Le oreficerie antiche sono state da sempre oggetto dell’interesse degli specialisti, ma ancora fino agli anni ’50 e ’60 del Novecento venivano quasi sempre studiate come oggetti preziosi in sé, valutandone prevalentemente gli aspetti tecnici e decorativi, estrapolandole dal loro contesto di rinvenimento, basilare per la loro piena comprensione. Ciò è sicuramente in parte dovuto alla sorte che gli oggetti in metallo prezioso hanno avuto nel tempo, da sempre tra gli oggetti più ricercati dello spolio e del commercio antiquario. Solo in anni più recenti, vari contributi hanno riportato l’attenzione della comunità scientifica sull’importanza per lo studio di questo tipo di materiali della contestualizzazione, ma anche della necessità di confrontarsi con le fonti storiche e con l’ampio spettro delle rappresentazioni iconografiche per una miglior comprensione delle valenze sottese a questi oggetti. Il gioiello, al di là del suo valore estetico, è infatti nell’antichità, come ancora oggi, portatore di molteplici valenze, economiche in primo luogo (in quanto espressione di status sociale), affettive, ma anche latore di messaggi ben precisi relativi non solo al gusto della committenza, ma all’ideologia religiosa o identitaria dei portatori. Le oreficerie sono spesso legate nella realtà antica ai momenti che scandiscono trasformazioni fondamentali dell’esistenza, come i passaggi di stato all’età adulta, il matrimonio, la morte, etc. In questo contributo si cercherà di affrontare i vari aspetti di questo diverso approccio metodologico, con una particolare attenzione verso le produzioni orafe etrusche di età tardo classica ed ellenistica che sembrano meglio esemplificare le problematiche sopra indicate. Nella seconda parte dell’articolo si affronta brevemente anche la questione della fortuna dell’oreficeria etrusca nelle produzioni artistiche tra seconda metà dell’Ottocento e primo Novecento.

Lo studio dell’oreficeria etrusca tra realia, rappresentazioni iconografiche e antiquaria: questioni di metodo

Coen A.
2023

Abstract

Le oreficerie antiche sono state da sempre oggetto dell’interesse degli specialisti, ma ancora fino agli anni ’50 e ’60 del Novecento venivano quasi sempre studiate come oggetti preziosi in sé, valutandone prevalentemente gli aspetti tecnici e decorativi, estrapolandole dal loro contesto di rinvenimento, basilare per la loro piena comprensione. Ciò è sicuramente in parte dovuto alla sorte che gli oggetti in metallo prezioso hanno avuto nel tempo, da sempre tra gli oggetti più ricercati dello spolio e del commercio antiquario. Solo in anni più recenti, vari contributi hanno riportato l’attenzione della comunità scientifica sull’importanza per lo studio di questo tipo di materiali della contestualizzazione, ma anche della necessità di confrontarsi con le fonti storiche e con l’ampio spettro delle rappresentazioni iconografiche per una miglior comprensione delle valenze sottese a questi oggetti. Il gioiello, al di là del suo valore estetico, è infatti nell’antichità, come ancora oggi, portatore di molteplici valenze, economiche in primo luogo (in quanto espressione di status sociale), affettive, ma anche latore di messaggi ben precisi relativi non solo al gusto della committenza, ma all’ideologia religiosa o identitaria dei portatori. Le oreficerie sono spesso legate nella realtà antica ai momenti che scandiscono trasformazioni fondamentali dell’esistenza, come i passaggi di stato all’età adulta, il matrimonio, la morte, etc. In questo contributo si cercherà di affrontare i vari aspetti di questo diverso approccio metodologico, con una particolare attenzione verso le produzioni orafe etrusche di età tardo classica ed ellenistica che sembrano meglio esemplificare le problematiche sopra indicate. Nella seconda parte dell’articolo si affronta brevemente anche la questione della fortuna dell’oreficeria etrusca nelle produzioni artistiche tra seconda metà dell’Ottocento e primo Novecento.
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