A partire dalla cosiddetta ‘crisi migratoria’ (2015), in Italia l’interesse per l’antropologia in ambiti extra-accademici inerenti alla presa in carico di persone richiedenti asilo ha acquisito una rilevanza cruciale, accendendo intensi dibattiti all’interno della disciplina. Tuttavia, malgrado tale apertura, l’antropologia in questi contesti rimane ancora un sapere frainteso, ‘male inteso’, soggetto a interpretazioni ambigue e pericolose rispetto agli strumenti, agli obiettivi e alle soluzioni che essa è in grado di produrre. La conseguente operazione di de-costruzione del sapere antropologico, con derive spesso essenzializzanti, è uno dei risultati inattesi e non-intenzionali più nefasti con il quale l’antropologa che opera in questi contesti deve fare i conti, spesso dovendo gestire vere e proprie crisi ‘disciplinari’, professionali, etiche ed esistenziali. Attraverso l’esposizione di un’esperienza professionale all’interno del sistema di asilo/accoglienza, mostrerò come, seppur significativa, questa apertura possa portare a vere e proprie insidie epistemologiche, deontologiche e metodologiche che oltrepassano le intenzionalità dell’antropologa.

«What the hell am I doin’here? I don’t belong here!». L’antropologa nei contesti di asilo/accoglienza tra marginalità, fraintendimenti, negoziazioni e non-intenzionalità. Riflessioni a partire da un’esperienza professionale.

Silvia Pitzalis
2023

Abstract

A partire dalla cosiddetta ‘crisi migratoria’ (2015), in Italia l’interesse per l’antropologia in ambiti extra-accademici inerenti alla presa in carico di persone richiedenti asilo ha acquisito una rilevanza cruciale, accendendo intensi dibattiti all’interno della disciplina. Tuttavia, malgrado tale apertura, l’antropologia in questi contesti rimane ancora un sapere frainteso, ‘male inteso’, soggetto a interpretazioni ambigue e pericolose rispetto agli strumenti, agli obiettivi e alle soluzioni che essa è in grado di produrre. La conseguente operazione di de-costruzione del sapere antropologico, con derive spesso essenzializzanti, è uno dei risultati inattesi e non-intenzionali più nefasti con il quale l’antropologa che opera in questi contesti deve fare i conti, spesso dovendo gestire vere e proprie crisi ‘disciplinari’, professionali, etiche ed esistenziali. Attraverso l’esposizione di un’esperienza professionale all’interno del sistema di asilo/accoglienza, mostrerò come, seppur significativa, questa apertura possa portare a vere e proprie insidie epistemologiche, deontologiche e metodologiche che oltrepassano le intenzionalità dell’antropologa.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11576/2717291
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