Il presente commento si propone di analizzare una recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea in materia di procedimento penale in absentia e diritto alla presenza processuale. Dopo una breve disamina dei fatti di causa e del contenuto della decisione, viene dato conto dei principali profili critici della decisione. In primo luogo, viene censurata l’impostazione seguita dalla Corte di Lussemburgo nell’ammettere la compatibilità di una normativa nazionale che obblighi gli imputati a comparire a processo con il diritto dell’Unione. Tale scelta, infatti, sembra porsi in contrasto con i precetti fissati nella Convenzione europea dei diritti umani (art. 6 CEDU) in materia di presenza processuale. Ciò minerebbe la coerenza tra i due ordinamenti sovranazionali, ignorando al contempo gli standard minimi sanciti a livello convenzionale, in possibile contrasto con l’art. 52, § 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. A fronte di tali criticità, tuttavia, la sentenza contiene ulteriori profili di analisi che paiono condivisibili. In particolare, va accolto con favore il percorso ermeneutico seguito dalla Corte per assicurare al migrante espulso, e soggetto a divieto di reingresso, il diritto, in ogni caso, di poter partecipare al processo penale che lo riguarda, a dispetto delle misure amministrative irrogate nei suoi confronti. In tal modo, la Corte di Giustizia ha rafforzato la prerogativa della partecipazione processuale protetta dal diritto dell’Unione, rendendola effettiva e concreta.

Rito penale in absentia e obbligo alla presenza processuale: la lettura (pilatesca) della Corte di Giustizia

Lorenzo Bernardini
2023

Abstract

Il presente commento si propone di analizzare una recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea in materia di procedimento penale in absentia e diritto alla presenza processuale. Dopo una breve disamina dei fatti di causa e del contenuto della decisione, viene dato conto dei principali profili critici della decisione. In primo luogo, viene censurata l’impostazione seguita dalla Corte di Lussemburgo nell’ammettere la compatibilità di una normativa nazionale che obblighi gli imputati a comparire a processo con il diritto dell’Unione. Tale scelta, infatti, sembra porsi in contrasto con i precetti fissati nella Convenzione europea dei diritti umani (art. 6 CEDU) in materia di presenza processuale. Ciò minerebbe la coerenza tra i due ordinamenti sovranazionali, ignorando al contempo gli standard minimi sanciti a livello convenzionale, in possibile contrasto con l’art. 52, § 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. A fronte di tali criticità, tuttavia, la sentenza contiene ulteriori profili di analisi che paiono condivisibili. In particolare, va accolto con favore il percorso ermeneutico seguito dalla Corte per assicurare al migrante espulso, e soggetto a divieto di reingresso, il diritto, in ogni caso, di poter partecipare al processo penale che lo riguarda, a dispetto delle misure amministrative irrogate nei suoi confronti. In tal modo, la Corte di Giustizia ha rafforzato la prerogativa della partecipazione processuale protetta dal diritto dell’Unione, rendendola effettiva e concreta.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11576/2728452
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