gli enti previdenziali pubblici. Dall’esame degli aspetti citati, e di altri egualmente rilevanti, a livello pratico, relativi alla tutela giuridica della contribuzione alle forme della previdenza complementare privata, sotto il profilo della recuperabilità delle predette somme, in caso di mancato versamento da parte del datore di lavoro, consegue un quadro particolarmente complesso e variegato, che rispecchia la perdurante ambiguità (e debolezza) del sistema della previdenza complementare privata in Italia. Tale sistema, infatti, nonostante la dichiarazione di principio da parte del legislatore (a partire dalla riforma del 1993) della sua piena funzionalizzazione, nell’ambito delle finalità di cui all’art. 38, comma 2, Cost., e il suo riconoscimento da parte della giurisprudenza costituzionale e di legittimità, non permette ancora una piena equiparazione fra i due sistemi, quello pubblico e quello privato. L’equilibrio attuale, sia a livello delle scelte normative e di principio, sia della equiparabilità in via di fatto, si caratterizza tuttora, infatti, per una prevalenza del ruolo e dell’importanza della previdenza pubblica, sia nell’ambito dell’estensione della tutela, sia dell’ammontare delle risorse a disposizione. Il perdurante sottodimensionamento della previdenza complementare privata in Italia, la scarsa adesione da parte dei lavoratori italiani e la sostanziale diffidenza nei confronti di essa, pur derivando da una pluralità di fattori di ordine socio-economico, non può negarsi che rappresenti in parte l’espressione di uno squilibrio, anche da parte dell’ordinamento giuridico, tuttora perdurante a favore della previdenza pubblica, nonostante le fondate preoccupazioni per la tenuta del sistema, a causa dei ben noti fenomeni di crisi socio demografica che caratterizzano la situazione italiana.

Il finanziamento della previdenza complementare privata nella giurisprudenza della Cassazione e i suoi riflessi sull’equilibrio complessivo del sistema previdenziale.

Elisabetta Righini
2022

Abstract

Il contributo esamina la questione (più volte affrontata dalla dottrina e dalla giurisprudenza, anche di legittimita’) della qualificazione giuridica dei crediti per i versamenti dovuti dal datore di lavoro come contribuzione ai fondi pensionistici della previdenza complementare privata. In particolar modo viene analizzata innanzitutto la natura previdenziale oppure di retribuzione differita di tali versamenti. Da tale qualificazione discendono infatti importanti conseguenze di carattere pratico, come la possibilità’ di applicazione ad essi del privilegio generale di cui all’art. 2751-bis, n. 1, c.c. nel fallimento del datore di lavoro. La natura privata dei contributi, inoltre, ne escluderebbe anche l’ammissibilità al passivo in via privilegiata, in forza degli artt. 2753 e 2754, c.c., ritenendosi gli articoli citati relativi esclusivamente al riconoscimento di un privilegio per i soli contributi dovuti al sistema della previdenza e assistenza pubblica. Altro aspetto rilevante riguarda inoltre la cumulabilità degli interessi, dovuti sui crediti per il versamento di tali contributi, con la rivalutazione monetaria, non operando nel caso specifico, trattandosi di versamenti dovuti da enti privati, il divieto di cumulo, previsto dall’art. 16, comma 6, l. 30 dicembre 1991, n. 412, che si riferisce esclusivamente ai crediti verso gli enti previdenziali pubblici. Dall’esame degli aspetti citati, e di altri egualmente rilevanti, a livello pratico, relativi alla tutela giuridica della contribuzione alle forme della previdenza complementare privata, sotto il profilo della recuperabilità delle predette somme, in caso di mancato versamento da parte del datore di lavoro, consegue un quadro particolarmente complesso e variegato, che rispecchia la perdurante ambiguità (e debolezza) del sistema della previdenza complementare privata in Italia. Tale sistema, infatti, nonostante la dichiarazione di principio da parte del legislatore (a partire dalla riforma del 1993) della sua piena funzionalizzazione, nell’ambito delle finalità di cui all’art. 38, comma 2, Cost., e il suo riconoscimento da parte della giurisprudenza costituzionale e di legittimità, non permette ancora una piena equiparazione fra i due sistemi, quello pubblico e quello privato. L’equilibrio attuale, sia a livello delle scelte normative e di principio, sia della equiparabilità in via di fatto, si caratterizza tuttora, infatti, per una prevalenza del ruolo e dell’importanza della previdenza pubblica, sia nell’ambito dell’estensione della tutela, sia dell’ammontare delle risorse a disposizione. Il perdurante sottodimensionamento della previdenza complementare privata in Italia, la scarsa adesione da parte dei lavoratori italiani e la sostanziale diffidenza nei confronti di essa, pur derivando da una pluralità di fattori di ordine socio-economico, non può negarsi che rappresenti in parte l’espressione di uno squilibrio, anche da parte dell’ordinamento giuridico, tuttora perdurante a favore della previdenza pubblica, nonostante le fondate preoccupazioni per la tenuta del sistema, a causa dei ben noti fenomeni di crisi socio demografica che caratterizzano la situazione italiana.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11576/2706410
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